Sistema Musica - Aprile 2011 - page 16

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iportano alcune fonti che Rossini incontrò Antonio Salieri nel
1822, cioè nel corso della sua fortunatissima tournée a Vienna, e che
tra il serio e il faceto osò porgli in maniera diretta una domanda che
molti avevano sulle labbra ma nessuno aveva ancora mai avuto l’ar-
dire di rivolgergli: «Ma è stato veramente lei a uccidere Mozart?» Il
settantaduenne Compositore della Corte Imperiale avrà probabilmente
sorriso di fronte alla schietta impertinenza di quel musicista brillante e
dotatissimo, nuovo beniamino del teatro europeo. Rossini aveva solo
trent’anni e Salieri avrà forse pensato che era quasi l’età a cui se n’era
andato Mozart. Possiamo immaginare che per un riflesso condizio-
nato, mentre lo pensava, avrà portato la mano destra alla tasca del
panciotto, tastandola alla ricerca di una fiaschetta che facesse andare
di traverso il ridere anche a quest’altro geniale seccatore. La fiaschetta,
però, possiamo giurarci, non c’era, così come non l’aveva avuta ne-
anche l’ultima volta che aveva visto Mozart. Le voci che indicavano
in lui il suo avvelenatore erano un’invenzione che da anni ormai lo
perseguitava anche se, nei momenti nei quali l’umore gli permetteva
di controllarsi meglio e rilassarsi, era ancora capace di prendere le
distanze dalla chiacchiera e di sorriderne a sua volta. Così fece con
Rossini, al quale replicò a sua volta con una domanda: «Le sembro un
assassino?». L’aneddoto termina qui, non sappiamo se Rossini rispose
ancora o se, come sembra più probabile, abbia lasciato a Salieri l’ulti-
ma parola, limitandosi a ridere della sua piccola provocazione. Salieri,
a sua volta, avrà potuto interpretare il riso di Rossini in vari modi,
chiedendosi cosa pensasse veramente. Di certo, però, egli doveva aver
capito una cosa, in quel momento, con la quale ancora oggi stentiamo
a fare i conti: in realtà era stato Mozart ad avvelenare lui.
Per diversi anni, dopo la morte di Mozart (5 dicembre 1791), erano
circolate voci sul fatto che potesse essere stato avvelenato, ma nessuno
aveva mai pensato a Salieri. All’inizio del 1792 il periodico berlinese “Musikalischer Wochenblatt” aveva
citato questa possibilità come un’ipotesi dovuta al fatto che il corpo di Mozart si era gonfiato subito dopo la
morte. Qualche anno dopo ne aveva parlato la vedova, Constanze Weber, che riferì una fantasia delirante
del marito a proposito del misterioso committente di una messa da requiem, dal quale temeva appunto di
essere stato avvelenato. Franz Niemetschek, uno dei primi biografi di Mozart, riportò questo episodio dan-
dogli ampio risalto, ma quando i misteri intorno al
Requiem
vennero dipanati una nuova fantasia collegò
la paranoia dell’avvelenamento a un nuovo nome: quello di Antonio Salieri. Nei primi anni dell’Ottocento
la voce era diventata di dominio comune. C’è da ritenere che nell’ambiente familiare di Mozart le si desse
credito, se è vero che Carl Maria von Weber, cugino di Constanze, venuto a Vienna nel 1803 per conoscere
il Compositore di Corte, decise di non tenere più rapporti con lui proprio perché lo sapeva implicato in
quell’oscura vicenda.
Di fronte a Rossini, l’ultimo e il più sfacciato dei suoi interlocutori, Salieri doveva aver capito che Mozart,
senza volerlo, gli aveva inoculato il veleno del sospetto. Per quanto ne sappiamo, nessuno dei suoi allievi
celebri – Beethoven, Schubert, Liszt – ha mai creduto a questa storia e molti, a Vienna, la liquidavano per
ciò che era: una calunnia tinta di romanzesco. Salieri, già provato da una serie di tragici lutti familiari e
incline a profondi stati depressivi, finì tuttavia per esserne ossessionato, al punto che noi stessi possiamo
condividere la sua certezza: Mozart ha avvelenato gli ultimi anni di vita di Salieri e soprattutto la sua fama
postuma, anche se naturalmente nulla può essergli imputato.
Se si indagasse sul peso che la letteratura russa ha avuto sulla nostra percezione della musica euro-
Antonio Salieri
La bella normalità
di un imputato senza colpa
di Stefano Catucci
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