Sistema Musica - Dicembre 2012 - page 3

U
n po’ perché siamo ancora eredi del Romanticismo e
un po’ perché ci dibattiamo nella necessità di distinguerci
dalla musica di consumo, noi compositori amiamo inseguire
lo stupore. Non tutti, certo, e non sempre; ma, quando si
abbassano le barriere reciproche, quando accade di confrontarci
lealmente tra colleghi, spesso finiamo con il confessarci a
vicenda che inizialmente pensavamo di scrivere un certo brano,
ma poi, alla fine, il materiale musicale si è guadagnato
una sua autonomia, si è messo in luce in modo diverso rispetto
alle nostre previsioni, e noi non abbiamo potuto fare altro che
seguirlo, liberandolo dal silenzio come Michelangelo faceva
davanti a un blocco di marmo, e finendo con il dare vita
a una partitura che non avremmo mai sospettato di volere,
e di sapere, scrivere.
Non è sempre stato così: il rispetto di convenzioni prestabilite è
stato il cardine della musica per molti secoli e, dal Rinascimento
al primo Novecento, compositori, interpreti e pubblico si sono
incontrati su un terreno comune, conosciuto. Le sorprese, lo
stupore esistevano entro un ambito molto ristretto di possibilità
e l’infrazione della regola, per quanto geniale, era regolarmente
additata come tradimento di una norma consolidata, sana,
efficace nel consentire il transito di godimento sonoro tra le
diverse parti coinvolte.
Ora è cambiato tutto: il piacere consolatorio, prevedibile,
perfettamente simile a se stesso è lasciato al grande repertorio
del passato o alla musica funzionale (pop, colonne sonore, new
age, Allevi…). E i compositori di musica d’arte si sono ritrovati
con il cerino della novità in mano, con il gusto dello stupore da
inseguire, con l’aspirazione di individuare un futuro che ancora
non esiste ma che è bello ascoltare in una sala da concerto.
Spesso fanno un uso pessimo della loro specificità – circola
musica nuova davvero detestabile. Ma talvolta accendono idee,
esperienze, emozioni che nessuno si sarebbe immaginato prima
di ascoltare i loro lavori.
Mi piace pensare che, la prossima volta che aprirete le orecchie
davanti a musica mai udita, vi verrà almeno voglia di ascoltare
come va a finire: è lì che riposa il gusto del tutto, il piacere
massimo, l’orgasmo, e riuscire a coglierlo è un dono davvero
prezioso. Non credete?
Editoriale
Nicola Campogrande
Lo stupore dei compositori
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