Bodo S., Cifarelli M. R. (a cura di ), Meltemi, Roma 2006
Quando la cultura fa la differenza. Patrimonio, arti e media nella società multiculturale (i cui saggi sviluppano e approfondiscono i contributi elaborati nel quadro dell'omonimo convegno internazionale, promosso da Università di Genova e Associazione per l'Economia della Cultura nel novembre 2004) si articola in due sezioni. La prima, Quale cultura, quale differenza? , propone una riflessione a tutto campo sulle nozioni di "diversità culturale", "multiculturalismo", "interculturalismo" e "dialogo interculturale", offrendo una mappa concettuale e terminologica particolarmente utile, considerato l'uso e abuso che di alcuni di questi termini si è fatto negli ultimi decenni. Ma la riflessione non si ferma qui, e sottolinea la necessità di distinguere tra "diverse differenze" . Secondo Tony Bennett, autore di uno dei saggi contenuti nel volume, il diffuso orientamento ad assimilare tutte le forme di differenza (sub o multinazionale, autoctona, diasporica, indigena) e a farle ricadere nella stessa rubrica si può rivelare non solo sterile, ma persino nocivo sotto il profilo della formulazione delle politiche. In particolare, la peculiarità delle problematiche legate alla diversità culturale delle minoranze diasporiche va non solo riconosciuta, ma anche affrontata come una questione prioritaria, vista la necessità di garantire un pieno rispetto dei diritti culturali dei "nuovi cittadini" e l'urgenza di allentare le tensioni razziali, culturali e religiose nel mondo del dopo 11 settembre. Come peraltro ci ricorda Iain Chambers, l'avvento della "società multietnica" e delle "culture ibride" è tutt'altro che un fenomeno recente, ma rappresenta piuttosto un lato rimosso della nostra storia.
La seconda sezione del volume, Policy makers, istituzioni e media di fronte alla sfida della società multiculturale , si addentra in maggior dettaglio nelle diverse politiche formulate a sostegno della diversità culturale, proponendo nel contempo all'attenzione del lettore una serie di questioni di fondo. La prima riguarda la necessità per policy makers , istituzioni e operatori di riacquistare legittimazione democratica agli occhi di una società culturalmente sempre più eterogenea. La seconda questione riguarda i processi di condivisione , che mentre in alcuni casi sono relativamente scevri da conflitti, in altri richiedono lo sviluppo di politiche attive. Naseem Khan sostiene in merito che - per quanto paradossalmente - il tanto celebrato interculturalismo si può raggiungere solo attraverso il sostegno iniziale alla differenza; "ma si deve trattare di una differenza 'aperta', che possa esistere in uno spazio condiviso". Un altro concetto chiave su cui vale la pena soffermarsi è quello di competenza interculturale , che Dragan Klaic preferisce al compromesso vago e conciliante offerto dal "dialogo interculturale". Una competenza, certo, da acquisire e sviluppare a livello individuale, ma anche, molto più crucialmente, "come un orientamento strategico e programmatico tale da permeare l'intera istituzione, compreso, condiviso e sostenuto da tutto il personale - dagli organi decisionali e la direzione agli addetti part-time e gli artisti coinvolti. Solo a queste condizioni la competenza interculturale sarà visibile nella programmazione, e potrà finalmente esercitare un impatto concreto sul pubblico". Ancora Dragan Klaic pone il problema della limitata tipologia delle istituzioni culturali ereditate dal passato (in larga parte create con tutt'altro obiettivo che promuovere la diversità culturale) e della necessità di creare nuovi modelli più adeguati alle sfide di oggi. Un'ulteriore chiave di lettura viene offerta dal saggio di Franco Bianchini e Jude Bloomfield, che esplorano il potenziale dell'interculturalismo non solo come obiettivo, ma anche e forse soprattutto come pretesto per la formulazione di politiche urbane innovative .
Il saggio di Richard Sandell ci consente invece di esplorare in che modo molte delle problematiche finora illustrate abbiano fatto il loro ingresso in istituzioni culturali "tradizionali", e anzi in larga parte "conservatrici", come i musei. L'assunto di base è che esiste un nesso evidente tra l'autorità culturale del museo e il vissuto delle comunità, e che proprio in virtù di questo nesso il museo ha la responsabilità di misurarsi con le questioni di diversità e uguaglianza.
Sui dispositivi linguistici e simbolici che attraverso le politiche dei media intervengono nella rappresentazione della diversità culturale si soffermano i saggi di Massimo Ghirelli, Marie Gillespie e Mirca Madianou, che in rapida successione affrontano snodi cruciali del rapporto tra mezzi di comunicazione, nuove tecnologie e configurazioni socioculturali.
(saggi di: Tony Bennett, Franco Bianchini e Jude Bloomfield, Iain Chambers, Massimo Ghirelli, Marie Gillespie, Raj Isar, Naseem Khan, Dragan Klaic, Mirca Madianou, François Matarasso, Jean-Pierre Saez, Richard Sandell, Goran Stefanovski).