Quando 25 anni fa Maurice Béjart chiuse il Ballet du XXè Siècle a Bruxelles e aprì il Béjart Ballet Lausanne in
Svizzera, il trasloco fu vissuto da molti come un esilio. Ma oggi è chiaro che bisogna guardare le vicende del
coreografo e della sua Compagnia in una prospettiva storica, a periodi, e dunque considerare che ci sono tre
momenti ben precisi e separati nella vita artistica di Maurice Béjart, nato a Marsiglia nel 1927 e scomparso
nel 2007. Gli anni in cui cerca e trova il proprio mondo poetico nella Parigi del Dopoguerra. Gli anni eroici
di Bruxelles, che prendono il via nel 1959 con una partenza strabiliante, il suo
Sacre
du printemps
e la sua
affermazione mondiale: sull’onda dei movimenti politici, delle mode intellettuali, dell’emergere di nuovi
mondi e culture si afferma il coreografo viaggiatore, perlustratore di mondi e universi, dall’India all’Islam. In-
fine, dal 1987, ecco gli anni della gloria e della fama a Losanna che continuano ancora oggi a un lustro dalla
scomparsa del genio fondatore mentre la compagnia è diretta dall’erede Gil Roman.
La Compagnia è ora al Teatro Regio con due programmi. Il primo, in replica sino al 5 dicembre, prevede tre
titoli:
L’Oiseau de feu,
Syncope
e
Le Sacre du printemps
. Due invece i titoli,
Light
e
Boléro,
per il
secondo programma dal 7 al 14 dicembre.
L’Oiseau de feu
fa parte della personale rilettura dei classici del Novecento di Béjart.
È una versione anni Settanta, figlia del suo tempo; sono anni di rivoluzione, post-
sesantottardi e terzomondisti. Ecco allora che, invece dei soliti protagonisti, troviamo
l’Uccello di fuoco, l’eroe liberatore che conduce la lotta degli uomini liberi contro
l’oppressore e, accanto a lui, c’è la Fenice che ogni volta rinasce dalle sue ceneri.
I danzatori che li circondano, abbigliati con casacche alla Mao, sono i Partigiani,
mentre il resto del corpo di ballo indossa tute rosso fuoco come i protagonisti.
Syncope
è un pezzo in cui si mette alla prova Gil Roman, l’attuale direttore della
compagnia, declinato sulla musica dei Citypercussion (una band svizzera).
Nel 1959, quarantasei anni dopo la scandalosa prima parigina del 1913 che travolse
Nijinskij e Stravinskij, il mondo artistico era ancora sotto choc: nessuno aveva avuto il
coraggio di riprendere seriamente in mano
Le Sacre du printemps
e riportarlo in scena.
Ci voleva un eretico, un rivoluzionario. Con Maurice la
Sagra
cambia valenza: diven-
ta un rituale primitivo, uno scontro-incontro di sessi. Invece del sacrificio umano
dell’eletta, ecco il trionfo degli eletti, l’Uomo e la Donna uniti dalla reciproca
attrazione, esaltati da tutto il corpo di ballo che li circonda.
Vivaldi e i Tuxedomoon, Venezia e San Francisco, due città sull’ac-
qua e, fra le due città, un ponte. Dunque è un balletto sull’ac-
qua,
Light
, ma soprattutto sulla luce, la luce della scena, della
danza, della vita.
Anche se la danza non è proprio il vostro “pane quotidia-
no”,
Boléro
lo avete visto. Quasi di sicuro. Al cinema o in
tv, nel travolgente finale del film di Claude Lelouch del
1981 intitolato proprio
Bolero
, ma che in francese aveva
un altro titolo,
Les Uns et les autres,
perché raccontava
diverse vite dai destini incrociati. Ma quel che conta
ora è la sequenza finale in cui Jorge Donn, indimenti-
cabile étoile della compagnia di Béjart, danzava il bo-
lero sulla pedana rotonda circondato dal corpo di ballo
maschile. Un inno all’amore, di ogni genere, danzato
sul tetto di un grattacielo di New York.
In realtà la storia del
Boléro
di Béjart sulla martellante os-
sessionante musica di Ravel incomincia vent’anni prima,
nel 1961, negli anni eroici di Bruxelles e subito diventa vei-
colo di successo per la Compagnia ma anche per le grandi
star: dalla nostra Luciana Savignano a Sylvie Guillem (proprio
al Regio un po’ di anni fa) a Maja Pliseckaja.
Da
L’Oiseau de feu
a
Boléro
Tutta la grande danza di Béjart
di Sergio Trombetta
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