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S
e c’è una particolarità della musica inglese è quel
suo essere socievole, educata e civile. Quando gli ita-
liani inventarono l’opera, cioè la forma d’arte che più
di ogni altra dà apparenza estetica alle passioni dell’ani-
mo umano, tutta Europa fu colta dalla febbre per il me-
lodramma, tutta tranne l’Inghilterra. Qui l’opera arrivò
tardi e venne subito guardata con sospetto. Basti pen-
sare che i primi esempi di questo genere non vennero
nemmeno rappresentati a teatro, ma in riservate oc-
casioni private:
Venus and Adonis
di Blow a corte, e
Dido and Aeneas
di Purcell in una scuola. Come dire,
gli inglesi ancora non osavano dare una sede pubblica
riconosciuta a una forma di spettacolo così smaccata-
mente plateale.
Quando si decisero a farlo non fu un musicista autocto-
no a creare il repertorio, e neppure un italiano, seppure
cantanti e musicisti italiani non mancassero a Londra,
ma un tedesco italianizzato, il sassone Georg Friedrich
Haendel. Questi produsse opere di successo sul modello
italiano ma ben presto capì che l’opera, per essere vera-
mente accettata in Inghilterra, avrebbe dovuto essere ri-
pensata a fondo e così inventò una forma spettacolare di
oratorio in cui l’esteriorità del melodramma nostrano era
temperata dalla tradizione corale tipicamente inglese.
Da Haendel in poi, la storia della musica inglese fu
questione di artisti europei (basti pensare a Haydn e
Clementi) e si può dire che essa rimase in gran parte
estranea al grande sviluppo romantico dell’Ottocento.
Non che a Londra si ignorasse quel che accadeva nel
continente, anzi, da Mendelssohn a Chopin, da Berlioz
a Wagner, i più grandi compositori europei erano chia-
mati regolarmente a presentarsi sulle scene, ma nessun
musicista inglese fu in grado di tradurre in un idioma
musicale propriamente nazionale il ribollimento di
sentimenti, l’evasione fantastica, l’introversione psico-
logica o la monumentalità della musica che caratte-
rizza questo secolo così avvincente. Evidentemente
queste caratteristiche non si confacevano all’idea
addomesticata che gli inglesi hanno di
quest’arte. Essi infatti affidano l’espressione delle loro
corde più recondite alla parola, poetica o teatrale che
sia, nella consapevolezza che in questo modo i rischi
di uno scatenamento incontrollato dell’irrazionale sono
minori. La patria dell’individualismo borghese compen-
sa così questo suo eccesso mantenendo l’arte dei suoni
ben ancorata alle buone maniere.
Anche il maggiore compositore inglese della seconda
metà dell’Ottocento, Edward Elgar, visse in modo ve-
lato e riflesso la crisi di quegli anni. Non bisogna però
pensare che la vita musicale inglese in questo secolo
fosse stagnante, tutt’altro: società di concerti, enciclo-
pedie, associazioni corali, accademie per il recupero
della musica antica, diffusione della pratica strumenta-
le, tutte queste cose contribuirono a fare dell’Inghilterra
uno dei paesi più civili al mondo in termini musicali.
E i frutti infatti non tardarono a venire. Fu proprio alla
fine dell’Ottocento che il paese avvertì la necessità di
dotarsi di un’identità musicale, dopo aver passato più di
un secolo a vivere sulle spalle di quel che si produceva
in Europa. Quando George Bernard Shaw, allora più
conosciuto come critico musicale che come dramma-
turgo, ascoltò nel 1895 la prima ripresa moderna del
Dido and Aeneas
, individuò in Purcell il padre della
musica inglese, l’unico genio di quel paese capace di
eccellere allo stesso tempo nella musica sacra, nell’ope-
ra e in quella strumentale. Da quel momento, si può
dire, incominciò il nazionalismo musicale inglese. Chi
materialmente incarnò questa aspirazione fu Benjamin
Britten. Nato nel 1913, egli era infatti emigrato in Ame-
rica alla fine degli anni Trenta, ma a differenza di al-
tri intellettuali inglesi, ritornò addirittura prima che la
Guerra fosse finita, chiamato in patria da una sorta di
missione, quella di far fruttare nella società del suo pa-
ese l’immenso talento musicale che gli era toccato in
sorte. Fu una scelta generosa e inattuale per l’epoca,
che fece di lui, nonostante l’ambiguità morale delle
sue opere, il massimo compositore della sua genera-
zione.
(a.b.)
Musica inglese:
l’arte delle “buone maniere”
giovedì 11 marzo
Conservatorio
ore 21
Concerti De Sono
Orchestra da camera
«Archi»
Roberto Righetti
primo violino concertatore
Elgar
Serenade
Purcell
Chaconny
in sol minore
(arrangiamento di
Benjamin Britten)
L. Berkeley
Serenade
M. Berkeley
Coronach
Britten
Simple Symphony