I problemi alimentari di Torino non erano diversi da quelli
di molte grandi città d'Antico regime. Pur essendo abbastanza
vasta la gamma di generi di largo consumo offerti dal mercato
cittadino, l'esigenza prioritaria era quella di avere pane di
buona qualità, in abbondanza e a prezzi contenuti. Per
ottenere ciò occorreva far arrivare con regolarità
entro le mura il frumento e le altre granaglie indispensabili
alla confezione del pane e degli alimenti a base di cereali (paste,
dolci, zuppe, ecc) e al tempo stesso controllarne la qualità
e i prezzi, con un'attenta vigilanza sul commercio all'ingrosso
e al minuto e sui processi di conservazione dei grani, di trasformazione
in farina, di panificazione.
Per l'approvvigionamento dei grani (frumento, segale, barbariato,
orzo, miglio, sorgo, avena, mais e riso) la capitale attingeva
abitualmente alle aree pianeggianti della sua provincia, che in
tempi normali soddisfacevano in pieno alle sue necessità.
I commercianti di granaglie erano soliti fare i loro acquisti
sulle piazze di Chivasso, Foglizzo, Volpiano, Riva, Poirino, Villanova
, Chieri, Moncalieri, Fossano e su altri centri della vicina pianura.
Una volta introdotti in città, il frumento e gli altri
cereali erano condotti, nei giorni di martedì e sabato,
sul mercato che si teneva in piazza San Carlo.
Dalla seconda metà del Seicento l'incremento demografico
della capitale - che vide raddoppiare la sua popolazione, in poco
più di un secolo, dai 39.000 abitanti del 1680 agli oltre
78.000 del 1796 - raggiunse ritmi tali da mettere in crisi le
stesse disponibilità cerealicole della provincia.
La zona di prelievo dei grani dovette dunque allargarsi a province
più lontane (Cuneese, Vercellese, Alessandrino), facendo
aumentare le difficoltà e accrescendo i costi.
A complicare le cose si aggiungeva poi il fatto che non si aveva
una conoscenza precisa della quantità di granaglie raccolte
ogni anno: è vero che s'imponeva ai produttori di dichiarare
annualmente le eccedenze della stagione precedente e i nuovi raccolti,
ma per il timore di requisizioni, di limitazioni alle vendite,
di imposizioni fiscali straordinarie le denunce non erano quasi
mai veritiere. Ciò impediva di fare una corretta programmazione.
D'altro canto non si conoscevano con esattezza neppure le esigenze
della capitale. È ben vero che se ne conosceva con precisione
la popolazione residente, ma Torino, come ogni grande città,
si gonfiava giornalmente o stagionalmente di lavoratori, di domestici,
di uomini di fatica, di sfaccendati, di miserabili, che i censimenti
non registravano e dei quali era difficile fare un calcolo preciso.
Ciò si verificava soprattutto nei periodi di carestia e
sarebbe accaduto sempre più spesso nella seconda metà
del Settecento, per effetto delle frequenti crisi di produzione
e dei cambiamenti nella gestione della proprietà, che avrebbero
provocato l'espulsione di mezzadri e braccianti dalle campagne.
A ostacolare qualunque forma di programmazione vi era poi il fatto
che nei periodi di difficoltà una percentuale di persone
oscillante tra il 20 e il 30 per cento della popolazione residente
in Torino non era in grado di acquistare il pane necessario alla
propria sopravvivenza e doveva far ricorso all'assistenza pubblica
o privata.
I cereali giungevano in città in farina, ma soprattutto
in grani e dovevano essere macinati nei mulini di Dora e del Po
gestiti dal comune, che prelevava i previsti diritti di macina.
Fu perciò accolta con sollievo dalle autorità municipali
l'istituzione di magazzini permanenti dei grani (con scorte che
variavano a seconda delle tendenze produttive) gestiti dalla città,
con acquisti effettuati direttamente dagli amministratori o dati
in appalto. Tali riserve - che non sempre furono attive - sarebbero
servite per rifornire il mercato e i panificatori, qualora il
frumento scarseggiasse o fosse molto caro, oltre che per approvvigionare
gli enti assistenziali.
Il costo dei diversi tipi di pane dipendeva esclusivamente dal
prezzo medio (detto "comune") del frumento venduto sul
mercato di Torino, in giorni rigorosamente fissati (da 2 a 6 volte
l'anno, a seconda del periodo).
Nei giorni prestabiliti il vicario e i sindaci dell'Università
dei panettieri si portavano su piazza San Carlo, sede del mercato
dei cereali, e in base al prezzo di vendita del grano ai privati,
stabilivano il prezzo medio, su cui si sarebbe calcolato il costo
del pane fino al giorno della successiva formazione della "comune".
Era dunque importante che tale media fosse il più possibile
bassa o almeno equa e ciò spiega i controlli rigorosi cui
era soggetto il mercato e le pene severe previste per chi faceva
salire artificiosamente i prezzi.
Di fatto, dunque, a essere calmierato non era il grano, il cui
prezzo sul mercato doveva, nelle intenzioni dei governanti, seguire
le leggi della domanda e dell'offerta per non scoraggiare e danneggiare
i produttori, bensì il costo di fabbricazione del pane.
Il guadagno dei panificatori era infatti rigidamente prestabilito
attraverso un esperimento, detto "prova del pane". Fatto
una prima volta nel 1587, fu ripetuto nel 1679-1680 dinanzi alle
autorità addette ai servizi annonari e rimase in vigore
fino agli anni conclusivi del Settecento. Con questo complesso
esperimento furono stabiliti, una tantum, la quantità di
pane dei diversi tipi che si poteva produrre con un sacco di grano
e il relativo costo (ivi compreso anche il giusto, ma immutabile,
guadagno dei panificatori). Rimanendo fisso il rapporto tra frumento
e pane, era dunque sulla base della "comune" dei grani
che si calcolava periodicamente il prezzo massimo, detto "tassa",
cui ogni tipo di pane andava venduto.
Occorre a questo punto chiarire che, non diversamente da quanto
avviene oggi, erano disponibili in commercio vari tipi di pane,
il cui prezzo dipendeva dalla qualità degli ingredienti.
Gran parte di quello prodotto e smerciato in Torino era di puro
frumento, più o meno raffinato. Il migliore era il pane
sopraffino, detto anche "di bocca", composto di puro
fioretto di farina e venduto in "grissini, grissini biscotti
e miconi lunghi e corti". Era prodotto solo in alcune panetterie,
che fabbricavano anche gli altri tipi di pane bianco: il pane
detto "alla francese" in miconi, di fioretto di farina
di frumento, ma meno raffinato del precedente, e il pane detto
"lavato", di pura farina di frumento privata del reprimo.
D'inferiore qualità erano poi il pane bruno, formato con
farina di frumento privata della sola crusca, e il pane "casalengo",
in cui entravano cereali inferiori (per lo più segale).
La produzione di quest'ultimo tipo di pane fu saltuaria. Nei periodi
in cui il frumento fu abbondante, come nei decenni centrali del
Settecento, il pane casalengo non venne più prodotto; mentre
all'inizio degli anni settanta, in un periodo di crescenti difficoltà,
si autorizzò la fabbricazione di un altro tipo di pane
casalengo di migliore qualità, in miconi da una libbra
ciascuno (368 gr), composto di farina di puro frumento e del reprimo,
che sarebbe stato prodotto saltuariamente anche nei decenni successivi.
Che agli amministratori torinesi stesse a cuore la qualità
del pane prodotto in città è dimostrato già
dagli Statuti del 1360 dove un articolo specifico fissa il compenso
dovuto al fornarius o alla fornaria per "panem bene cuoquere
et assaxonare", nonché per il servizio di consegna
a domicilio del medesimo.
Precise norme per la fabbricazione del pane sono ribadite in Ordinato
municipale del 1504 che stabilisce inoltre il prezzo per le due
qualità consentite: il pane bianco e il pane secondo.
Circa settant'anni più tardi i tipi di pane consentiti
diventano tre: bianco, mezano e negro.
Nell'età moderna a Torino il pane andava venduto a peso
e non a pezzo, com'era avvenuto in passato ed era in uso in altre
città; ogni tipo tuttavia doveva essere prodotto in forme
e dimensioni ben definite e avere un costo proporzionato.
Nel corso del Seicento, parallelamente alla crescita della popolazione,
era aumentato anche il numero dei panettieri organizzati in università
e provvisti di bottega, legalmente autorizzati dalla municipalità.
A fine Seicento erano 82 nella sola città e raggiungevano
quota 115 calcolando anche i borghi. Nei decenni successivi si
sarebbe tentato di fermarne la crescita, che pareva inarrestabile:
si pretese che avessero una buona professionalità e si
impose loro di tenere un consistente fondo di grani di riserva.
Si temeva infatti che la sovrabbondanza di panificatori, riducendo
i guadagni dei singoli panettieri, li avrebbe indotti a usare
ogni mezzo per rivalersi dei ridotti guadagni. È vero che,
oltre al pane, potevano fabbricare altri prodotti da forno, come
i torcetti e le michette o panini al burro, ma ciò non
era sufficiente a giustificare un numero così elevato di
panificatori. Si decise pertanto di stabilire un tetto massimo
di botteghe (100 in un primo momento, ridotte poi a 70), evitando
di concedere nuove licenze, e si autorizzarono gli esclusi a svolgere
la professione di fornai che dovevano provvedere alla sola cottura
del pane portato loro dai privati già impastato e lievitato.
Nonostante i controlli, il prezzo del pane avrebbe continuato
a salire, seppur lentamente, per tutto il Settecento. Per i poveri
furono istituite panetterie gestite dalla città, ove si
vendeva pane di cereali misti a prezzo politico e, nei momenti
più difficili, si provvide a distribuzioni gratuite di
pane e al tempo stesso furono assunti provvedimenti molto severi
contro chi fomentava sollevazioni popolari con il pretesto della
scarsità del pane.
Ancora nel secolo successivo i documenti attestano che rimane
costante l'attenzione del potere centrale e della municipalità
per assicurare una buona fornitura di pane sia dal punto di vista
quantitativo che qualitativo.
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12 Manifesto del vicario Cesare Leone Radicati con le
disposizioni per la consegna delle granaglie, 30 giugno 1794
(ASCT, Carte sciolte, n. 5021).
13 Calcolo delle provvigioni
annualmente necessarie per la città di Torino, relazione
del vicario Cesare Giustiniano Alfieri di San Martino al primo
segretario di stato agli affari interni, 13 dicembre 1745
(ASCT, Vicariato, vol. 221 pag. 103).
14, 15, 16 Progetti per i mulini della Madonna
del Pilone, disegni a penna e acquerello su carta lucida di Benjamin
Roy, circa 1844
(ASCT, Tipi e disegni, 19-1-7, 19-1-5, 19-1-6 ).
17 Atti della nova prova del pane per fissare le nuove
tariffe per la vendita al dettaglio, 1679
(ASCT, Carte sciolte, n. 4966).
18 Elevazione
de' forni pubblici della Mairie di Torino nel Borgo di Dora,
disegno a penna e acquerello di Ferdinando Bonsignore, 1802
(ASCT, Tipi e disegni, 19-1-20).
19 Tariffa del pane bianco e del pane secondo,
pergamena con sigillo pendente, 20 dicembre 1583
(ASCT, Carte sciolte, n. 4924).
20 Manifesto della città che stabilisce quali tipi
di pane debbano essere prodotti e fissa i relativi prezzi, 1 febbraio
1794
(ASCT, Carte sciolte, n. 5019).
21 Tassa del pane. Manifesto del vicario, 6 novembre
1773
(ASCT, Carte sciolte, n. 4994).
22
Particolare del sonetto dedicato a Sant'Onorato, protettore dei
giovani panettieri, 1789
(ASCT, Collezione Simeom, C 11695)
23 La cottura del pane
a domicilio era una pratica limitata al contado; nei centri urbani
di solito si preparava la pasta in casa e quindi si portavano
le "miche"a cuocere nei forni pubblici. L'articolo del
Codice della catena riprodotto che fissa il compenso dovuto ai
panettieri per la cottura delle pagnotte e per la riconsegna a
domicilio, 1360
(ASCT, Carte sciolte, n. 390).
24, 25 Ordinato del Consiglio della Città
che stabilisce le tariffe del pane bianco e del pane secondo,
11 luglio 1504
(ASCT, Carte sciolte, n. 4920).
26
Giovanni Michele Graneri, Il pasticcere, olio su tela,
sec. XVIII
(Torino, Museo Civico d'Arte Antica e Palazzo Madama).
27
Particolare del sonetto dedicato a San Rocco, protettore dei garzoni
fornai torinesi, 1787
(ASCT, Collezione Simeom, C 11707).
28 Patenti della Madama Reale Cristina di Francia con
le quali si ribadisce che a Torino è consentito esercitare
il mestiere di panettiere solo a chi è autorizzato dalla
Municipalità, 22 settembre 1644
(ASCT, Collezione Simeom, C 4957).
29 Manifesto
del governatore di Torino che minaccia dure sanzioni contro chi
fomenta disordini con il pretesto della mancanza del pane, 18
luglio 1797
(ASCT, Collezione Simeom, C 8096).
30 Sentenza che condanna a morte due uomini accusati di
aver fomentato tumulti a Beinasco contro il prezzo dei viveri,
4 agosto 1797
(ASCT, Collezione Simeom, C 8097).
31
Norme dell'Ufficio di Polizia per la confezione e la vendita del
pane, 9 luglio 1800
(ASCT, Collezione Simeom, C 8233).
32 Disposizioni
del Comune sulla qualità e il prezzo del pane, 1801
(ASCT, Collezione Simeom, C 8281). |