La storia della «magnifica» farmacia omeopatica, i cui arredi
sono oggi conservati presso l'Archivio Storico della Città di
Torino, è connessa alle alterne fortune incontrate in Italia,
e specialmente in Piemonte, dall'omeopatia, fondata, sperimentata e
teorizzata tra Sette e Ottocento dal medico sassone Samuel Hahnemann
(Meissen, 1755 - Parigi, 1843).
Introdotta nel Regno delle Due Sicilie con il favore di Francesco I
e di Ferdinando II di Borbone, i quali vollero rispettivamente fosse
praticata nel 1828 nell'Ospedale militare della Trinità in Palermo
e nel 1837 nella cura dell'epidemia del "morbo asiatico",
l'omeopatia, negli anni trenta dell'Ottocento, approdò a Lucca
e poi, da Genova, a Torino, ove fu largamente osteggiata. Alle riserve
avanzate dalla medicina ufficiale subalpina che osservava che la preparazione
della maggior parte dei rimedi omeopatici non era contemplata nella
farmacopea, rispose nell'udienza del 14 maggio 1838 Carlo Alberto. Nei
verbali della seduta del Protomedicato del 28 maggio si comunicava infatti:
"Sua Maestà ha riconosciuto la convenienza di lasciare all'azione
del tempo di discreditare la pratica delle cure omeopatiche se si riconoscesse
illusorio o chimerico quel metodo, ovvero di mettere in maggior evidenza
quel che può contenere di reale e di utile". L'intenzione
sovrana era esplicita: "per ora nulla si provveda riguardo la pratica
di quel sistema tutte le volte che sarà adoperato da persone
debitamente autorizzate all'esercizio della Medicina o della Chirurgia
e che similmente per ora non debbano venir queste molestate per la somministranza
di rimedii proprii delle cure omeopatiche". Libertà dunque,
non licenza incondizionata.
Un certo scetticismo al riguardo della nuova "dottrina" tuttavia
permaneva, mentre l'assenza di regole ferree generava tra medici e farmacisti
non rare incomprensioni. Le istanze del Collegio degli Speziali di Torino
contro la pratica invalsa della provvista e dello smercio diretto, da
parte dei medici omeopatici, dei rimedi da essi stessi prescritti, approdarono
al trono. Con regio biglietto del 9 febbraio 1839, agli "speziali
legittimamente autorizzati ad esercitare la Farmacia nella capitale
e nelle altre città e terre" venne allora permesso di tenere
"spezierie di rimedi omeopatici, in sito separato dalle spezierie
ordinarie" e al "farmacista collegiato" Domenico Blengini
fu concesso di aprire nel capoluogo subalpino una spezieria specializzata;
conseguentemente "la spedizione di medicinali omeopatici [...]
per parte dei curanti" fu vietata.
Del dottor Blengini l'Archivio Storico conserva nelle Carte Buniva le
pratiche relative all'ammissione all'esame da speziale sostenuto nel
1803.
Sulla Guida di Torino, edita da Marzorati nel 1836, egli risultava titolare di una farmacia sita in contrada Santa Maria 3; nel 1842, pur mantenendo l'esercizio allopatico, era titolare di una farmacia omeopatica in contrada Dora Grossa, "accanto al n. 9", che nel 1845 si trasferì in contrada Santa Teresa, "accanto al n. 4".
Nella Guida del 1851 essa non compariva più, mentre risultava
attiva in contrada Carlo Alberto, accanto al Caffè Diley, la
farmacia di Vincenzo Vernetti. Ad essa si affiancò nel 1855 quella
di Carlo Cerutti, in contrada di Po "accanto al n. 33".
Mentre le Guide della città registravano un incremento dei medici
che praticavano l'omeopatia, salì anche il numero delle farmacie
specializzate, che tra il 1862 e il 1880 ammontavano a tre.
In contrada della Provvidenza (attuale via XX Settembre), "accanto all'1", nel 1862 aprì i battenti la già ricordata farmacia omeopatica di Pietro Arnulfi, dai preziosi arredi "in legno di ciliegio, verniciato di nero" e "filettature d'oro", con severi scaffali e file serrate di cassetti, ciascuno dei quali destinato alla custodia esclusiva di una sola sostanza, onde evitare contaminazioni. Nel 1875 in contrada Carlo Alberto la ditta Schiapparelli succedette alla farmacia Vernetti, mentre nel 1876 la farmacia Arnulfi fu rilevata dall'"Instituto Omeopatico" - associazione privata di medici, farmacisti, veterinari, seguaci e simpatizzanti della "scuola medica omeopatica" -, che nel 1882 allargò il proprio raggio d'azione a livello nazionale.
L'Istituto Omeopatico Italiano, come ebbe a definirsi il sodalizio "costituitosi allo scopo di sviluppare e diffondere in Italia la pratica dell'omeopatia con tutti i mezzi consentiti dalle leggi", si propose inizialmente "di aprire pubblici dispensari nelle principali città del Regno, di sostenere le spese occorrenti per la pubblicazione di un giornale e di stabilire premi annui per incoraggiare le cognizioni omeopatiche sperimentali e dimostrative". Nel 1886 Umberto I ne decretò l'erezione in ente morale. L'anno seguente, sotto la presidenza del medico Giuseppe Bonino, l'assemblea poté deliberare l'acquisto di una casa in via Orto Botanico (attuale via Lombroso), allo scopo di insediarvi un ospedale: l'Ospedale Omeopatico Italiano.
Il nosocomio, dotato nel 1890 di soli sei letti, ascesi a ventidue
nel 1903, accolse in poco meno di tre lustri 473 pazienti.
Nel 1929 gli fu aggregata la farmacia già Arnulfi, trasferita
dalla primitiva sede e ora destinata alla preparazione esclusiva dei
rimedi omeopatici necessari ai degenti.
Ma l'omeopatia, soggetta sin dall'origine ad alterna fortuna, nel volgere
di un breve decennio perdette gran parte dei suoi adepti. L'ospedale
fu declassato a "infermeria" e quindi a piccolo "cronicario".
Sugli arredi della farmacia si posò la coltre dell'abbandono; neppure la guerra risparmiò l'Istituto, che la ricostruzione tuttavia rimise faticosamente in funzione. Nel 1972 la Farmacia omeopatica storica, ritenuta da alcuni "più bella di quella di Londra", fu chiusa al pubblico e dimenticata. Riaffiorò dall'oblio, in condizioni deplorevoli, nel 1985, allorché, con lo scioglimento dell'Istituto, si pose il problema di assegnarle un proprietario volonteroso, interessato al suo ricupero e alla sua conservazione. Venne fortunosamente, e fortunatamente, designato allo scopo l'Archivio Storico comunale, che in quegli anni era in attesa di una sistemazione annunciata.
Con la realizzazione della sede dell'Archivio in via Barbaroux, la Farmacia, opportunamente ripristinata, è finalmente restituita alla collettività. Accanto alle ampolle, ai mortai e ai pestelli, utilizzati un tempo per la preparazione dei rimedi omeopatici, gli scaffali accolgono ora gli oltre 250 volumi superstiti della biblioteca specializzata dell'Istituto: trattati ottocenteschi, rare riviste del primo Novecento, preziosi manuali salvati dal degrado e dalla dispersione e dunque nuovamente consultabili da quanti siano interessati alla "medicina dei simili" e alla sua storia. Naturalmente un posto privilegiato è assegnato ad alcuni testi "sacri" di Samuel Hahnemann, quali il Traité de Matière médicale ou de l'action pure des médicaments homœopathiques e la Doctrine et traitement homœopathique par maladies chroniques, entrambi tradotti in francese dal tedesco a cura di A.-J.-L. Jourdan, membro dell'Académie Royale de Médecine, e pubblicati a Parigi da Baillière nel 1834 e nel 1846.
Dal 26 settembre al 9 dicembre 2005 ha avuto luogo la mostra curata da Luciana Manzo e Fulvio Peirone:
Una farmacia in Archivio
Medicina omeopatica in Piemonte tra Ottocento e Novecento
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