Sistema Musica - Aprile 2011 - page 3

«L
ei che fa il compositore sa bene che cos’è la perfezione»,
mi dice. Io rimango incredulo: se non pensano che i compositori
siano tutti morti, le persone con cui capita di chiacchierare
casualmente di solito non hanno la minima idea di che cosa
significhi scrivere musica classica. Anche giustamente, per carità.
Mentre ora una sconosciuta signorina, venticinque anni, insegnante
di inglese, voleva parlare di perfezione.
Io provo a spiegare che il nostro è un lavoro lentissimo, fatto di
approssimazioni successive, di sforzi quotidiani, e lei mi interrompe
decisa per dirmi che le sembra bellissima l’idea che ci sia qualcuno
che tutti i santi giorni lavori alla propria musica; mi dice che saperlo
le dà speranza per il futuro; mi confessa che, pensandoci, la vita
le sembra migliore.
Io per poco non crollo a terra, svenuto.
Perché allora non siamo così matti noi artisti, testardi nella
convinzione che il nostro lavoro, deliziosamente inutile, serva a
qualcosa. Allora, se un ragazza che di musica non sapeva nulla
pensa istintivamente che i musicisti siano una cosa preziosa in sé,
l’imbarbarimento generale di un paese che mozza la testa al
Fondo Unico per lo Spettacolo non è completo. Allora ci sono
ancora persone capaci di rendersi conto che la nostra vita non
sarà più la stessa quando la collettività avrà deciso di rinunciare
all’esistenza degli artisti.
Ora, il Governo ci sta spiegando, nei fatti brutali delle Leggi
Finanziarie, che possiamo cancellare la musica dalla nostra
esperienza (e magari possiamo anche tornare a vivere nelle
spelonche, chissà). Non morirebbe nessuno, tranne forse qualche
musicista ostinato che non volesse adattarsi a mangiare bacche e
radici che si raccolgono piacevolmente nei boschi. E non accadrà
di colpo, perché lo smantellamento di teatri lirici, orchestre,
società di concerti sarà progressivo e a macchia di leopardo.
Siamo però sicuri che è quello che desideriamo? O ci sono in giro
altre persone come quella gentile insegnante che vivrebbero meno
bene senza Verdi, Beethoven o Arvo Pärt?
Se è così, se il mondo della musica interessa ancora a chi è là fuori,
forse sarebbe il caso che chi può si agitasse un tantino. Non ci
saranno sollevazioni popolari, ma almeno potremo dire di averci
provato, e se davvero dovremo smettere di cantare, suonare ed
ascoltare, lo faremo con l’orgoglio di chi ha lottato.
O no?
Editoriale
Nicola Campogrande
Senza musica
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