Per tradizioni e abitudini alimentari ben consolidate il consumo
di carni bovine - soprattutto di vitello e in minore misura di
vitellone e di bue - aveva a Torino e in tutto il Piemonte la
netta prevalenza su ogni altro tipo di carne. Nei mesi invernali
aumentava la vendita del maiale, del montone e del castrato, rimanendo
tuttavia marginale rispetto a quella dei bovini.
Il Piemonte ne era sempre stato un buon produttore e, tra metà
del Seicento e metà del Settecento, pur con qualche periodica
difficoltà, fu in grado di soddisfare il consumo interno
e anche di esportare.
Il bestiame bovino veniva condotto ai macelli della capitale da
un certo numero di "postieri", autorizzati dall'Ufficio
del Vicariato. Essi erano tenuti a fare acquisti in zone ben definite,
ad assicurare continuità nelle forniture, a sottostare
alle regole stabilite dai bandi. Gran parte di loro conduceva
il bestiame sulla piazza di Moncalieri, dove ogni venerdì
si teneva il mercato all'ingrosso della capitale. Pochi altri
rifornivano, con vitelli del Canavese, il piccolo mercato che
si teneva una volta la settimana (il sabato e più tardi
il mercoledì) in borgo Dora, appena fuori della porta Palazzo.
Per il commercio delle carni valevano le stesse disposizioni degli
altri generi alimentari: divieto di contrattazioni e di accordi
sui prezzi prima dell'inizio del mercato; repressione di ogni
manovra tesa a dirottare i capi di bestiame diretti alla capitale
verso altre piazze; obbligo per i "postieri" di condurre
al mercato tutti i capi acquistati nella settimana; controlli
rigorosi su qualità e sanità delle bestie destinate
alla vendita.
Quello di Moncalieri era il mercato all'ingrosso della capitale.
Vi erano pertanto favoriti i macellai torinesi, che godevano della
privativa sugli acquisti rispetto sia ai privati (caso assai raro),
sia agli esercenti di altre comunità. Per le prime due
o tre ore dall'inizio del mercato - in concomitanza con l'esposizione
della banderuola con le insegne della città - potevano
accedere sulla piazza esclusivamente i macellai torinesi e, qualora
vi fosse, l'appaltatore dei macelli della città e degli
altri macelli privilegiati (della real casa, della guarnigione
svizzera, degli ospedali). Dopo il 1738 si decise di estendere
tale privilegio ai macellai di Moncalieri, mentre si respinsero
analoghe richieste da parte di altri centri vicini. Una volta
tolta la banderuola, l'accesso al mercato era libero e le contrattazioni
potevano continuare fino all'esaurimento delle bestie.
Chiunque fosse il compratore - i singoli macellai, il direttore
o l'appaltatore dei macelli torinesi -, le mandrie acquistate
in regime di monopolio sulla piazza di Moncalieri raggiungevano
il mattatoio, situato nei pressi dei mulini di Dora, passando
sulla riva destra del Po ai piedi della collina, essendo loro
proibito attraversare il centro cittadino. Nel Cinquecento il
macello e le annesse vendite di carni, in precedenza ubicate tra
piazza Palazzo di Città e la chiesa di San Gregorio, erano
state trasferite vicino a San Silvestro, mentre un piccolo mercato
del bestiame si teneva sulla piazza del Duomo. In seguito si era
tentato di allontanare i macelli dal centro cittadino perché
la presenza del mattatoio nel cuore della città era causa
di gravi disagi: anche se i macellai si attenevano alle norme
che proibivano di evacuare il sangue nelle vie o di abbandonare
a terra le budella degli animali, odori insopportabili dovevano
diffondersi dai banchi, soprattutto d'estate.
La difficoltà di trovare un sito adatto ritardò
per molto tempo il trasferimento delle beccherie, per cui si decise
soltanto lo spostamento in una zona più appartata del quadrilatero
romano, in vicinanza di San Silvestro e, solo a Seicento inoltrato,
il macello venne definitivamente trasferito fuori delle mura.
Il "sovrastante" dei macelli designato dalla città
doveva visitare gli animali, per accertare che fossero sani e
di peso sufficiente e dividere, apponendo marchi diversi, vitelli,
"erbaiole" e buoi, che andavano condotti ad altrettanti
luoghi distinti ove provvedevano alla macellazione delle bestie
gli stessi macellai, cui spettava poi condurre i quarti nelle
rispettive botteghe, dove si sarebbe infine completata la preparazione
delle carni per la vendita.
Per gran parte del Seicento Torino ebbe non più di 20 macellerie,
localizzate prevalentemente intorno a piazza delle Erbe e in vicinanza
di porta Palazzo. Nei primi decenni del Settecento esse avrebbero
subito un incremento molto rilevante, diventando nel 1718 più
di 80. Preoccupato di questa polverizzazione dei punti di vendita,
che rendeva difficili i controlli e, riducendo i guadagni, favoriva
gli abusi, il vicario ne avrebbe proposto la riduzione e disposto
la localizzazione degli stessi in quattro zone della città:
rispettivamente a porta Palazzo, in vicinanza di porta di Po,
presso la Cittadella, vicino alla Consolata nei vecchi quartieri
militari. Scopo del provvedimento era salvare la città
"dal fetore dei macelli che si trovano dispersi per tutte
le più belle contrade di Torino", e renderli più
facilmente accessibili ai "postieri" che conducevano
gli animali.
Gli interventi non tardarono a dare risultati positivi. Nel 1747,
infatti, per una popolazione di oltre 55.000 abitanti, si contavano
in città appena 34 macellerie (28 di vitello e sanato,
5 di "erbaiole" e una di buoi). Quarant'anni più
tardi, con una popolazione di quasi 74.000 abitanti, avevano bottega
in città 49 macellai (di cui 42 di vitello e sanato, 7
di bue e manzo), per un terzo collocati in prossimità di
porta Palazzo. Un macello di bue e manzo aveva poi sede in ciascuno
dei sobborghi, alla Cittadella, presso l'Ospedale San Giovanni
e presso l'Ospedale di Carità.
La vendita delle carni era soggetta a "tassa" (o prezzo
massimo di vendita) stabilita dal vicario sulla base della media
("comune") dei prezzi di mercato e tenuto conto del
rendimento di ogni capo in carne, delle spese e del guadagno del
rivenditore. La "comune" veniva calcolata una volta
al mese come media dei prezzi delle diverse qualità di
bestie bovine vendute sul mercato di Moncalieri e di borgo Dora.
Negli ultimi decenni del Settecento, per contenere la crescita
dei prezzi, si giunse ad aprire macelli gestiti direttamente dalla
città che assicuravano prezzi politici.
Un po' meno costose erano le carni suine e ovine, consumate soprattutto
nei mesi invernali ma che, per tradizione o per pregiudizio alimentare
- lo smercio delle carni suine era consentito solo tra la fine
di ottobre e l'inizio della Quaresima -, erano meno gradite delle
carni bovine.
Le carte di polizia rivelano molte inosservanze delle norme relative
alla lavorazione delle carni suine, che si prestavano a svariate
manipolazioni e a frodi pericolose per la salute dei consumatori.
Era, ad esempio assai comune macinare carni di qualità
scadente, o addirittura avariate, con carni fresche e mascherare
odore e sapore sospetti con spezie ed erbe aromatiche, non diversamente
da quanto avveniva per altri prodotti. Il burro irrancidito, per
esempio, veniva impastato con burro fresco e riproposto alla vendita
in mezzo a quello fresco.
Le frodi più pericolose riguardavano proprio le carni e
i latticini che, in assenza dei moderni sistemi di conservazione,
erano più facilmente deteriorabili e causa di gravi intossicazioni.
Si spiega così la presenza di una normativa particolarmente
accurata e rigorosa nei riguardi di queste derrate.
46 Disposizioni
relative al macello e alla vendita delle carni in Ordini statuti
e decreti della Città di Torino
(ASCT, Carte sciolte, n. 3236, c. 3r.). |
48 Venditori di ovini nella piazzetta del Corpus Domini
in Il miracolo del SS. Sacramento: processione e discesa dell'ostia,
olio su tela di Pietro Domenico Olivero, 1753
(Torino, Museo Civico d'Arte Antica e Palazzo Madama).
49 Disposizioni sull'approvvigionamento e la vendita delle
carni nella città di Torino, 15 settembre 1651
(ASCT, Carte sciolte, n. 4870).
50, 51 Manifesto del vicario
che richiama i macellai a rispettare il prezzo fissato per la
vendita della carne, 18 aprile 1795
(ASCT, Editti e Manifesti, vol. I, 1695-1798).
52 Città di
Torino. Ampliazione degli Isolati della Porta di Po. Progetto
dei macelli di Gaetano Lombardi, 1825
(ASCT, Tipi e disegni, 14-3-9). |