INCONTRI
CON L’OPERA
mercoledì 6 aprile
Piccolo Regio Puccini
ore 17.30
La traviata
a cura
di
Alberto Mattioli
ingresso libero
P
atrick Fournillier, nuovamente sul podio del Tea-
tro Regio dopo il
Don Quichotte
del 2003 e la
Carmen
del 2006, è pronto per il suo intenso aprile verdiano…
«Ogni volta che sento parlare di trilogia popolare ri-
mango perplesso: certamente l’aggettivo è pertinente,
se pensiamo al successo arriso alle opere nei secoli.
Ma non vorrei che si sottovalutasse l’eleganza persi-
no ricercata e la carica innovativa fortissima di titoli
come
Rigoletto
e
La traviata
. Qualcuno dice che, cela-
te dietro le rassicuranti forme del repertorio, ci siano le
insidie della routine. Io credo che basti affidarsi all’e-
mozione della musica per ritrovare pulsioni sempre
vive ed efficaci. Se si facesse leva solo sulla ragione,
ci sarebbe da tremare: dirigere questo Verdi, infatti, è
un po’ come sfidare il mito».
Dicevamo della raffinatezza delle due opere…
«L’orchestrazione, in entrambi i casi, è molto elegante,
tutta modellata sulla parola, così da sortire effetti tea-
trali strepitosi. Pensiamo al Preludio del
Rigoletto
: in
nemmeno tre minuti si condensa un dramma fatto
di sole note. E l’inizio del terzo atto di
Travia-
ta
? Musica da camera, direi, se non fosse
che la sostanza orchestrale è evidente».
Si evolve, rispetto al passato, inevita-
bilmente anche lo stile vocale…
«E in modo incredibile, se si pensa al
contesto belcantistico da cui trae ori-
gine Verdi, caratterizzato da moduli
stereotipati. Qui, invece, si palesa un
modo diverso e moderno di intende-
re il rapporto tra voce e orchestra, più
aperto e teatrale, appunto».
Siamo al cospetto di due opere ita-
lianissime desunte da spunti letterari
francesi…
«Non è casuale. Verdi ha sempre guar-
dato all’universo culturale francese con
speciale attenzione, forse cercando in
quell’ambito un’adesione meno formale ai
canoni del melodramma. Quello che ne rica-
va è un ibrido teatrale inedito, di grande
efficacia».
Repertorio a parte, Patrick
Fournillier – cinquantasei anni
e una carriera fitta di presenze internazionali presti-
giose – è solito prendere in considerazione anche ti-
toli meno noti.
«Amo aggirarmi soprattutto tra la produzione del
Novecento, che secondo me è ancora troppo poco
considerata dal pubblico e dalla critica. Di recente ho
portato alla Scala – oltre che a Valencia, Parigi e San
Francisco – il
Cyrano
di Alfano con Placido Domingo:
un capolavoro che strappa regolarmente applausi e
consensi molto calorosi. Mi sembra assurdo che opere
così giacciano dimenticate».
Magari se i teatri osassero un po’ di più…
«So che bisogna capire anche le logiche e le esigenze
di chi gestisce la programmazione. In tempi di crisi
come quelli che viviamo, però, sarebbe auspicabile
una proposta di ampio respiro, tale da lasciare spazio
a pagine popolari, senza sacrificare la funzione for-
mativa e divulgativa propria del teatro. E vorrei poter
scoprire almeno un titolo nuovo all’anno».
Con la musica contemporanea si rischia: questo lo
sa, vero?
«Anche quella andrebbe posta in maniera differente,
con attenzione, con misura. Altrimenti – è vero – si
sortisce l’effetto opposto, dal momento che non tutti
hanno gli strumenti culturali per fruirne».
Qualcuno, per richiamare gente, mescola musica,
immagini, poesia: si chiama contaminazione.
«Può funzionare, ma non sempre ottiene l’effetto de-
siderato. Personalmente mi piace l’idea dell’opera sul
grande schermo, al cinema o in piazza, perché offre
a chiunque la possibilità di scoprire un mondo affa-
scinante. Purché sia opera rigorosamente dal vivo, al-
trimenti si falsa tutto, finendo con lo svilire la magia
del teatro».
Con l’Orchestra del Regio il rapporto è buono e con-
solidato…
«Certamente sì. Più in generale, sono contento di
affrontare Verdi con un complesso italiano. Io credo
che, a differenza di quanto accade in Francia, nel vo-
stro paese esista ancora, da parte di chi fa musica, un
attaccamento quasi orgoglioso nei confronti del reper-
torio nazionale. E questa affinità consente di sviluppa-
re un suono e uno stile peculiari, di cui Verdi non può
davvero fare a meno».
intervista
Patrick Fournillier
«Dirigere Verdi
è come sfidare il mito»
di Stefano Valanzuolo
sistemamusica
teatroregiotorino
18