Sistema Musica - Giugno-Luglio 2012 - page 19

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er tutto l’Ottocento l’Italia è
stata ancora il paese dei grandi
viaggi di formazione. La natura,
i paesaggi, i resti delle antiche
civiltà, la vitalità e la diversità
delle culture popolari costitui-
vano l’attrattiva di un territorio
già minacciato da pulsioni di-
struttive non meno ataviche,
ma che tuttavia rimaneva meta
prediletta per le giovani élite
culturali. I musicisti francesi
vi giungevano spesso con il
Prix de Rome, riconoscimento
amato e odiato che finiva per
legare a doppio filo al mondo
accademico di provenienza.
Guardare alla città in cui ave-
vano la ventura di soggiornare,
come ha fatto Berlioz nel suo
Carnaval romain
, era anche un
modo per riaffermare la propria
indipendenza e mettere a frutto
le esperienze maturate sul ter-
reno. Per un visitatore frequen-
te, com’è stato µajkovskij, una
composizione come il
Capric-
cio italiano op. 45
era invece l’occasione di una rassegna di impres-
sioni che spaziavano da Venezia a Napoli, dal dolore amoroso di
una serenata lagunare a una tarantella.
Nell’Ottocento, d’altra parte, la musica italiana guardava all’Eu-
ropa anche nel tentativo di sprovincializzarsi. E per un paese la
cui cultura musicale era basata essenzialmente sul melodramma
guardare all’Europa significava valorizzare la scrittura orchestrale,
sinfonica, a volte restando dentro i confini dell’opera e a volte su-
perandoli, com’è avvenuto esemplarmente con Respighi all’inizio
del Novecento. Forse il caso più emblematico però, nel concer-
to dell’Orchestra della Rai diretto da Juraj Val¶uha, è anche il più
anomalo: l’
Ouverture
da
Eine Nacht in Venedig
di Johann Strauss
figlio, operetta composta nel 1883. Fra stereotipi e cartoline mu-
sicali, l’autore coglie infatti l’immaginario sognante in cui l’Italia
rimaneva sospesa, una sorta di irrealtà gioiosa dalla quale risve-
gliarsi comportava un’indefinita malinconia e l’elaborazione di una
perdita. L’Austria guardava così a una Venezia ormai non più sua
da quasi un ventennio ma in fondo per tutti noi, oggi, ripensare
all’Italia dell’Ottocento tramite i suoni che l’hanno raccontata si-
gnifica confrontarsi con un mondo perduto, riattingibile forse solo
alla forza onirica e immaginativa della musica.
K
hatia Buniatishvili ha un’insofferenza conclamata nei confronti dei
luoghi comuni e delle etichette. A sei anni, per esempio, debuttava da so-
lista al fianco dell’orchestra, ma guai a definirla una “bambina prodigio”:
è uno stereotipo che associa al virtuosismo fine a se stesso e, dunque,
detesta. Ama il Novecento, e non si identifica con nessun pianista con-
temporaneo. Ha un idolo, Martha Argerich (che, di recente, l’ha coinvolta
nel suo festival svizzero), ma dichiara pure di non volerle assomigliare.
«Mi piace la Argerich – afferma – perché è unica; come potrei imitarla?»
Georgiana di nascita, viennese di formazione, Khatia ha conservato un
legame emotivo forte con la terra di origine. Molti critici rilevano, infatti,
nel suo stile, una nota malinconica che sembra rimandare a certi tratti
della musica popolare georgiana; in modo consapevole. E se parlare di
“malinconia” può sembrare eccessivo, a proposito di un’interprete ap-
pena venticinquenne, ecco che la Buniatishvili chiarisce le idee quando
dice: «Il pianoforte è il più cupo degli strumenti musicali, un simbolo di
solitudine musicale al quale un pianista è costretto a fare l’abitudine».
Allegria, avrebbe detto Mike…
Tutto questo, però, si risolve, alla ta-
stiera, in un’insolita e accattivante
capacità di interpretare il pezzo, che
giova all’ascolto e che ha suscitato,
da subito, l’attenzione delle giurie che
hanno premiato Khatia ai Concorsi
«Horowitz» e «Rubinstein», quindi de-
gli operatori che l’hanno invitata – nel
corso delle ultime stagioni – alla Car-
negie Hall e al Musikverein, alla Scala
e al Concertgebouw. Oggi la Buniati-
shvili è saldamente lanciata nel gotha
del pianoforte internazionale. Ma
quando vuole divertirsi, lasciando
da parte ogni senso di solitudine, si
abbandona a un quattro mani affet-
tuoso con sua sorella Gvantsa, come
faceva da bambina, sotto la guida
della mamma.
Khatia Buniatishvili,
la pianista
senza etichette
di Stefano Valanzuolo
giovedì 21 giugno
turno rosso
venerdì 22 giugno
turno blu
Auditorium Rai - ore 20.30
Orchestra Sinfonica
Nazionale della Rai
Juraj Val¶uha
direttore
Khatia Buniatishvili
pianoforte
Smetana
La sposa venduta
,
ouverture
Grieg
Concerto op. 16
Beethoven
Sinfonia n. 5 op. 67
Capriccio italiano
Cartoline musicali
dell’Italia ottocentesca
di Stefano Catucci
lunedì 25 giugno
Auditorium Rai
Arturo Toscanini
ore 20.30
fuori abbonamento
Orchestra Sinfonica
Nazionale della Rai
Juraj Val¶uha
direttore
CAPRICCIO ITALIANO
Rossini
Guglielmo Tell
, sinfonia
Respighi
Fontane di Roma
Berlioz
Le Carnaval romain
,
ouverture op. 9
J. Strauss
figlio
Eine Nacht in Venedig,
ouverture
Puccini
Manon Lescaut
, intermezzo
µajkovskij
Capriccio italiano
op. 45
Ponchielli
La Gioconda
,
danza
delle ore
dall’Atto III
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