Le prime esposizioni propriamente dette, organizzate allo
scopo di mettere in mostra i progressi compiuti in campo tecnologico,
ebbero luogo in Inghilterra nella seconda metà del Settecento,
su impulso della London Society of Arts. Ma vero precursore delle
successive esposizioni universali fu il modello inauguratosi
in Francia alla fine del XVIII secolo che assolse esemplarmente
la funzione simbolica di autocelebrazione politica, mostrando
in rassegna la potenza industriale francese e premiando enfaticamente
i prodotti ritenuti dannosi per l'economia inglese.
Nel 1805 le autorità torinesi, su impulso dell'amministratore
generale Menou, imitarono il modello parigino, invitando artisti
e fabbricanti dei sei dipartimenti al di qua delle Alpi a esporre
i propri prodotti in occasione del passaggio a Torino di Napoleone,
diretto a Milano a cingere la corona ferrea. La rassegna rispecchiò
fedelmente lo stato dell'economia piemontese, ancorata a strutture
produttive di tipo protoindustriale e penalizzata dalla politica
commerciale francese. L'anno successivo i produttori piemontesi
furono invitati a partecipare alla prima grande esposizione dell'impero,
allestita a Parigi in Place des Invalides e destinata in parte
a offrire una mappatura statistica dell'economia francese.
Le successive esposizioni torinesi ebbero luogo nel 1811 e nel
1812, in occasione della festa di San Napoleone (desunto dalla
liturgia egiziana, questo santo fu inserito nel calendario nel
1806, in concomitanza con il genetliaco di Napoleone che cadeva
il 15 agosto). Volute da Prospero Balbo, e organizzate col concorso
della Camera di Commercio, furono l'emblema della convergenza
realizzatasi negli anni della dominazione napoleonica tra il
sapere, la ricerca, l'innovazione tecnologica e il potere politico,
dall'Accademia imperiale alla Società d'agricoltura. Quella
del 1812 fu l'ultima esposizione del periodo napoleonico. Un
lungo periodo sarebbe seguito prima che, nel 1829, Carlo Felice
adottasse un modello figlio della Rivoluzione.
Nel trentennio intercorrente fra il 1829 ed il 1858 si tennero
ben sei edizioni, tutte promosse dalla Camera di Agricoltura
e Commercio, istituzione introdotta anch'essa durante l'occupazione
francese e ricostituita da Carlo Felice nel 1825. Per un verso,
fu proprio l'intervento in qualche misura "burocratico"
della Camera, chiamata ad adempiere a scadenze prefissate ad
un compito istituzionale, quasi si trattasse di "istruire
una pratica", ad assicurare il successo delle esposizioni.
Per altro verso, invece, un contributo importante al loro successo
venne dall'azione personale di Carlo Alberto, che vide nell'esposizione
uno strumento utile a rafforzare l'istituto monarchico, e, all'interno
di questo, la sua personale posizione.
Attraverso un'accorta regia, fatta di visite ripetute, con corale
partecipazione di tutta la famiglia reale, di elogi alle merci
esposte, di incoraggiamenti a fare sempre meglio nei confronti
della concorrenza straniera - il tutto amplificato dalla stampa
e dallo stesso sovrano nelle sue lettere a Maria di Robilant
- Carlo Alberto accreditava di sé l'immagine di sovrano
attento ai bisogni del popolo e sollecito del bene comune.
Intanto, l'esposizione fu effettivamente lo specchio di una società
in trasformazione, una società che stava crescendo economicamente
proponendosi al tempo stesso come catalizzatore delle aspirazioni
all'unità nazionale, al punto che neppure l'infausta conclusione
della prima guerra di indipendenza riuscì ad annullare,
o almeno rinviare, l'edizione dell'esposizione che si sarebbe
tenuta l'anno successivo.
Con l'uscita di scena di Carlo Alberto, anche l'esposizione mutò
carattere, in qualche modo si laicizzò. Non più
strumento di promozione dinastica, recuperò pienamente
lo scopo per il quale inizialmente era stata pensata ed organizzata,
come strumento di promozione economica atto "a rendere più
attivo e profittevole il commercio e a dare un più vivo
movimento all'industria".
Dopo una esposizione di tipo tradizionale svoltasi con scarso
successo nel 1850, a Torino fu organizzata una grande esposizione
nel 1858, che diventò lo specchio delle notevoli iniziative
per lo sviluppo intraprese nel corso del decennio cavouriano.
L'aspetto più importante di questa esposizione fu la presenza
di una consistente rappresentanza di industrie pubbliche, sorte
soprattutto per rispondere alle esigenze della elevata domanda
di forniture militari, terrestri e navali, sia di armi che di
approvvigionamenti vari, senza dimenticare l'attenzione ai monopoli
dei tabacchi. I partecipanti privati all'esposizione dimostrarono
il travaglio in corso per recepire le innovazioni ormai presenti
nel resto d'Europa rappresentate nelle grandi esposizioni coeve
di Londra e Parigi. Le trasformazioni indotte dalla formazione
del nuovo Stato italiano unitario posero Torino in condizioni
di inferiorità, rispetto al passato, per il settore delle
esposizioni, che non trovarono realizzazioni importanti, pur
con gli stimoli offerti dalla presenza del Museo Industriale.
La crisi espositiva perdurò sino agli anni Ottanta, quando
Torino acquistò con determinazione un ruolo di primaria
importanza.
L'Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884 fu organizzata
per iniziativa di un gruppo di industriali e professionisti membri
della Società promotrice dell'industria nazionale (1881).
Il coinvolgimento delle autorità avvenne tuttavia sin
dal principio, a partire dalla sovrapposizione di carriere private
e pubbliche di molti suoi protagonisti fino ad arrivare al finanziamento
e alla partecipazione capillare all'iniziativa da parte del Governo
e del Municipio di Torino.
In un periodo di grandi trasformazioni economiche, politiche
e sociali, l'esposizione fu l'occasione per mettere in scena
processi in parte non ancora compiuti, l'unità italiana
o il passaggio di Torino da capitale politica a capitale industriale,
per promuovere programmi di intervento e affermare le parole
d'ordine (laicismo, assistenzialismo, interclassismo) di un linguaggio
che in quegli anni accomunava élite locali e nazionali.
Una chiave di lettura privilegiata degli intrecci esistenti tra
esposizione, città e nazione era offerta dalle sezioni
ove maggiormente convergevano gli interessi delle classi dirigenti
e le esigenze sollevate dall'emergere della questione sociale,
come la didattica e la previdenza e assistenza pubblica, dai
nuclei più fortemente simbolici o intenzionalmente pedagogici,
quali il Tempio del Risorgimento e il Borgo medioevale, e dai
padiglioni di rappresentanza, come quello della Città
di Torino.
Sullo sfondo si collocava un tessuto torinese straordinariamente
fitto di temi (l'igiene, l'istruzione professionale, la scienza
o l'ingegneria sociale), istituzioni (il Museo industriale, l'Accademia
delle scienze o la Società degli Ingegneri e degli Industriali)
e protagonisti (Tommaso Villa, Edoardo Daneo o Ulrico Geisser,
ma anche Galileo Ferraris, Giacinto Pacchiotti o Carlo Ceppi)
centrali nell'interpretazione delle vicende urbane, e non solo,
degli ultimi decenni del secolo XIX.
Emergevano, accanto ai nazionalismi, gli internazionalismi della
cultura italiana tardo ottocentesca, mentre le architetture
in mostra e le costruzioni dell'esposizione esemplificavano i
rapporti complessi che legavano eclettismo e medievalismi alle
trasformazioni urbane e ai temi della conservazione dei monumenti,
dell'istruzione artistica industriale e dell'identità
locale e nazionale.
Il 1898 fu senza dubbio l'anno in cui le esposizioni assunsero
una dimensione politica particolarmente esplicita, rendendo evidente
una serie di elementi di natura ideologica già da tempo
presenti in manifestazioni di questo genere, ma mai emersi con
tanta chiarezza. La ragione di ciò risiede solo in parte
nei propositi iniziali degli organizzatori; molto più
importanti, in tal senso, furono gli eventi e le situazioni che
il paese attraversò in quell'epoca, i quali finirono con
l'incidere profondamente nella storia stessa dell'esposizione,
attribuendole significati imprevisti. Le origini si trovano nella
crisi di consenso in cui la classe dirigente liberale torinese
si trovò nei primi anni Novanta in seguito alla grave
situazione economica e all'avanzata del movimento cattolico.
Da qui la decisione, sostenuta da Tommaso Villa, di realizzare
nel 1898 un'esposizione di carattere nazionale per celebrare
il cinquantenario dello Statuto, facendo di questo evento un'occasione
per rimarcare i grandi progressi compiuti nel mezzo secolo di
vita del regime liberale. Una prima svolta su questo percorso
si ebbe nel marzo 1896, quando a causa della sconfitta di Adua
e dei recenti successi riportati dal Partito socialista, Villa
e colleghi decisero di accettare le offerte di collaborazione
provenienti dal mondo cattolico, che nel frattempo aveva sviluppato
un autonomo progetto di esposizione per il 1898. La conseguenza
di questo accordo fu la realizzazione di una doppia esposizione,
che non ha precedenti nella storia italiana, la quale dimostrò
una sostanziale volontà di collaborazione tra cattolici
e laici. Nei primi mesi del 1898, l'esplodere dei tumulti nel
paese a causa della disoccupazione e dell'incremento dei prezzi
fece delle manifestazioni torinesi un luogo strategico, da cui
il regime monarchico-liberale tentò di proiettare in Italia
e all'estero un'immagine di normalità, di pace sociale
e di progresso, per attenuare la drammaticità della situazione.
Fu cioè l'altra risposta, a fianco di quella repressiva,
che il governo, con l'aiuto della famiglia reale, diede nell'immediato
alla protesta popolare.
Il cinquantenario dell'Unità d'Italia fu occasione straordinaria
di festeggiamenti ufficiali destinati a celebrare il percorso
economico, sociale, culturale - in una parola civile - compiuto
dal giovane Stato italiano dai tempi della propria unificazione
politica. Tra le iniziative più spiccate per sottolineare
questo "giubileo" del regno, si annoverarono le Esposizioni
internazionali di Roma e di Torino: la prima incentrata sulla
Mostra etnografica e regionale e su quella artistica - affiancate
da una serie di iniziative "minori"; la seconda di
carattere industriale e manifatturiero. Roma e Torino si scambiarono
così i ruoli: l'attuale capitale d'Italia rappresentò
in mostra il glorioso passato nazionale artistico, artigianale
ed etnografico; l'antica capitale italiana fornì un panorama
aperto sul futuro, secondo una visione progressista e scientista.
Firenze, la terza capitale storica, svolse un ruolo marginale
con la sua esposizione di fioricultura e con la Mostra del Ritratto
italiano. Il forte valore simbolico delle esposizioni non valse
a mascherarne l'andamento in gran parte convenzionale, mentre
l'esaltazione della "democrazia industriale", quale
si realizzò nella rassegna torinese, finì per intrecciarsi
con i temi dell'espansionismo e del colonialismo, proprio nel
momento in cui a due mesi dalla chiusura dell'esposizione, l'Italia
si lanciava nell'impresa libica, dichiarando guerra alla Turchia.
I luoghi
A partire dal 1829, con una cadenza destinata a perpetuarsi oltre
la metà dell'Ottocento, le diverse esposizioni sono tutte
accolte all'interno del castello del Valentino, nelle sale degli
appartamenti nobili. La scelta del re Carlo Felice lega le esposizioni
a un luogo stabile, abbandonando le soluzioni itineranti adottate
in passato.
Al centro della vasta area destinata a verde, progettata per
il passeggio e i divertimenti dell'intera popolazione, il castello
ospita nel 1858 la Sesta Esposizione Nazionale promossa da Camillo
Benso di Cavour, allora ministro delle Finanze. In tale occasione,
con una legge speciale (1857), si procede alla radicale trasformazione
del palazzo, secondo un progetto di ampliamento e "restauro"
dell'edificio, al fine di accogliere nelle due nuove maniche
espositive i macchinari e i prototipi dei più importanti
settori produttivi.
Lungo tutto l'Ottocento il parco con il suo castello - divenuto
dopo l'unità sede permanente della Regia scuola di Applicazione
per gli ingegneri - si configura come un paesaggio urbano dotato
di precisa identità, in cui si coniugano le componenti
ambientali delle sponde fluviali, del Po e della collina torinese,
mentre la zona si conferma come area destinata al tempo libero
e alle attività di loisir della popolazione cittadina,
come testimonia in particolare il moltiplicarsi delle sedi delle
società remiere e di canottaggio. Con l'esposizione del
1884 e ancora del 1898, il parco del Valentino, nella sua vasta
estensione che si estende dal settore a sud del castello fino
all'attuale corso Dante, si trasforma in teatro di paesaggi "evocati"
all'aperto, sorta di "città delle meraviglie"
del progresso e dell'innovazione. Nel 1911 si conquistano infine
nuovi spazi espositivi lungo la fascia fluviale destra del Po,
a partire dal Pilonetto fino all'attuale corso Fiume, per cui
la grandiosa esposizione internazionale si articola scenograficamente
in un doppio prospetto di suggestive architetture.
Il linguaggio
Le esposizioni industriali che si avvicendano a Torino tra il
1884 e il 1911 scuotono i paradigmi della divulgazione e dell'aggiornamento
grazie alle nuove potenzialità pedagogiche che la visione
diretta del mondo in mostra sembra poter offrire. Al contempo,
l'avventura editoriale che prende l'abbrivio con l'esposizione,
non solo si delinea come la fucina dell'elaborazione del consenso
che ruota intorno a un evento tanto occasionale quanto breve,
ma affronta la costruzione di una memoria della modernità
aggregando le più nuove espressioni iconografiche a scritture
quanto mai varie. Le edicole e le librerie pullulano così
di cataloghi, album, guide ai singoli padiglioni e periodici
riccamente illustrati, un'occasione propizia per rigenerare l'immagine
di Torino, enfatizzandone la visibilità dei mutamenti
architettonici, urbanistici, filantropici e culturali.
Le esposizioni torinesi hanno però una storia ben più
antica che risale al 1805: ben lontane dal generare forme di
comunicazione così pervasive e diversificate quali saranno
quelle messe in moto dalle esposizioni torinesi post-unitarie,
il loro linguaggio si riduce a cataloghi nomenclativi e a disadorni
manifesti che annunciano al pubblico l'approssimarsi dell'evento.
Adottando il criterio topografico esso riflette le esposizioni
in modo quasi speculare, elencando in numeri arabi gli oggetti
esibiti sala per sala. Non distingue, quindi, tra belle arti
e manifatture, così come non dà conto dell'uso
e della destinazione degli oggetti catalogati.
Sarà l'esposizione del 1858 a segnare una svolta dal punto
di vista della comunicazione con l'Album descrittivo dei principali
oggetti esposti nel Real Castello del Valentino. Il testo si
pone in netta alternativa al catalogo e affronta il nodo decisivo
che fin qui non si è posto, ossia come perpetuare la memoria
della novità commerciale al di là della specifica
occasione. Le illustrazioni racchiuse in appendice, nonché
un ricco apparato di note tecniche e descrittive sembrano offrire
la soluzione al problema. Il proposito di salvaguardare la memoria
degli oggetti "prima che essi vadano a nascondersi, gli
uni nei privati appartamenti, gli altri nelle officine, stabilimenti
industriali, ecc.", così come la preoccupazione di
fornire notizie utili alle "industrie" come ai "consumatori",
è segno di mutata sensibilità.
A partire da questo momento classificazioni, categorie e classi
cominciano a regolare il complesso ordine merceologico delle
esposizioni e il catalogo risponde a questa tendenza rivendicando
un maggiore settorialismo, sebbene non manchino mai strumenti
compilativi in grado di fornire una tassonomia esaustiva del
materiale esposto.
A partire dal 1884 il grande numero di turisti attratti dalle
esposizioni stimola la produzione di guide che racchiudono in
un unico volumetto informazioni sulla città e sui padiglioni
espositivi.
Se nel 1898 la guida della città ha cominciato a tenere
conto dei più diversi atteggiamenti del visitatore che
arriva a Torino in occasione dell'esposizione, suggerendo così
percorsi suddivisi in itinerari pianificati in base alla permanenza
in città dei lettori, la manifestazione del 1911 allarga
il consueto panorama editoriale a molti volumetti che si discostano
dalle vere e proprie guide, per somigliare sempre più
ad opuscoli che trattano in modo prioritario dell'esposizione,
senza trascurare del tutto la città.
Nel 1884 ai cataloghi e alle guide si affianca il giornale illustrato
dell'esposizione, i cui resoconti scongiurano sia la schematicità
inesorabile di un itinerario consigliato sia l'approfondimento
settoriale e garantiscono la copertura pressochè integrale
dell'evento.
"Torino e l'Esposizione Italiana del 1884" viene stampato
"regolarmente un numero ogni settimana" di fronte al
pubblico utilizzando la macchina a "ritirazione a due cilindri",
un'iniziativa brillante che eleva il periodico a prodotto d'eccellenza
dell'esposizione e suo principale organo di diffusione.
La consuetudine proseguirà anche all'esposizione del 1898
con il periodico "L'Esposizione nazionale del 1898"
che, a detta del suo direttore Luigi Roux, si propone quale "storia
veridica", "amoroso commento" e "artistica
illustrazione".
Caratteristica peculiare del giornale ufficiale dell'esposizione
del 1911 è la consistente presenza della fotografia. In
edicola sin dal gennaio del 1910, permette ai lettori di essere
costantemente aggiornati sull'evento fin dalle prime fasi stato
dei lavori di allestimento. La prima pagina è ormai una
copertina sontuosa, al cui centro spicca una fotografia che raffigura
un edificio di Torino. Le fotografie interne sono arrotondate
in gradevoli bordature cliché come impongono le moderne
tecniche tipografiche, una delle novità più apprezzabili
sono i reportage fotografici che occupano lo spazio prima affidato
alla scrittura.
Le note sono tratte dal volume Le esposizioni torinesi
1805 - 1911. Specchio del progresso e macchina del consenso,
a cura di UMBERTO LEVRA
e ROSANNA ROCCIA,
edito nel 2003 dall'Archivio Storico della Città di Torino.
|