Sistema Musica - Settembre 2014 - page 13

parte finale della
Tempesta
di
Shakespeare) ed è un brano ar-
ticolato con pezzi molto teatra-
li.
Dai calanchi di Sabbiuno
è
oggi la mia composizione più
eseguita nel mondo, una sor-
ta di marcia funebre stilizzata,
ispirata a una località bologne-
se dove furono fucilati dei par-
tigiani.
Tagebuch der Empörung
(
Diario dello sdegno
)
lo scrissi
sull’onda emotiva dell’indigna-
zione per i fatti dell’11 settem-
bre. Infine
Veglia prima
è uno
dei brani in cui mi riconosco
maggiormente: mi riferisco alle
veglie contadine in cui si rac-
contavano le storie».
Le sue composizioni raccontano
tutte qualcosa.
«Io credo molto nella narratività
del suono. La narratività caratte-
rizza la nostra specie, lo dicono
le ultime ricerche neuroscientifi-
che, non è un elemento retrivo».
E quali mezzi usa per raccontare?
«I miei mezzi sono nel discorso
musicale: cerco di dare una lo-
gica nel divenire, una struttura
di attesa, di sorpresa…»
Pur essendo cresciuto a contat-
to con i dogmi delle scuole mit-
teleuropee, lei è tornato presto
a mettere al centro un’estetica
basata sulle “leggi percettive”…
«La musica è sempre stata
contemporanea, il problema è
sorto quando è nato il genere
“musica contemporanea”. La
musica si è sempre sviluppa-
ta in un processo dialettico fra
tradizione e innovazione e a un
certo punto si è stabilito che la
dialettica doveva avere fine e
che bisognava ripartire da una
tabula rasa, cosa che ho tro-
vato sempre aberrante, perché
negava il rapporto tra orecchio
e percezione. Ciò che muta è
lo stile, non il senso profondo
della comunicazione acustica.
È il corpo umano a comandare:
bisogna ristabilire un rapporto
con il nostro corpo».
Ma allora il compositore cosa
deve fare, andare incontro al
pubblico o mantenere comun-
que salde le proprie idee com-
positive, anche se ignorano le
regole della percezione?
«Io stimo molto il pubblico: ha
notevole intelligenza e sensibili-
tà, facoltà che per lungo tempo
sono state ignorate, sia da chi
programmava sia dai composi-
tori. Il compositore deve essere
autentico e offrire il meglio di
sé come può; deve elaborare il
materiale sonoro nel modo più
sincero, restituendo la propria
visione del mondo. I ragiona-
menti sul mercato invece sono
successivi: sono da condannare
le operazioni commerciali, ma
non il successo comunicativo di
una musica. Se mi sono posto il
problema della comunicazione
da ragazzo, non l’ho fatto per i
soldi ma perché fare il contrario
mi sembrava masturbatorio
».
balizzato esistano ancora differenti linguaggi o,
se si vuole, dialetti musicali? Per questo il canto
di ogni tradizione va considerato in relazione alla
sua lingua parlata. La scelta delle lingue nei miei
libretti operistici ha sempre a che fare con un’idea
sonora assolutamente concreta. Recentemente ho
lavorato molto con la lingua italiana, e lo sto fa-
cendo tuttora. Sono sicuro che raggiungerò risul-
tati del tutto particolari, che sorprenderanno me
innanzitutto».
La voce umana è diventata una parte davvero im-
portante della sua musica.
«Non è una decisione che ho preso a priori. È il
mio lavoro sul teatro musicale che ha portato la
voce in primo piano. Sono gli esperimenti sulla
vocalità che ho condotto per l’opera
Wüstenbuch
(
Libro del deserto
, 2010) che hanno approfondito
questo interesse. La voce umana ci rivela – esat-
tamente come fa il volto – lo stato fisico di un in-
dividuo oppure le sue tensioni interiori: è il suono
stesso che ci parla del personaggio».
Qualche anno fa ha esplicitamente espresso preoc-
cupazione per la musica contemporanea in Italia...
su cosa ripone le sue speranze per il futuro?
«La speranza è sempre nei più giovani. Per en-
trare in sintonia con la nuova musica non oc-
corre aver studiato. È necessaria la curiosità, il
desiderio di conoscere cose nuove e i bambini
ne hanno in abbondanza. Inoltre la scuola deve
incoraggiare la creatività e l’apertura, altrimenti
ci si ritrova invischiati in un’omogenea poltiglia
globalizzata».
Sono passati otto anni dal
Leone d’Oro
a Venezia.
Com’è cambiata la sua musica da allora?
«L’autentico punto di svolta è stato il
Libro del
deserto
in cui ho spinto alle estreme conseguenze
la mia tecnica narrativa. I racconti di molti per-
sonaggi diversi si intrecciano attorno a un centro
drammatico: il deserto, la perdita della memoria,
la morte. Da allora, utilizzo le voci con un misto
di cantato e parlato, e vengono integrate nell’or-
chestra in modo sempre diverso.
Ora sto lavorando a un libretto che è basato su
frammenti tratti dai
Canti Orfici
di Dino Campana
e la dolcezza della lingua italiana mi ha spinto a
usare solamente la voce cantata».
Nell’ambito di
MITO 2014
lei dirigerà anche bra-
ni di Vacchi. Quale caratteristica della sua musica
l’ha affascinata in modo particolare?
«Ho conosciuto la sua musica da poco tempo ed è
stata una felice sorpresa. Sono contento di diriger-
la per
MITO
nei concerti di settembre».
venerdì 12 settembre
Piccolo Regio
Sala Pavone - ore 15
Incontro con Beat Furrer
e Fabio Vacchi
Coordina
Enzo Restagno
Piccolo Regio - ore 17
mdi ensemble
Beat Furrer
direttore
Giulia Peri
soprano
Furrer
Lied
Aria
Linea dell’orizzonte
Vacchi
Orna buio ciel
Luoghi immaginari
lunedì 15 settembre
Auditorium Rai - ore 21
Filarmonica ’900
Teatro Regio Torino
Gergely Madaras
direttore
Orazio Sciortino
pianoforte
Sandro Lombardi
voce recitante
Furrer
Strane costellazioni
Concerto per pianoforte
e orchestra
Vacchi
Prospero, o dell’armonia,
melologo
mercoledì 17 settembre
Auditorium Rai - ore 21
Orchestra Sinfonica
Nazionale della Rai
Beat Furrer
direttore
Giulia Peri
soprano
Gabriella Sborgi
mezzosoprano
Roberto Abbondanza
baritono
Vacchi
Dai calanchi di Sabbiuno
Veglia prima
Tagebuch der Empörung
Furrer
Canti della Tenebra
La bianca notte
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