“…frutti modellati così vivamente dal vero da scambiarli coi naturali…” – Francesco Garnier Valletti
Glossario
- Orto Botanico dell’Università degli Studi di Torino
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L’Orto Botanico sorge nel Parco del Valentino, oggi compreso nell’area del Parco fluviale del Po, e fa parte del Dipartimento di Biologia Vegetale; è una delle principali e più antiche istituzioni scientifiche torinesi. Sin dall’epoca della sua fondazione (1729) è stato parte integrante del complesso del Castello del Valentino. La prima fase di sviluppo scientifico della struttura universitaria, è compresa tra il 1729 e la fine del Settecento ed è legata alle figure dei primi tre direttori, Bartolomeo Caccia ( ?-1749) che guidò l’istituzione fino al 1749, Vitaliano Donati (1717-1762) che operò fino al 1759 e Carlo Allioni (1728-1804) che ne fu direttore dal 1763 fino al 1799.
A queste tre personalità di grande rilievo risalgono i maggiori interventi, sia sotto il profilo dello sviluppo scientifico, sia organizzativo dell’Istituzione. A questa prima fase corrisponde anche lo sviluppo delle prime strutture architettoniche e già negli anni Cinquanta del Settecento l’Istituto universitario assume una configurazione autonoma, l’area viene recintata, si raccolgono e documentarono le specie conosciute, si costituisce dell’erbario. All’epoca il complesso dell’Orto è costituito da una serie di piccoli edifici sorti nell’angolo nord-est dove sicuramente vengono ricoverate le piante nella stagione invernale; l’erbario, i giardinieri e il disegnatore occupano invece ancora la torre nord-ovest del Castello del Valentino. A lato dell’edificio principale, a un solo piano con tre grandi aperture ad arco sul prospetto meridionale, è costruito il primo nucleo delle serre, le «scalee».
I vari direttori hanno frequenti rapporti internazionali che favoriscono la conoscenza e l’applicazione delle nuove teorie di classificazione secondo il sistema linneano; sono frequenti i contatti con personalità del mondo scientifico internazionale e con le principali Accademie europee fra cui quelle di Parigi, Londra, Berlino, Stoccolma. A Torino sorge una scuola di “pittura botanica” sul modello parigino del Jardin du Roi, nella quale illustratori e disegnatori, lavorando a fianco dei botanici iniziano, nel 1752, la redazione dell’Iconographia Taurinensis. Nel 1796, il complesso dell’Orto per volere di Vittorio Amedeo III, è ampliato a nord con l’aggregazione di un nuovo appezzamento di circa 20.000 metri quadrati, destinato a quello che sarà il «Boschetto».
Con passare degli anni la struttura universitaria cresce e si amplia: sono costruite le prime “serre”, realizzate in ferro e vetro (1825) ai lati dell’edificio centrale in sostituzione delle «scalee». Negli anni Trenta dell’Ottocento l’edificio centrale è ingrandito e innalzato di un piano, il giardino superiore è ampliato di circa un terzo e si delinea un nuovo scomparto per la coltivazione delle piante officinali, aromatiche e industriali. Alla metà degli anni Trenta dell’Ottocento è da ricondursi anche la messa a coltura dell’area a nord degli edifici, dove secondo principi di ispirazione inglese è costruito il boschetto con alberi di alto fusto prevalentemente esotici.
Tra il 1839 e il 1849 sono costruite le “svernatoie”, vasche costituite da lastre di pietra di Luserna assemblate e legate da grappe in ferro a coda di rondine piombate, con copertura mobile, in ferro e vetro, che ne permetteva l’apertura nelle ore calde. Dal 1845 al 1848 si assiste ad un grande fermento costruttivo, si ricostruiscono le serre sul lato destro dell’edificio, le due “serre immerse” delle quali si conserva oggi solo quella sul lato del fiume e, infine, la “serra volante” eretta per la coltura delle piante tropicali in piena terra che verrà poi demolite negli anni trenta del Novecento. Le serre risalenti alla prima metà dell’Ottocento sono smantellate e ricostruite in ghisa e vetro nel 1870. L’approvazione della Convenzione Universitaria del 1885 dà impulso alla trasformazione radicale del complesso: si rinnova l’edificio con il raddoppio della manica, la costruzione della sala ad emiciclo per le lezioni e i nuovi locali per i laboratori. La sala per l’esposizione dell’erbario delle piante officinali, verso il fiume, è realizzata nel 1929 in occasione delle celebrazioni del secondo centenario della fondazione dell’Orto.
Tale intervento risale al momento in cui Oreste Mattirolo scrive la Cronistoria dell’Orto Botanico del Valentino della Regia Università di Torino. Il gruppo di serre superstiti sul prolungamento dell’edificio, verso ovest, sarà demolito all’inizio degli anni Sessanta per dar luogo alla costruzione di una nuova serie di aule destinate alla didattica. Nel 2003 nel Boschetto sono state messe a dimora antiche cultivar di fruttiferi collegate ai modelli di Garnier Valletti riuniti nella collezione pomologica torinese esposta nel vicino Museo della Frutta.
[fonte: R. Caramiello, G. Scalva, L’Orto Botanico dell’Università al Valentino, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
- Orti sperimentali dell’Accademia di Agricoltura
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Nell’Ottocento e nel primo Novecento gli orti sperimentali erano indispensabili per le accademie di agricoltura e per le associazioni agrarie, in quando l’attività di ricerca in campo agronomico era svolta quasi esclusivamente da queste istituzioni. L’Accademia di Torino, fondata nel 1785 come Società di Agricoltura, ha posseduto, nel tempo, tre orti: uno alla Crocetta dal 1798 al 1892, uno a San Salvario dal 1886 al 1946 e uno a Vezzolano dal 1927 in poi.
La creazione dell’orto di San Salvario, cosiddetto del “Valentino” o del “Pallamaglio”, si deve a Marcellino Roda (1814 - 1892). Questo nuovo orto venne inaugurato nel 1886, in occasione dei festeggiamenti del primo centenario dell’Accademia, celebrati con un anno di ritardo. Si trattava un orto di piccole dimensioni, 3.749 metri quadrati, all’interno del quale erano ospitate anche la scuola, un locale per conservare le collezioni e la casa del custode. Era sito tra le vie Pallamaglio e Valperga Caluso, confinava ad Est con le serre municipali. Era completamente cintato.
L’Accademia presentò istanza d’acquisto del terreno al Comune facendo presente che con l’assegnazione del terreno all’Accademia, il municipio avrebbe evitato l’edificazione di immobili in prossimità delle serre municipali. Il Comune aderì alla domanda di cessione, ma vincolò la vendita alla condizione che gli edifici che avrebbero ospitato la scuola, le collezioni museali e l’abitazione del custode non fossero prospicienti le serre comunali, ma venissero costruiti sul confine con via Pallamaglio o via Valperga Caluso; che il terreno fosse destinato ad orto sperimentale e a scuola e che, in caso di diversa destinazione, tornasse in proprietà del Comune con il solo obbligo da parte di questo di rilevare le costruzioni a prezzo di stima e con facoltà dell’Accademia di asportare le piante presenti. Su questo terreno, sul lato di via Valperga Caluso, nel 1889, l’Accademia costruirà anche la propria sede. Nel nuovo orto la scelta degli alberi da mettere a dimora venne effettuata sulla base di criteri non solo razionali, ma anche estetici. Secondo la descrizione iniziale di Marcellino Roda, presso l’edificio della scuola erano posti “alberelli” di meli, peri, ciliegi e susini, preceduti da due siepi, una di lamponi e una di ribes e uva spina.
L’area centrale, delimitata da un filare di peri, era destinata alle colture sperimentali: piante tessili, da foraggio, da zucchero, cereali. Gli esiti di queste colture, a seconda delle tecniche e dei concimi utilizzati, venivano presentati negli Annali dell’Accademia. Una terza parte era destinata a viti, alberi da frutto e alla coltura di ortaggi e legumi “non comuni”, di asparagi, di meloni che crescevano sotto campane di vetro, di fragole a frutto grande. L’aiuola meglio esposta era destinata ad ospitare i cassoni con i letti caldi per le colture forzate. Oltre alla cisterna dell’acqua, era presente anche un apiario per favorire l’impollinazione. Ai muri di cinta erano accostati albicocchi e susini a spalliera, al muro a sud erano appoggiate uve da tavola.
La prevalenza di queste ultime colture era dettata dalla volontà di proseguire qui la scuola teorico-pratica di frutticoltura avviata nell’orto della Crocetta. Marcellino Roda ricordò che il piantamento era stato sollecito grazie a generose donazioni di alberi, la più consistente proveniente dalla ditta Cirio: 114 piante di peri di 64 varietà diverse, oltre a parecchi peschi, ciliegi, viti e susini. Altre donazioni erano state effettuate da soci dell’Accademia e dallo stabilimento Burdin, che aveva offerto una collezione di ciliegi e dei peri coltivati in vasi. La prevalenza delle colture di specie arboree da frutto venne mantenuta negli anni successivi, con l’aggiunta di qualche coltivazione ortense e floreale. Date le modeste dimensioni del campo non ebbero sviluppo le specie erbacee, salvo alcuni tentativi di coltivazione dell’ortica. Durante la prima guerra mondiale i prodotti del campo vennero distribuiti gratuitamente ai bisognosi e nel corso del secondo conflitto il campo venne trasformato in “orto di guerra”, diventando difficilmente governabile da parte degli accademici.
Del resto, con il tempo, le dimensioni del campo si andavano dimostrando sempre più insufficienti e alcuni accademici avevano preso a sperimentare fuori, presso aziende private o presso l’Istituto Bonafous a Chieri. Secondo quanto previsto nell’atto d’acquisto, il terreno tornò allora al Municipio, e sembra che ciò sia accaduto senza particolari discussioni, anche perché l’Accademia aveva già da tempo acquisito un nuovo e ben più grande campo sperimentale. Nel 1927, pochi mesi prima della morte, Camilla Serafino aveva infatti legato all’Accademia una cascina in Vezzolano, 27 ettari e 83 are di terra, oltre al chiostro contiguo all’abbazia e alla cascina stessa. Su questi terreni era stato realizzato il terzo campo sperimentale dell’Accademia, tuttora attivo. Nell’area dell’ex orto del Valentino venne edificato nel 1833 l’Istituto Nazionale Elettrotecnico Galileo Ferraris.
[fonte: R. Allio, Gli Orti sperimentali dell’Accademia di Agricoltura di Torino, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
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