Cittą di Torino

Museo della Frutta

“…frutti modellati così vivamente dal vero da scambiarli coi naturali…” – Francesco Garnier Valletti

Glossario

Balbis Giovanni Battista (Moretta, 1765 – Torino, 1831)
Nasce a Moretta nel 1765, figlio di un medico che fu sindaco del piccolo centro saluzzese e militante giacobino. Studente del celebre Collegio delle Province di Torino, allievo prediletto di Carlo Allioni (1728-1804), si laurea in medicina nel 1785. La sua carriera accademica ottiene un primo riconoscimento nel 1788 con l’aggregazione al Collegio dei medici. Nel 1792 intraprende un viaggio di studio in Italia, durante il quale incontra Lazzaro Spallanzani, Alessandro Volta, Domenico Cirillo, Felice Fontana, Giovanni Rasori. Nel 1794, rientrato in Piemonte, è costretto a una rocambolesca fuga, essendo stato accusato insieme ad altri medici suoi amici di aver partecipato a una congiura giacobina. Ripara tra le file dell’esercito francese, dove nel 1797 acquisisce il titolo di vice-medico in capo dell’Armata d’Italia. Dopo il crollo dell’antico regime sabaudo, diviene membro del governo provvisorio repubblicano e, nel febbraio 1799, si impegna in favore dell’annessione del Piemonte alla Francia. Costretto nuovamente a espatriare nello stesso anno, ritorna in Piemonte dopo la battaglia di Marengo, affermandosi come un esponente della cosiddetta «cabale des médecins», un potente gruppo di pressione formato dagli scienziati repubblicani che, durante i primi anni del periodo napoleonico, sfrutta la militanza politica e le relazioni personali con i vertici dell’istruzione e della medicina francese per avviare un’opera di riforma degli studi e delle professioni, non solo in campo sanitario. A Torino ricopre la carica di direttore dell’Orto Botanico, docente di Botanica all’Università, membro dell’Accademia delle Scienze e presidente della Società di Agricoltura.
L’evoluzione autoritaria del regime napoleonico, che determina l’emarginazione dei repubblicani italiani, lo induce a concentrarsi sempre più sulla ricerca scientifica, diventando uno degli scienziati piemontesi più noti a livello europeo. Ciononostante, nel 1814, al rientro dei Savoia, viene espulso da tutti gli incarichi pubblici, come altri suoi colleghi della Facoltà medico-chirurgica. Continua, tuttavia, a impegnarsi in campo scientifico, con la pubblicazione della Flora ticinensis, il riordino del ricchissimo erbario privato, e la coltivazione di piante rare. Nel 1819, accogliendo uno dei tanti inviti che gli giungevano dall’estero, si trasferisce a Lione, dove ottiene la cattedra di Botanica e la direzione del Giardino botanico. Qui pubblica la sua ultima grande opera, la Flore Lyonnaise e partecipa alla fondazione della Societé Linnéenne, di cui è il primo presidente. Dopo il fallimento della rivoluzione del 1821 ospita molti esuli piemontesi, cui assicura protezione e aiuti grazie alla sue numerose conoscenze in tutta Europa. Nel 1830 chiede di essere lasciato a riposo e rientra a Torino, dove muore il 13 febbraio 1831.
[fonte: S. Montaldo, I Burdin. Una dinastia di vivaisti tra Savoia e l’Italia, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Balbo Bertone Carlo Maria Ernesto, conte di Sambuy (Vienna, 1837 – Torino, 1909)
Uomo politico e figura di primo piano nell’ambiente della cultura artistica torinese del periodo. Eletto consigliere comunale nel 1867, ricopre la carica di sindaco a Torino tra il 1883 ed il 1886, deputato prima e senatore poi del Regno d'Italia durante la XV legislatura, mantiene allo tempo stesso un ruolo attivo nel comune di Chieri. Nel 1870 viene nominato Soprintendente ai giardini pubblici. In collaborazione con Marcellino Roda (1814-1892), direttore dei giardini dal 1869, inaugura una nuova e più attenta gestione del verde pubblico. Insieme progettano la conversione del Giardino dei Ripari nell'Aiuola Balbo, gli square di piazza Statuto e di piazza Cavour. Tra il 1871 e il 1876 allestisce il progetto per l'ampliamento del Parco del Valentino a sud del Castello, tenendo conto delle sopraggiunte necessità della Regia Scuola di Applicazione per gli Ingegneri che, dal 1861, aveva trovato la propria sede nel Castello stesso, delle sedi della Società di Canottieri e incrementandolo sotto il profilo dei servizi offerti per lo sport, lo svago e il divertimento della cittadinanza. Nel progetto, infatti, sono contemplati sia una pista per il pattinaggio a rotelle, sia un laghetto che, d’inverno, poteva essere usato dai pattinatori. L'esperienza raggiunta dal Sambuy nell’ideazione del Parco del Valentino fa sì che nel 1874 il Comune di Bologna gli commissioni la progettazione dei Giardini Margherita, realizzati poi con Marcellino Roda. Nell’ultimo decennio della sua vita è membro del consiglio del Circolo degli Artisti, della Reale Accademia Albertina di Belle Arti, della Società per la Promozione delle Belle Arti, della Società Corale e figura come membro fondatore della Società di Archeologia e Belle Arti. Nel 1899, è eletto primo presidente della neonata Società fotografica Subalpina. Muore a Torino il 24 febbraio 1909.
[fonte: D. Jalla, Le Serre municipali, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Ballatore di Rosana Vittorio Eugenio (Torino, 1880 – 1948)
Architetto. Nasce a Torino il 5 luglio 1880, frequenta a Parigi l’École des Beaux Arts, ma è soprattutto a Torino che esercita la professione di architetto con molte e prestigiose realizzazioni. Tra i migliori interpreti dell’art nouveau subalpina, imprime un particolare carattere personale alle proprie opere, secondo un gusto che richiama la secessione viennese. Fra i suoi molti progetti per edifici ad uso residenziale si ricordano, in particolare, la palazzina in via Vespucci 39 (1909), la casa Bellia in corso Fiume 11 (1912), le torri Rivella, situate in corso Regio Parco 1 e 2. Nel 1910 progetta lo Stadium, grandiosa arena inaugurata in occasione dell’Esposizione Universale del 1911. Situato fra i corsi Duca degli Abruzzi, Einaudi, Castelfidardo e Montevecchio, interamente costruito in cemento armato, viene demolito prima della seconda Guerra mondiale. La competenza acquisita fu determinante per la progettazione di altri due impianti sportivi di notevole consistenza: il Motovelodromo di corso Casale 144 (1920) e il campo di calcio del "Torino" in via Filadelfia 38 (1926), entrambi con gradinate e tribuna in cemento armato a vista. A una fase più matura della sua attività appartengono l'Istituto Elettrotecnico Nazionale "Galileo Ferraris" (1931-1933) di corso Massimo d'Azeglio 42 e l'edificio per l'Istituto di Medicina Legale e Obitorio (1940) in corso Galilei, angolo via Chiabrera, progettato per l'Università di Torino. Muore a Torino il 12 marzo 1948.
Barillet–Deschamps Jean Pierre (Saint Antoin-du-Rocher, 1824 – Vichy, 1875)
Architetto, giardiniere e paesaggista francese. Figlio di un operaio giardiniere, divenne nel 1841 specialista di giardinaggio dopo essersi formato alla scuola di capogiardinieri di «La Paternelle» a Mettray (comune del dipartimento Indre-et-Loire). Dopo numerose esperienze di progettazione, costruzione e conduzione di giardini, si perfeziona a Parigi in Horticulture des Jardins des Plantes fino a divenire Giardiniere capo del Service de Promenade et Plantations de la Ville de Paris. Allievo e collaboratore di Jean Charles Adolphe Alphand (1817-1891), ingegnere capo del medesimo servizio sin dal 1854, è l’artefice dei principali giardini e parchi della Parigi ottocentesca (Bois de Boulogne, Bois de Vincennes, Parc des Buttes–Chaumont). Nel 1860, la Città di Torino affida ad Alphand la progettazione del verde urbano che, a sua volta, incarica lo stesso Barillet-Deschamps della realizzazione del sistema verde torinese. In questo contesto nascono gli square di piazza Carlo Felice e di via Cernaia e i giardini Lamarmora. Negli stessi anni Barillet-Deschamps definisce diversi progetti per il parco del Valentino che integra il Castello in un grande jardin valloné esteso da corso Vittorio Emanuele II a corso Raffaello, seguito nell’esecuzione dal suo collaboratore Marc-Louis Quignon. La figura di Barillet-Deschamps è importante nel momento in cui Torino, conscia del ruolo di capitale, guarda alla Francia di Napoleone III, e a Parigi in particolare, come ad un modello per la propria immagine ambientale. Lavora anche in Belgio e in Prussia. Nel 1870 è chiamato al Cairo, in Egitto, che con l'occasione dell'apertura del Canale di Suez desidera mostrare al mondo un Egitto europeo. Qui contrae la malattia polmonare che lo porta alla morte prima di compiere i cinquant'anni.
Biacca
La biacca, o bianco di piombo, è un pigmento inorganico denso e molto coprente, il cui costituente principale è il carbonato di piombo. Conosciuto ed utilizzato fin dai tempi più antichi è stato l’unico bianco disponibile e, comunque il più diffuso, fino al XIX secolo in campo artistico, il cui uso è attestato soprattutto nella pittura a tempera e nella pittura ad olio.
Bizzozero Giulio (Varese, 1846 – Torino, 1901)
Nasce a Varese il 20 marzo del 1846. Enfant prodige della scienza, a soli 16 anni, studente di Medicina a Pavia, pubblica i primi risultati delle sue ricerche scientifiche. Laureatosi a vent’anni, dopo una breve attività didattica a Pavia dove insegna anche Cesare Lombroso (1835-1909), nel 1854 vince la cattedra di Patologia a Torino dove rimane fino alla morte, sopraggiunta nel 1901 a causa di una polmonite. A lui si deve la scoperta delle piastrine e del loro ruolo nella coagulazione del sangue e lo sviluppo di importanti ricerche nel campo della patologia generale. La sua attività fu fondamentale per il rinnovamento metodologico della ricerca scientifica torinese negli ultimi decenni dell'Ottocento. Bizzozero rivestì numerose cariche, tra le quali quella di socio dell’Accademia nazionale dei Lincei, dal 1883, e quella di rettore dell’Università torinese, dal 1885; nel 1890 diviene senatore del Regno. Negli ultimi anni di vita, quando una malattia oculare gli impedisce di continuare i suoi studi al microscopio, si dedica a ricerche sulle esigenze igienico-sanitarie della popolazione, con una particolare attenzione alle malattie infettive e alla mortalità infantile.
Bonafous Matthieu (Lione, 1793 – 1852)
Nasce a Lione il 7 marzo 1793 da una famiglia di commercianti e spedizionieri impegnata nella gestione dei collegamenti e dei trasporti tra il Piemonte e la Francia. Dopo aver compiuto i primi studi al Collège de Savoie di Chambéry, all’inizio dell’Ottocento si trasferisce a Parigi, dove frequenta le lezioni di botanica, chimica e zoologia svolte al Muséum d’Histoire naturelle e al Collège de France da alcuni degli scienziati più importanti dell’epoca, come Georges Cuvier, Jean-Baptiste Lamarck, Etienne Geoffroy de Saint-Hilaire. Nel 1813, alla morte del padre, diviene direttore della filiale torinese della ditta di famiglia, ma ben presto abbandona ogni responsabilità nell’azienda, dedicandosi interamente alla ricerca scientifica. Ad indirizzarlo verso gli studi di agronomia applicata è il nonno materno, Matthieu Verne, che era stato un intimo amico dell’abate Rozier. Questi interessi lo portano a stabilire una stretta collaborazione scientifica con Giovanni Battista Balbis e Michele Buniva, tramite i quali amplia il suo patrimonio di conoscenze scientifiche. Si interessa, in particolare, all’opera di Vincenzo Dandolo per il rinnovamento della gelsibachicoltura, un settore che all’epoca è al centro delle sperimentazioni agronomiche e nel quale si afferma come uno degli esperti più autorevoli, pubblicando tra il 1821 e il 1848 almeno diciotto studi scientifici sull’argomento. E’ nell’Orto Sperimentale torinese della Crocetta che Bonafous sperimenta le possibili modalità di coltivazione del nuovo tipo di gelso, il Morus multicaulis o Morus cucullata, detto anche «delle Filippine» (introdotto in Francia nel 1821), che è occasione di ingenti guadagni per lui e per la ditta Burdin. Inoltre, partecipa agli sforzi per l’acclimatazione di nuove specie e di nuove varietà di piante economicamente utili, come il riso, la barbabietola da zucchero e il mais. Questi studi sono compiuti presso l’Orto sperimentale della Crocetta, di proprietà della Società agraria di Torino, che diviene il centro di un’intensa opera di diffusione nelle campagne subalpine di nuove coltivazioni. Di rilievo sono i continui rapporti che Bonafous intreccia con i botanici incaricati dell’insegnamento di colture erbacee al Muséum d’Histoire Naturelle di Parigi, che gli permettono di ottenere numerose piante esotiche da acclimatare nell’Orto della Crocetta, e l’assidua collaborazione con gli «Annales de l’Agriculture française». Acquista dall’amico Balbis l’erbario di Carlo Allioni, che lascia ai suoi eredi, dai quali, attraverso la Regia Accademia di Agricoltura, giunge infine all’Orto Botanico di Torino. Nel 1834, ormai studioso affermato, si laurea in medicina a Montpellier. Il suo impegno per la diffusione dell’istruzione agraria lo spinge a costituire a Saint-Jean de Maurienne, in Savoia, un campo sperimentale, un impianto di acque termali e una biblioteca formata da duemila volumi. Muore a Parigi il 23 marzo 1852. [fonte: S. Montaldo, I Burdin. Una dinastia di vivaisti tra Savoia e l’Italia, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Boselli Paolo (Savona, 1838 – Roma, 1932)
Politico italiano. Parlamentare e ministro, si laurea in giurisprudenza nel 1860 e collabora con l'allora ministro dell'agricoltura, Francesco Cordova e, su incarico di quest’ultimo, viene nominato nel 1867 segretario generale della Commissione italiana all’Esposizione Universale di Parigi. Due anni dopo, diviene professore universitario di Scienza delle Finanze a Roma, ma si dimette dopo pochi mesi per dedicarsi alla politica. Eletto al Parlamento italiano nel 1870, nelle file della Destra storica, inizialmente liberista, si avvicina in seguito a Francesco Crispi e dal 1888 ricopre vari incarichi ministeriali. Eletto più volte presidente della Provicia di Torino, è nominato direttore del Regio Museo Industriale Italiano dal 1904 al 1907. Caduto nel 1916 il governo Calandra, Boselli diviene Presidente del Consiglio dei Ministri. Rassegna le dimissioni dopo la battaglia di Caporetto. Nel 1922 è favorevole all'ascesa del fascismo, al quale lo accomuna l'avversione per il movimento socialista, e nel 1924 riceve la tessera a honorem del Partito Nazionale Fascista. Muore a Roma nel 1932.
Burdin Auguste (Chambéry, 1815 – Torino, 1854)
Figlio unico di François Burdin, alla morte eredita l’immenso patrimonio paterno, tra cui gli stabilimenti ortofrutticoli di Milano e Torino. Il vivaio torinese di San Salvario è, all’epoca, il più grande vivaio del regno di Sardegna ed è indicato nelle prime guide turistiche della Savoia come meta di grande interesse per la razionale e artistica distribuzione delle coltivazioni, la straordinaria varietà delle specie, la spettacolare serra a ferro di cavallo riscaldata a vapore, meta per le passeggiate dei torinesi. A Torino Auguste Burdin, fino alla morte del padre, si occupa dello sviluppo di un settore del grande progetto paterno: la realizzazione di un museo agricolo con annessa fabbrica di macchinari e attrezzi rurali, che deve servire per costruire, su licenza, le nuove macchine inventate in Inghilterra, perfezionarle, sperimentarle negli stabilimenti e nei poderi modello e farle così conoscere e porle in vendita. All’interno della fabbrica vengono costruite le prime macchine a vapore piemontesi e il catalogo pubblicato nel 1844 fornisce un’idea dell’ampia offerta di articoli. Auguste, pur dotato di spirito innovatore, non ha però il senso degli affari del padre e si lancia in una serie di investimenti eccessivi.
Nel novembre 1843 acquista un fondo di 26 ettari a Saint Cassin, vicino a Chambéry; nel gennaio 1844 acquisisce da Michel Saint Martin (socio del padre) l’intera proprietà del terreno di San Salvario e avvia una ristrutturazione degli impianti; torna quindi a investire in Savoia, fondando una nuova società vivaistica e si avventura pure sul mercato francese con l’apertura di uno stabilimento a Marsiglia. Una simile dilatazione degli impegni lo costringe ad affidarsi a procuratori per la gestione dei diversi stabilimenti, a contrarre pesanti prestiti e, infine, ad ipotecare gli stabilimenti di Torino e Milano. La sua azzardata politica aziendale non è premiata dalla buona sorte: all’inizio degli anni Quaranta il grande affare del «gelso delle Filippine» va esaurendosi e inizia a farsi sentire la concorrenza di alcune grandi strutture vivaistiche che intanto sono sorte a Torino e nel Regno Lombardo-Veneto. Su questa situazione, già compromessa dal lato finanziario, la grave crisi economica del 1846-47 ha un effetto dirompente e il blocco dei commerci provocato dall’inizio della rivoluzione europea del 1848 arreca, infine, il colpo di grazia. Nel maggio-giugno di quell’anno, mentre sui campi del Lombardo-Veneto si combatte la prima guerra d’indipendenza, i creditori di Burdin avviano una misura di garanzia per tutelare i capitali impegnati. Per evitare il fallimento, Auguste è costretto a due passi: il primo è la realizzazione della società per azioni già progettata dal padre, ma su basi assai più ristrette, al fine di garantire la sopravvivenza dei vivai; il secondo è la vendita di una parte dei terreni di San Salvario resi fabbricabili dal Piano regolatore dell’ampliazione della Città, approvato dal Consiglio comunale il 20 marzo 1848 e divenuti importanti sul mercato immobiliare, grazie al progetto di realizzare a Porta Nuova lo scalo ferroviario. Il 1° gennaio 1849 nasce così la Società Agrario Botanica Burdin Maggiore e Comp. per la gestione degli stabilimenti di Torino e Milano. Ormai la vecchia sede di San Salvario non è più sufficiente per le attività del vivaio. Nel settembre 1851 Auguste affitta la cascina delle monache di Santa Croce, o Vallinotto, di circa 13 ettari, sempre in San Salvario, in cui è immediatamente avviato un nuovo vivaio. Qui ha sede l’ultima delle iniziative di Auguste Burdin: la realizzazione di un Museo pomologico. Tentando ancora una volta di percorrere la strada «dell’interesse privato concordante colla utilità generale e col vero progresso», Auguste individua nelle realizzazioni di frutta artificiale di Francesco Garnier Valletti una strategia pubblicitaria innovativa e, insieme, la soluzione al problema che da sempre ha tormentato l’attività dei grandi vivaisti, vale a dire la messa a punto di una nomenclatura comune a tutti e non suscettibile di variazioni dialettali e linguistiche. Auguste incarica Garnier Valletti, da poco rientrato in patria dalla Russia e afflitto da problemi economici e familiari, di riprodurre i frutti coltivati nel vivaio torinese, che sono presentati al pubblico nella seconda Esposizione di Floricoltura organizzata dalla Reale Accademia di Agricoltura nel maggio 1852 all’interno del palazzo della Reale Accademia delle Scienze. La mostra, consistente in 160 frutti artificiali, ha un gran successo e nei mesi seguenti Burdin perfeziona l’accordo con Garnier Valletti in vista di un progetto ambizioso: la realizzazione di un grande Museo Pomologico che riproduca tutti gli esemplari catalogati nella Pomona generale. La sua idea è che l’esposizione permanente sia affiancata dalla messa a coltura di esemplari vivi corrispondenti ai frutti esposti e da una scuola sperimentale di potatura per istruire i coltivatori nelle nuove pratiche e mantenere il Museo al passo con le varietà selezionate da vivaisti e scienziati. In sostanza Auguste progetta il Museo come una vetrina dei progressi agricoli e, al tempo stesso, come un canale pubblicitario per la società vivaistica. Per realizzarlo Burdin stima un periodo di almeno nove anni e un capitale di 54.000 lire, da impiegarsi in parte nello stipendio di Garnier Valletti (fissato a 3.000 lire annue). Questi ha collocato il suo laboratorio nella cascina del Vallinotto, dove sono stati riuniti anche i 160 esemplari già realizzati ma, mentre la sottoscrizione delle azioni di 27 lire ciascuna lanciata nell’agosto 1853 attraverso il catalogo della Società agrario-botanica procede nell’alta società torinese, Auguste Burdin si ammala e muore il 25 febbraio 1854, a soli 39 anni. Alla vedova Félicité Maigrat e ai tre figli ancora minorenni lascia un’eredità gravata di 25.000 lire di passivo, però sia la Società agraria sia il Museo pomologico sopravvivono: la prima verrà risolta solo nel 1885, pur avendo abbandonato negli anni Sessanta la vecchia sede a San Salvario; il secondo sarà istituito nel 1857 da una società per azioni che acquista una parte degli esemplari già realizzati e incarica Garnier Valletti di proseguire il lavoro fino a formare una raccolta completa di tutti i frutti che si coltivavano nei Regi Stati. La Società per il Museo Pomologico si scioglie nel 1860, ma la collezione modellata da Garnier Valletti rimane nei locali dello stabilimento fino al 1878, quando viene offerta in dono al Municipio di Torino.
[fonte: S. Montaldo, I Burdin. Una dinastia di vivaisti tra Savoia e l’Italia, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Burdin Charles (Chambéry, 1788 – post 1857)
Quarto ed ultimo dei figli di Martin Burdin, nasce a Chambéry nel 1788 e, come il fratello François con il quale fonda nel 1818 una società (La Martin Burdin frères et Compagnie)per gestire la ditta avuta in eredità dal padre, riceve una rigorosa formazione botanica e agronomica facendo le prime esperienze presso la Villa reale di Monza. Nel 1822, François e Charles decidono di ampliare ulteriormente la loro attività commerciale e aprono un vivaio in San Salvario, a Torino, in un podere attiguo al convento di San Solutore. Alla sua direzione è preposto lo stesso Charles, con la clausola che il fratello maggiore ne possa prendere il controllo in qualsiasi momento. Nel 1823 esce il primo catalogo con i prodotti coltivati nello stabilimento subalpino. Nel 1827 il fratello gli cede anche la direzione dello stabilimento savoiardo. Grazie agli ingenti proventi ottenuti dalla commercializzazione del gelso «delle Filippine», nel 1828 lo stabilimento di San Salvario viene ulteriormente ampliato e nel 1832 il re Carlo Alberto concede il titolo di Regio Stabilimento agrario botanico. Il vivaio di San Salvario è, all’epoca, il più grande vivaio del regno di Sardegna ed è indicato nelle prime guide turistiche della Savoia come meta di grande interesse per la razionale e artistica distribuzione delle coltivazioni, la straordinaria varietà delle specie e la spettacolare serra a ferro di cavallo riscaldata a vapore, meta per le passeggiate dei torinesi. É, inoltre, la fonte originaria di tutti i grandi alberi dei parchi dell’area lionese-ginevrina nella Valle del Rodano. Nel 1857 Charles partecipa con una collezione di 38 piante alla mostra permanente di oggetti d’arte, d’industria e di agricoltura allestita dalla Societée nationelle savoisienne d’instruction mutuelle a Chambéry.
[fonte: S. Montaldo, I Burdin. Una dinastia di vivaisti tra Savoia e l’Italia, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Burdin Martin (Saint-Eusèbe, 1740 – Chambéry, 1820)
Agronomo e orticultore savoiardo, nato a Saint-Eusèbe di Rumilly presso Annecy in Alta Savoia nel 1740, è da considerarsi l’iniziatore della tradizione agronoma e vivaista della famiglia. Grazie al sostegno di François-Joseph de Conzié (1707-1789), un possidente savoiardo colto e illuminato, approfondisce e si appassiona di agronomia, di orticoltura e dell’arte del giardinaggio. Studia con l’abate Jean Baptiste François Rozier (1734-1793), forse il più celebre degli agronomi francesi dell’epoca, lavora a Parigi presso i Certosini, a Montreuil (Île-de-France) e in Olanda, ma viaggia pure in Inghilterra e in Italia. Nel 1765 si stabilisce a Chambéry, dove apre uno stabilimento agrario nel sobborgo di Nézin e, nel 1779, pubblica il primo catalogo commerciale di vendita, al quale seguono altre due edizioni. Proprio nel corso della catalogazione di prodotti agricoli, riscontra che la maggiore difficoltà nella sua attività commerciale è quella operare una precisa identificazione delle specie e delle varietà poste in vendita, problema sorto nel momento in cui Martin ha allargato il suo giro d’affari oltre la cerchia locale. In questo stesso periodo, anche gli scienziati e i botanici europei iniziano a rendersi conto che l’inesattezza della “lingua agronomica” è un ostacolo di fondo al progresso scientifico. Diviene membro della Société d’Agricolture di Chambéry e qui, nel 1794, pubblica un catalogo (Catalogue raisonnè des arbres frutiers et autres plantes et grains que cultive et vende le Sr. Martin Burdin) molto ricco di informazioni tecniche e corredato di un manuale d’istruzioni per la messa a dimora degli alberi da frutto, in cui trasferisce le conoscenze acquisite in anni di studio e sperimentazione, con indicazione sulla scelta del terreno e delle esposizioni migliori, sui lavori preparatori che devono precedere la messa a dimora degli alberi e sui principi della potatura. Nel settembre del 1818 cede la direzione della ditta ai figli François e Charles. Muore a Torino il 25 febbraio 1820. La sua eredità è di tutto rispetto: oltre a un milione di vegetali coltivati a Nézin, una rete di corrispondenti a Torino, Genova, Milano, Livorno, Ginevra, Losanna, Strasburgo, Grenoble, Lione, Marsiglia ne rende possibile la commercializzazione nei Paesi europei e perfino oltremare.
[fonte: R. Caramiello, G. Scalva, L’Orto Botanico dell’Università al Valentino, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Burdin François (Chambéry, 1785 – Milano, 1843)
Secondogenito di Martin, segue la tradizione agronomica e vivaista della famiglia. Studia all’Orto Botanico di Parigi e, in società con il fratello Charles, prosegue l’opera e l’attività paterna quando, nel 1818, succede al padre nella direzione della ditta di Nézin, a Chambéry. Due anni più tardi, nel 1822, decide di allargare ulteriormente la sua attività commerciale e apre un vivaio a Torino in San Salvario, in un podere attiguo al convento di San Solutore, affidandone la direzione al fratello Charles. Nel 1823 pubblica il primo catalogo relativo ai prodotti dello stabilimento subalpino. Nel 1827, insieme a alcuni botanici e possidenti terrieri francesi, tenta di dar vita alla Colonie Linnéenne de Savoie con un progetto innovativo teso a coniugare agricoltura, scienza e industria che però viene avversato dal governatore della Savoia. Nello stesso anno scioglie la società di famiglia, cede lo stabilimento savoiardo a Charles e, insieme a Michel Saint-Martin, fonda una nuova società per gestire il vivaio torinese, con l’obiettivo di dar vita ad un’azienda, la Burdin ainé et Compagnie, di dimensioni e caratteristiche nuove per l’Italia. Alla base di questa decisione, come si evince da una lettera inviata al marchese Cosimo Ridolfi (Firenze, 1794 -1865), ci sono ragioni economiche. La prima riguarda il costo dei terreni ad uso agricolo, assai più convenienti a Torino che a Chambéry; anche il salario medio di un lavoratore torinese è inferiore rispetto a quello di un bracciante d’oltralpe. Particolarmente importanti sono i rapporti intrapresi con Matthieu Bonafous per l’allevamento e la commercializzazione di una nuova varietà di gelso, cosiddetto «delle Filippine», che è fonte di ingenti guadagni. Per parecchi anni il gelso «delle Filippine» sarà sulla cresta dell’onda, non solo in Italia, dove costituisce l’asse portante della rapidissima diffusione della gelsicoltura. Sull’onda dei successi ottenuti, nel 1829 François apre un altro stabilimento a Milano, in vicolo dei Cappuccini, non lontano da Porta Orientale.
La Burdin ainé, all’avanguardia nella penisola come centro di miglioramento genetico e di diffusione delle varietà nel settore ortofrutticolo, svolge un’importante funzione di collegamento tra gli ambienti della scienza botanica e agronomica piemontese e il mondo dei produttori. Questi ultimi, spesso restii ad intraprendere i miglioramenti e le innovazioni suggerite dagli accademici o difficilmente raggiungibili attraverso i canali della comunicazione scientifica alta, sono meglio disposti nei confronti di chi parla il linguaggio del mercato e utilizza le reti commerciali. Intanto insieme ai profitti, giungono anche i riconoscimenti ufficiali, tra i quali il titolo di Regio Stabilimento Burdin Maggiore & Comp. (dove Maggiore sta per primogenito e la Compagnia è costituita dai fratelli), concesso nel 1832, anno in cui la ditta suscita grande meraviglia grazie alla realizzazione di una collinetta artificiale di piante esotiche nel cortile del Castello del Valentino, in occasione dell’esposizione dei prodotti dell’industria sabauda. Nello stesso anno François si trasferisce a Milano e qui continua a condurre esperimenti, pubblicare memorie scientifiche sull’allevamento dei bachi da seta e ad elaborare strategie per l’ulteriore espansione della società. Muore il 21 febbraio del 1843.
[fonte: S. Montaldo, I Burdin. Una dinastia di vivaisti tra Savoia e l’Italia, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]

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