L'Affidamento familiare: alcune esperienze
Testimonianze...
Vorrei avere 15 anni
Ho 15 anni, mi prendo cura di mia madre e amo disegnare.
Mia madre ha una malattia.
La mia mamma dice di sentire delle voci.
La mia mamma è molto nervosa, crede che gli altri possano controllare il suo pensiero e che complottino per farle del male.
Mia mamma non va più al lavoro, ha paura di uscire di casa.
Oggi ho pranzato da una mia amica perché il frigo a casa è vuoto. Mamma non esce di casa per fare la spesa perché pensa che la gente per strada la stia seguendo.
Ciao, io sono Eni e mi prendo cura di mia madre, ma chi si prende cura di me?
Quando torno da scuola la vedo seduta sul tavolo in cucina.
Passa le sue giornate così: fumando sigarette e bevendo birra. A volte sta talmente male che vomita, ma non ha nemmeno la forza di ripulire, così lo faccio io per lei.
A volte la guardo e scoppio a piangere vedendo come la malattia se la stia lentamente divorando, come stia piano piano divorando l'affettività che lei provava nei mie confronti.
Ciao, io sono Eni, ho 15 anni e amo disegnare.
Sono parecchi giorni che la mamma non dorme. Fissa continuamente un punto della finestra dialogando con il vuoto.
Lei a quel vuoto ha dato un nome, finché quel vuoto non ha iniziato a darle degli ordini.
Oggi il vuoto, come tante altre volte, ha parlato con la mamma e per la prima volta è stata lei a disegnare qualcosa: ho la perfetta rappresentazione di una mappa di lividi addosso.
Vorrei evadere, vorrei scappare da queste quattro mura impregnate di fumo di sigaretta che intrappolano la mia spensieratezza e la mia libertà e mi relegano alla condizione di malattia di mia madre.
Vorrei sentirmi addosso l'età che ho; vorrei andare a scuola tranquilla e tornare a casa senza avere la paura che mia madre possa farsi del male, senza avere la paura che possa farmi del male, perché questo è accaduto fin troppe volte.
Vi scrivo in data odierna, oggi è il 15 gennaio del 2020.
Attualmente ho 20 anni e studio all'Università di Torino "Tecniche della Riabilitazione Psichiatrica".
Vedo mia madre con regolarità. Lei sta bene. Io sto bene.
Ma soprattutto... sapete cosa ha permesso tutto questo?
Una cosa chiamata AFFIDAMENTO.
Nel buio totale, una luce
Sono trascorsi tredici anni da quando mia sorella ed io, di 9 e 11, fummo accolte in una famiglia affidataria, dopo aver trascorso 4 anni in una comunità per minori. Ricordo di aver chiesto all'assistente sociale di cercarci una famiglia; in comunità, oltre a noi due, c'erano tutti maschi, ci sentivamo isolate e volevamo una mamma ed un papà che potessero crescerci.
La nostra famiglia d'origine purtroppo continuava ad avere problemi, dall'alcolismo al carcere, altri figli in comunità, una situazione tale che non ci poteva permettere di rientrare. La situazione in cui crescevamo ci faceva sentire diverse dalle altre compagne di scuola.
E finalmente una luce! L'assistente sociale ci comunicò che una coppia era disponibile all'affidamento familiare, ma non era certa che avrebbe potuto accogliere entrambe. Ricordo il "terrore" di essere separata dalla mia sorellina, ma la tenerezza che lessi negli occhi degli affidatari mi rassicurò, seguì l'incrociarsi dei loro sguardi e capii che non ci avrebbero diviso.
Una ragazza ora maggiorenne racconta la sua esperienza
Quando avevo 6 anni sono stata affidata ai miei zii paterni perché mia mamma aveva dei problemi di tossicodipendenza e depressione, mentre mio papà stava finendo le cure per un tumore, ed io avevo dei problemi alle gambe.
Per i primi tre anni mi sono trovata bene con i miei zii, anche se mi hanno messo contro mia mamma.
L'ultimo anno passato con i miei zii non è stato semplice perché litigavano spesso tra loro, arrivando anche a mettersi le mani addosso. Mio zio un giorno se ne andò di casa lasciandoci da sole e mia zia andò in depressione.
Perciò le assistenti sociali ritennero opportuno portarmi via da lì il prima possibile e mi portarono da una famiglia affidataria. All'inizio per me è stato difficile perché avevo solo 9 anni e non capivo il perché mi avessero portata via da mia zia e dai miei amici, ma ad oggi, dico GRAZIE per questa scelta.
Storia di Fabio
Fabio arriva da noi all'inizio di luglio, proprio quando l'estate inizia ed il gruppo di sostegno se ne va giustamente in vacanza... e fin dalle prime settimane ci accorgiamo di quanto ne sentiamo il bisogno!
Nei mesi passati ci siamo immaginati mille scenari possibili ma la realtà come sempre supera la fantasia, e così ci ritroviamo immersi in situazioni impreviste, emozioni forti ed organizzazione quotidiana da rivoluzionare: con chi confrontarci, che conosca la situazione?
Quando a settembre ci troviamo per la prima volta nel gruppo, eccoci finalmente di fronte a persone che vivono la medesima realtà: l'atmosfera di condivisione è forte, e anche se ogni esperienza è diversa dalle altre ci si accorge che esiste un "bagaglio" comune che facilita il dialogo.
L'accoglienza è sorridente, le parole escono con facilità, le difficoltà si ridimensionano, e davvero se ne esce rigenerati! L'incontro con il gruppo è stato terapeutico, ci ha aiutati ad uscire dal timore di non farcela e ci ha ridato una visione molto positiva dell'esperienza dell'affido e dell'importanza che Fabio ha per la nostra famiglia!
Io mi sento fortunato
Ciao a tutti, sono un ragazzo che è cresciuto in una famiglia affidataria.
Quando questa famiglia mi ha accolto ero piccolo, non avevo ancora l'età per capire certe cose. Ancora oggi, nonostante io sia ritornato a casa dalla mia famiglia, ci penso e mi sento più che fortunato di avere avuto al mio fianco queste persone.
Fortunato di avere avuto qualcuno che è stato sempre al mio fianco, sia nei momenti più belli sia in quelli più difficili, durante i quali avrei potuto prendere una brutta strada se non ci fossero stati loro.
Ora ho 21 anni, ho finito la scuola e ho un lavoro che mi permette di aiutare mia madre e togliermi qualche sfizio.
STORIE - Allontanamenti 0.5
Paolo ed Elena 5 e 3 anni, mano nella mano
Agosto, 2 del mattino, sabato notte. Una donna cammina per le vie di un noto quartiere di Torino, molto popoloso e pieno di locali.
In lontananza si accorge di due bimbi che, in mutandine e canottiera, camminano per la via mano nella mano. Con loro nessun adulto. Si avvicina, domandai loro i nomi, prova a cercare nei locali circostanti qualcuno che li conosca.
Nessuno sa di loro.
Intervenute le Forze dell'Ordine, la madre viene rintracciata solo qualche ora dopo di ritorno da un locale nel quale, la notte, lavora come intrattenitrice. "Tanto i bimbi sono buoni di notte, dormono tranquilli".
Non quella notte, Elena si era svegliata, e, spaventata, era andata da Paolo per farsi consolare.
Insieme avevano deciso di scendere ed andare a cercare la mamma.
In realtà tante altre volte si erano svegliati impauriti, si erano abbracciati tentando di darsi coraggio e qualche volta erano riusciti a riaddormentarsi.
Anche nei giorni successivi, al sicuro, la suora, che aveva deciso di dormire in camera con loro per rassicurarli, li aveva visti svegliarsi, preparare un piccolo zainetto e tentare di andare mano nella mano verso l'uscita della casa famiglia.
Francesco, 5 anni e il cucciolo Timmy
Dolce Francesco, tu ed il tuo cagnolino Timmy eravate un'unica cosa, vi legava un affetto infinito, era forse l'unico essere vivente che sentivi davvero vicino ed attento a te, ti voleva bene e gli volevi bene.
Per il resto, credevi di essere invisibile.
Eravate talmente in simbiosi che avevi iniziato a comportati come Timmy: camminavi a quattro zampe, facevi le feste come lui, correvi dietro ai legnetti che ti lanciavano recuperandoli e mangiavi e bevevi nelle ciotole con lui.
Anche per mamma e papà questo gioco sembrava quasi divertente e, quando non avvertivano l'inquietudine, ridevano di questa tua metamorfosi.
D'altra parte la tua mamma viveva nel suo mondo lontano dalla realtà, di bambina che non era mai riuscita a crescere; tuo papà invece era sempre fuori casa e quando tornava e vedeva che la mamma non aveva fatto niente, non le risparmiava una bella lezione e così volavano piatti ed urla.
Ma quella volta che avevi provato a rispondergli e a difendere mamma era stato davvero troppo. Papà aveva preso Timmy e, di fronte a te, l'aveva picchiato e torturato così violentemente sino quasi ad ammazzarlo, una bella lezione anche per te che avevi osato contraddirlo.
Avevi pianto ed urlato tutta la notte ed il mattino dopo, distrutto, a scuola avevi raccontato tutto alla maestra Angela, quella arrivata da poco ma che da subito si era affezionata a te, che fin dal primo giorno ti aveva "visto".
La tenda di Antonella, 4 mesi, marzo 2019
In uno dei parchi cittadini una donna sta passeggiando con il suo cane che, correndo, si avvicina ad una piccola tenda da campeggio. Il pianto acuto di una neonata.
Lì dentro ci sei tu, fa freddo, è appena uscito un sole pallido dopo giorni di pioggia ininterrotta.
I tuoi genitori, nel loro vagare, si erano fermati lì; finiti i pannolini il tuo, pregno di escrementi e tu, tutta arrossata e dolorante. Anche un po' malnutrita e sottopeso, la tua mamma, che cercava di allattarti, non si prendeva molta cura neanche di sé stessa.
Il ricovero in ospedale per rimetterti in quadro e poi una famiglia affidataria per accoglierti in attesa che il Tribunale per i Minorenni decida.
I tuoi genitori non ce l'hanno fatta, non sono riusciti a mantenere i contatti con te e con i Servizi. Sono troppo feriti, la vita è stata dura con loro, ed ora tu aspetti la nuova mamma ed il nuovo papà che saranno scelti per te.
Un abbraccio forte e buona strada piccola Antonella.
Daniela ora può sbagliare
Daniela, avevi quasi sette anni quella volta che mamma ti mandò a portare le chiavi a papà. Solo che papà era al lavoro in un luogo della città molto distante da quello in cui abitavi.
Fu un agente della Polizia Municipale che, osservando questa bimba che vagava smarrita e sola per le vie trafficate, si avvicinò a te, chiese qual era il tuo nome e dove stessi andando.
Si stava preoccupando per te e tu prendesti senza timore la sua mano.
Molte altre cose hai raccontato subito e poi nel tempo trascorso con la famiglia affidataria.
Di quella volta che eri stata nuda sul pianerottolo perché papà si era vergognato di essere stato chiamato dalle tue maestre, la stessa vergogna la dovevi provare tu.
E quando invece si era tolto la cinghia, oppure delle urla e delle botte che mamma e papà si davano quando bevevano così tanto da non capire che lì c'eri tu e le tue tre sorelline più piccole, tutte morte di paura.
E ancora di tutte quelle volte in cui ti sei preoccupata per loro, che hai cercato di proteggerle, di dar loro il biberon e di prendertene cura.
Ora puoi giocare ed andare a scuola come tutte le bimbe, puoi respirare profondamente, lasciarti andare, ridere come una matta o piangere a dirotto. Ora puoi anche sbagliare.
Simona e i mandarini
Avevi solo sette anni e due fratellini più piccoli.
La casa era spoglia, non sembrava un luogo in cui vivesse una famiglia con dei bimbi. Un luogo più di transito, di deposito, che di vita.
I vostri genitori transitavano, appunto, ogni tanto, ma non erano mai molto lucidi, non si accorgevano di niente, tutti presi dalle loro cose e dalla loro roba.
In realtà la casa non era spoglia, era piena di roba accumulata malamente, distribuita sul pavimento, compresa spazzatura di ogni tipo.
Il frigorifero invece, quello sì che era spoglio, proprio vuoto direi e all'ora dei pasti non c'era mai nessun grande che apparecchiasse e mettesse qualcosa in tavola da mangiare.
E allora ci pensavi tu, per te ma soprattutto per i tuoi fratellini. Scendevi in strada, entravi nei negozi vicino a casa e chiedevi se avessero del cibo da regalarti.
Così piccola e così responsabile ed attenta!
Mi ricordo che per molto tempo hai avuto paura che mancasse il cibo, che per molto tempo ti sei preoccupata che i tuoi fratellini ricevessero le cure necessarie per crescere ed anche quando eri in affido già da un po', ogni giorno tenevi da parte quel mandarino che la mamma affidataria ti metteva nella cartella per la merenda.