L
e antiche e maestose foreste
che circondano Praga sono state
il teatro della sua fantasia, quando
era ancora un ragazzino. E tuttora
Jakub Hrusa ci ritorna per passeg-
giare, alla ricerca dello spirito e
del cuore di Dvoªák. Nonostante
le innumerevoli collaborazioni
con la Tokyo Metropolitan Sym-
phony Orchestra e le maggiori or-
chestre degli Stati Uniti, il legame
con la musica della sua terra non
si è mai indebolito.
«È una specie di cordone ombeli-
cale, non si può spiegare altrimen-
ti. Succede in particolare quando,
come in Repubblica Ceca, la mu-
sica si identifica con un orgoglio
nazionale. Qui i compositori sono
stati allevati, quasi “allattati”, da
un autentico repertorio popolare
e questo si può notare soprattutto
nelle campagne. Ho avuto la for-
tuna di dirigere un’orchestra nella
Moravia dell’Est, quando ero mol-
to giovane, ed è stata un’esperien-
za fondamentale».
A Torino dirigerà una
Sinfonia
di Dvoªák. In che modo riesce a
spiegare agli orchestrali il senso
profondo di questa musica?
«Personalmente amo le orche-
stre che riescono a raggiungere
una salutare semplicità, un in-
grediente basilare per la musica
ceca, ma cerco sempre di cono-
scere e capire il carattere di ogni
formazione. Se un’orchestra ha
un suo particolare modo di suo-
nare, spesso diventa interessante
assecondarlo, lasciargli spazio. È
un’esperienza che può arricchir-
mi molto come musicista».
Le orchestre di uno stesso paese
hanno un loro carattere, un suono
riconoscibile?
«Naturalmente possiamo parlare
della ricchezza melodica degli
italiani – ma ce l’abbiamo anche
noi cechi! –, del gusto per il colore
dei francesi, o dei brutali contrasti
delle orchestre russe... ma bisogna
stare molto attenti alle generaliz-
zazioni. Trovo molto più interes-
santi le differenze tra una singola
orchestra e l’altra! Ciascuna nasce
in una metropoli oppure in una
piccola cittadina, con un partico-
lare ambiente educativo e cultura-
le. Senza dimenticare le impronte
– spesso indelebili – dei direttori
che mi hanno preceduto».
Martin˚ u, un compositore a cui lei
è particolarmente legato, ha scrit-
to che «la musica dovrebbe pren-
dersi cura dell’umanità e donarle
uno spirito nobile». Anche lei,
come direttore d’orchestra, sente
una missione simile?
«Sottoscrivo in pieno la prima
parte della citazione. Per quanto
riguarda la nobiltà d’animo inve-
ce... trovo che la musica possa
avere un’incredibile varietà di ef-
fetti su di noi. La musica di Mo-
zart, e dello stesso Martin˚ u, eser-
cita questo tipo di effetto, ma può
anche mostrare altri aspetti meno
nobili dell’animo umano. C’è mu-
sica che ti colpisce e scuote con
forza, come Beethoven e Mahler,
o che scruta le profondità del no-
stro cuore come Šostakovi¶, op-
pure che è semplice divertimento.
Amo questa ricchezza e cerco
sempre di comunicarla al pubbli-
co che viene a sentirmi».
intervista
Jakub Hrusa
«Dirigo con la semplicità
della mia terra»
di Alessio Tonietti
giovedì 30 ottobre
turno rosso - ore 21
venerdì 31 ottobre
turno blu - ore 20.30
Auditorium Rai
Arturo Toscanini
Orchestra Sinfonica
Nazionale della Rai
Jakub Hrusa
direttore
Viktoria Mullova
violino
Smetana
Hakon Jarl
, poema
sinfonico op. 16
Šostakovi¶
Concerto n. 1 per violino
e orchestra op. 77
Dvoªák
Sinfonia n. 6 in re
maggiore op. 60
A
partire dal contratto con la Onix Classic, nel 2006, il percorso
artistico di
Viktoria Mullova
si è evoluto in modo stupefacente. Come
lo spettacolare inizio di carriera lasciava presagire – la rocambolesca
fuga dall’impero sovietico a soli ventiquattro anni – ogni nuova uscita
discografica assomiglia a un cancello spalancato, quasi un muro che si
abbatte. La collaborazione con il marito musicista Matthew Barley ha
allargato a dismisura le possibilità espressive del suo talento, conducendola
nei territori del jazz, del pop e dei repertori folk. Negli ultimi due anni
ha approfondito la tecnica violinistica settecentesca con il cembalista
e direttore Ottavio Dantone e, nel contempo, ha realizzato il progetto
Stradivarius in Rio
in cui arrangia e interpreta alcune famose canzoni
brasiliane. Come conciliare mondi in apparenza così lontani? Risponde
il pianista jazz Julian Joseph: «È sempre la sua straordinaria energia che
tiene tutto assieme».
(a.t.)
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