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Abdullah chiede più rispetto
(La Stampa 04/06/03)
Abdullah, sulla porta del
suo emporio, non perde l’occasione. E’ sabato
pomeriggio e Porta Palazzo, oltre il mercato dei contadini,
è un brulicare di famiglie maghrebine, di donne
con l’hijab per mano a bambine in jeans, di padri
dall’aria stanca che camminano con figli quattordicenni
dal berretto con la visiera sulla nuca. Tutti entrano
ed escono dalle macellerie halal, dai supermercati.
Abdullah, sulla porta, ha saputo che c’è
un giornalista nei paraggi e vuole parlargli, conoscerlo.
Abdullah è venuto in Italia dal Marocco 14 anni
fa. Ha vissuto, come tanti, qualche iniziale momento
difficile presto dimenticato. E’ un imprenditore
nato, uno che ha capito che contano molto, nella vita,
le relazioni. Ha insegnato arabo, ha avuto un ristorante
a Biella. Ora vende tè, abiti, stoffe, valigie
e molto altro ancora in un ampio negozio di piazza don
Albera. Potrebbe anche vendere, presto, affascinanti
salotti tradizionali marocchini. «Quando parlate
di noi, dei cittadini del Marocco - dice -, vi rivolgete
sempre ai religiosi. Non è giusto. Così
offrite una visione parziale, che non ci aiuta ad ottenere
rispetto da parte degli italiani. Noi che abbiamo realizzato
delle cose qui ci sentiamo offesi da questo. Vogliamo
più rispetto». Abdullah, che commercia
anche in stoffe biellesi, tiene molto all’eleganza.
Che per lui fa rima con rispetto, appunto. Ha tre figli
e moglie italiana. «Non voglio che i miei figli
vengano discriminati e crescano razzisti», dice.
«Dalla mattina alla sera lotto contro gli sguardi
della gente. Di certa gente, almeno». Poi, racconta
di quella volta che un poliziotto è stato scortese
con lui senza motivo. «Gli ho detto: “scusi,
ma lei è nato a Sud di Roma? Ah, ho capito. Forse,
Lei è cresciuto a Mirafiori quando non eravamo
noi stranieri a essere trattati male, ma voi italiani
del Meridione. L’hanno trattata male ed è
per questo che ora Lei si comporta così con me?».
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