domenica 23 maggio
Auditorium del Lingotto
ore 20
fuori abbonamento
Bobby McFerrin
voce
Strumentisti della Scala
Danilo Rossi
viola
Giuseppe Ettorre
contrabbasso
Giuseppe Cacciola
batteria
Stefano Nanni
pianoforte
Michael Rosen
sassofono
Improvvisazioni
sistemamusica
unionemusicale
13
S
essant’anni suonati, anzi cantati. Li ha compiu-
ti a marzo e ora si appresta a tornare sul palco del
Lingotto. Per la precisione un po’ più in alto dell’ul-
tima volta, sopra la predella del direttore d’orche-
stra, per dirigere alcuni strumentisti del Teatro alla
Scala. Approfittiamo della prima intervista rilasciata
a “Sistema Musica” per conoscerlo da vicino.
Se non sbaglio, il suo primo approccio con la musica
è stato con il pianoforte…
«In realtà ho cominciato a suonare il clarinetto alle
elementari, ma ero istintivamente attratto dal piano-
forte, anche perché ne abbiamo sempre avuto uno in
casa. Mia sorella e i miei genitori erano cantanti, così
scelsi di dedicarmi al pianoforte per trovare una mia
specifica identità musicale».
Quando ha iniziato a interessarsi alla voce? Quando
ha pensato che le avrebbe dato… lavoro?
«Una mattina stavo accompagnando una classe di
danza in un college; mi presi una pausa, e tutt’a un
tratto mi resi conto che non volevo fare il pianista!
Volevo fare il cantante. Così ho chiamato il salone di
un hotel del posto, sono riuscito a fissare un’audizio-
ne e sono stato assunto come cantante. Da quel mo-
mento ho imparato una canzone al giorno per poter
acquisire materiale a sufficienza in tempo per l’inizio
dei miei concerti, di lì a un mese».
Che tipo di influenza hanno avuto i suoi genitori?
«Formalmente i miei genitori non sono stati miei in-
segnanti, benché entrambi dessero lezioni private in
casa nostra. Ero dunque naturalmente esposto alle
loro differenti tecniche didattiche e vocali. Ovvia-
mente ho sempre cantato musica leggera, come fan-
no tutti i ragazzi, ma intorno a me ho sentito anche
molta musica classica, jazz, opera,
spirituals
; dun-
que ho assorbito le influenze più diverse».
Come ha messo a punto il suo particolare stile
vocale?
«Anni fa mi interessava molto lo stile esecutivo pia-
nistico di Keith Jarrett: improvvisazione completa.
Volevo fare lo stesso con la mia voce. Quest’idea mi
ha molto influenzato. All’inizio ho cantato tantissime
canzoni pop ma, anche prima di registrare dischi, l’ho
fatto con la precisa convinzione che dovesse trattarsi
di canto solistico a cappella e di improvvisazione».
Possiamo dire che il suo modo di fare musica ha
radici etniche? Ha mai viaggiato come “ricerca-
Bobby McFerrin
«Canto un’orchestra, dirigo voci»
di Simone Solinas
tore musicale”?
«Ho viaggiato molto, ma per concerti. Spesso ho
ospitato in concerto musicisti del posto, ovunque
fossi… Ho imparato tantissimo da loro. Quando crei
o improvvisi con qualcuno, riesci a sentire tutta la
musica che l’ha influenzato. È come fare una conver-
sazione piacevole e di buon livello: al contempo dai
e ricevi qualcosa che prima non conoscevi».
A un certo punto della sua vita ha deciso di prende-
re in mano la bacchetta. Com’è andata?
«Avrei sempre voluto stare in mezzo al suono di una
grande orchestra. Fu poco prima dei quarant’anni
che iniziai a prendere sul serio l’idea di dirigere. For-
tunatamente sono riuscito a studiare con alcuni dei
migliori direttori del pianeta. Poi ho ricevuto l’incari-
co alla Saint Paul Chamber Orchestra nel Minnesota:
quello è stato il mio esordio come direttore».
C’è un qualche tipo di approccio alle partiture
che sente proprio della sua primaria identità di
cantante?
«C’è uno scambio vicendevole tra i due approcci.
Quando canto tendo a pensare orchestralmente, a
molteplici linee musicali che suonano separatamen-
te ma insieme, tutte che fluiscono nella stessa dire-
zione. D’altronde lo si può sentire nel mio canto.
Quando dirigo mi piace sentire le linee melodiche
e i ritmi dall’orchestra, la differenza tra i registri, fra i
timbri: tutto ciò è molto vicino
al canto…Molti musicisti di-
cono quanto è bello “canta-
re” sui loro strumenti».
Canta anche durante le pro-
ve o i concerti con le orche-
stre?
«Anche durante un concerto
sinfonico può esserci una
parte – sempre improvvisa-
ta – in “a solo” a cappella.
Più spesso canto durante
le prove per far sentire
agli orchestrali cosa sto
cercando di ottenere. Di
tanto in tanto chiedo
di posare gli strumen-
ti e faccio cantare a
ciascuno le proprie
parti. È molto diver-
tente!»
intervista