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2006 - La didattica "ad personam", a cura di Alba Trombini

Michele vive una situazione difficile a scuola; si è trasferito da poco in città con una famiglia numerosa segnata da non pochi problemi con la giustizia. Ha decisamente il piglio del leader questo ragazzino che frequenta la seconda media e deve fare i conti con un blocco all'apparenza insormontabile: si rifiuta di scrivere. Sa fare, non sa fare? I suoi insegnanti non riescono a capirlo. Quando arriva il momento dei compiti in classe prende la penna e comincia a tracciare una riga dopo l'altra facendo finta di scrivere fiumi di parole. Provocazione, richiesta di aiuto? Dice che non gli interessa scrivere, che non gli serve a niente. Dopo molti sforzi inutili gli insegnanti rinunciano a un intervento diretto e chiedono l'aiuto di un tutor di sostegno. La prima cosa che fa l'educatrice incaricata, cogliendo di sorpresa il ragazzo, è chiedergli qual è la cosa al mondo che ama fare di più. "La pizza!", risponde Michele senza esitazione. Detto fatto, Vilma procura gli ingredienti necessari, un vecchio forno portatile e un tagliere, e propone a Michele di preparare la pizza per i suoi insegnanti e i compagni di classe. L'agilità e la maestria con cui il ragazzo impasta e fa "volare" le pizze incanta tutti. E dopo aver gustato quegli applausi e quelle lodi tanto attese, che cosa succede? Michele, su invito di Vilma, prende carta e penna e comincia a scrivere con una calligrafia chiara e ordinata la ricetta della pizza.

In una conferenza organizzata la scorsa settimana dalla Biblioteca Classense di Ravenna il filosofo francese René Schérér, parlando del grande contributo di Gilles Deleuze alla riflessione filosofica e pedagogica del XX secolo, ha messo in risalto l'assoluta importanza della relazione passionale in campo educativo, ricordando l'eccezionalità e il valore dell'adesione passionale come motore d'apprendimento. "L'apprendimento - ha detto Schérér - segue la via degli incontri e degli amori..."

Quello fra Vilma e Michele è stato un incontro profondo che ha potuto esprimersi su più livelli.

La relazione affettiva instaurata - nel dialogo e nella fiducia - non solo ha permesso al ragazzo di sentirsi finalmente ascoltato, compreso e accettato per quello che è, ma ha creato il terreno più adatto per un recupero scolastico fuori dall'ordinario. Si tratta sicuramente di un esempio estremo di didattica ad personam , solo in apparenza lontano dalle realtà in cui operiamo noi come educatori al patrimonio. E' l'esempio di un'educatrice che, spingendosi oltre i limiti di una didattica tradizionale, ha colto la passione di un ragazzo in difficoltà di apprendimento e per nulla motivato, e l'ha utilizzata come veicolo per fargli riprendere il suo viaggio interrotto verso la conoscenza.

Fatte le debite proporzioni, quante volte è successo anche a noi di non riuscire come educatori a creare un incontro, una relazione, fra ciò che il museo contiene e la persona da noi coinvolta in percorsi di apprendimento (dalla semplice visita a corsi o laboratori)? Quante volte la mediazione non ha dato i risultati sperati o previsti? Impegnati con i grandi numeri, con i gruppi o con le classi... con in mente un'idea forse non del tutto chiara di didattica differenziata, quante volte abbiamo perso l'occasione di far raggiungere a tutti un'esperienza gratificante al museo, dando valore e significato a modalità e stili del tutto personali? Quante volte abbiamo concesso il tempo e lo spazio necessari per far sì che l' adesione passionale delle singole persone potesse manifestarsi?

Le parole che usiamo hanno peso e sostanza, creano pensieri e poi azioni. Nel momento in cui anche noi, come educatori museali, presi dall'entusiasmo dell'uso della terminologia delle strategie aziendali, abbiamo cominciato a parlare - e dunque a pensare - ai nostri visitatori sempre più in termini di fasce di pubblico, segmenti di utenza, target... il nostro focus sulla singola persona, sull'individuo, sull'essere umano si è progressivamente e significativamente indebolito. Come si è tradotto questo nuovo atteggiamento mentale nella nostra azione educativa quotidiana?

Il pubblico, anzi i pubblici, sono diventati molto più importanti dell'individuo, creando uno squilibrio nell'impostazione e nella progettazione didattica. La nostra attenzione negli studi, nelle ricerche e nelle riflessioni si è concentrata sulle necessità e caratteristiche dei diversi tipi di pubblico, analisi peraltro fondamentale e necessaria per una pianificazione didattica davvero innovativa ed efficace; strada facendo, però, ci siamo resi conto di avere fatto tutto ciò a discapito dell'interesse e della cura per le esigenze individuali. Come si muove la singola persona all'interno dello spazio museale, come lo percepisce, come si sente, come lo utilizza, come cambia il rapporto con la sua realtà in seguito all'esperienza museale? Tutti i bambini agiscono e reagiscono allo stesso modo al museo? Lo stesso fanno gli adolescenti, le casalinghe, gli studiosi, i pensionati, le famiglie, i disabili...? Siamo davvero sicuri che il solo ragionare per categorie ci aiuti nel dare vita a una frequentazione più coinvolgente e responsabile del patrimonio museale/culturale?

La riflessione sul ruolo educativo del museo negli ultimi venti anni non ha conosciuto sosta e continua a produrre nuovi pensieri e nuove azioni: la didattica ad personam che stiamo sperimentando in diverse sedi in territorio emiliano romagnolo - grazie alla disponibilità di istituzioni come la Provincia di Modena e il suo Sistema Museale, o come la Biblioteca Classense e l'Università per la Formazione Permanente degli adulti di Ravenna - nasce dal desiderio di riequilibrare in campo educativo l'impegno verso il pubblico attratto dal patrimonio culturale, mettendo nuovamente al centro dell'interesse l'apprendimento e la crescita delle singole persone.

Entrando più nello specifico della metodologia possiamo dire che la didattica ad personam è, prima di ogni altra cosa, un'azione educativa che si rivolge alla persona nella sua complessità ed interezza: ciò significa che nelle varie attività si cerca di prestare uguale attenzione alla dimensione fisica, emotiva, intellettiva e spirituale dell'esperienza museale. Ciascuna di queste dimensioni è strettamente correlata alle altre, lo sappiamo da sempre e nel caso l'avessimo dimenticato ci pensano le ultime ricerche in campo scientifico a confermarlo oltre ogni dubbio.

Se questo è vero, perché allora al museo ci limitiamo a trattare i nostri visitatori come se fossero solo menti , e per di più tutte uguali o al massimo distinte per categorie d'età, di provenienza sociale o culturale? E il resto? La fisicità soggettiva dell'esperienza... dallo stare comodi/scomodi al percepire la corporeità/materialità dei beni con tutti i sensi, dal self sense al senso di orientamento, dalla relazione con lo spazio museale alla relazione con il tempo museale, così diverso da quello esterno. E la dimensione emotiva? Le attese, i desideri e le spinte interiori che rendono ciascuno di noi un essere umano unico e irripetibile? E l' adesione passionale ? Dove finisce tutto questo? Chi se ne occupa, chi ne comprende davvero il valore e l'interferenza sulla crescita puramente cognitiva e intellettuale del pubblico? Ecco perché nei nostri percorsi di apprendimento invitiamo e aiutiamo le persone a restare in contatto con le proprie risposte fisiche ed emotive. Ed è per lo stesso motivo che diamo tanto spazio alla condivisione e al dialogo: nel dare voce al proprio sentire, in un clima di rispetto e ascolto, le persone apprendono secondo modalità che possono anche non essere di immediata individuazione, ma che sono sicuramente efficaci per i processi di crescita personali.

La didattica ad personam utilizza il museo e il patrimonio - contenitore e contenuti - per pensare, parlare, confrontare e far riflettere. La riflessione è intesa qui in senso letterale, come atto del rispecchiarsi nell'opera del genio umano al fine di comprendere la propria natura e di individuare la propria direzione. E' una didattica che educa a comprendere i propri limiti e a sapere, attraverso il confronto con la creatività altrui, che tali limiti si possono superare. Questo è uno degli insegnamenti più straordinari che ci può giungere dalla frequentazione dei musei: ciò che nei musei è contenuto è la prova tangibile che il limite non esiste, se non come forma mentale che ogni società crea e poi supera. Percepito in questa ottica il museo è una vera e propria celebrazione del superamento dei limiti, affollato com'è di esempi viventi della continua, costante e inarrestabile capacità dell'uomo di andare oltre sé stesso .

Alba Trombini
e-mail: artrombini@linknet.it

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