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2008 - "Workshop You Prison/Ars Captiva", Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino

Attori del Progetto
L'evento espositivo "You Prison. Riflessioni sulla limitazione di spazio e libertà", a cura di Francesco Bonami e il progetto Ars Captiva, sono stati l'occasione per coinvolgere in un workshop un gruppo di giovani studenti.
Cinque gli istituti coinvolti: Liceo Artistico Cottini, Primo Liceo Artistico, Istituto d'Arte Passoni, Istituto Albe Steiner e Accademia Albertina delle Belle Arti, per tre giornate di studio, approfondimento, incontri con esperti e attività di laboratorio a cura del dipartimento educativo della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.

Obiettivi
Gli obiettivi del workshop sono stati molteplici: riflettere sul tema della limitazione dello spazio e della libertà personale attraverso i linguaggi dell'arte contemporanea più affini alla sensibilità degli studenti, favorire un nuovo dialogo e sistema di interazione con la mostra e il suo pubblico, creare un momento di ricerca da documentare e da diffondere.

Durata del progetto
Anno 2008-tre giornate di studio

Fasi di Lavoro
In breve sulla mostra: 11 studi di architettura internazionali sono stati invitati a progettare lo spazio abitativo del carcere, una cella dotata di tutti gli elementi essenziali per la vita dei detenuti. I progetti saranno realizzati in scala reale, offrendo ai visitatori la possibilità di provare fisicamente l'esperienza di uno spazio di isolamento e reclusione. La cella diviene così il mezzo per speculare su un sistema di cui essa costituisce la più piccola unità strumentale. Il tema si presta a una riflessione su numerose questioni di pubblico interesse, quali la limitazione di libertà, il rispetto dei diritti umani, gli strumenti di sorveglianza e controllo, l'evoluzione urbanistica e le sue influenze sulle forme dell'abitare.
Gli studenti sono stati invitati a riflettere su alcune delle domande fondamentali che stanno alla base dell'idea curatoriale di YouPrison: possono individui liberi pensare un ambiente dedicato esclusivamente alla negazione della libertà? Può la brutalità della detenzione essere superata grazie a un ambiente architettonico concepito e progettato per combattere dall'interno questa condizione?
E soprattutto: in che modo lo spazio in cui viviamo influenza la nostra esistenza, le nostre abitudini e percezioni?
Per trovare risposte individuali a queste domande, gli studenti, dopo aver seguito una formazione approfondita sulla mostra da parte della curatrice Irene Calderoni, hanno trascorso un'intera giornata, dal mattino fino a sera, all'interno dello spazio espositivo.
Divisi in dieci coppie, ognuna delle quali ha abitato una delle installazioni/celle, hanno lavorato a partire da suggestioni e direzioni di senso elaborate con lo staff del dipartimento educativo, e hanno le borato strategie per interagire con lo spazio, cercando nuove letture e nuovi possibili significati.

La varietà e la complessità delle soluzioni proposte sono state notevoli: dalla registrazione vocale di sensazioni intime evocate dalla sensazione di reclusione, alla fotografia che documenta minuto per minuto il passare del tempo; dall'utilizzo della gestualità e del corpo come elementi di spaesamento, alla progettazione di sistemi di misurazione, libri d'artista, videogiochi e documentazione.
Tutto questo è avvenuto lungo l'intera giornata, nell'orario di apertura della Fondazione al pubblico, favorendo anche l'interazione diretta con i visitatori.
I progetti architettonici si sono arricchiti di nuovi segni e presenze, trasformando lo spazio espositivo in un luogo di lavoro e dialogo.
Alla fine del percorso gli studenti hanno elaborato delle didascalie per raccontare il loro percorso di ricerca, che sono state accostate alle didascalie originali delle opere, e hanno affrontato il delicato ruolo di mediatori tra il pubblico, le opere e la loro interpretazione.

Documentazione
La documentazione dell'intera esperienza é stata affidata a due studenti di discipline audiovisive dell'Istituto Albert Steiner e al fotografo Daniele Ferrero.

Esempi di didascalie:


Yung Ho Chang - Atelier FCJZ
Pechino, Cina

WORK 1
WORK
  Didascalia originale   Didascalia degli studenti

La costruzione è un sistema di detenzione minimale che avvolge completamente il detenuto, privato di ogni possibilità di movimento e azione. L'architettura diviene una protesi del corpo umano, l'uso dello spazio a fini punitivi è portato alle estreme conseguenze, annullando letteralmente la distinzione fra dentro e fuori, tra corpo e spazio, fra individuo e istituzione. Il corpo è l'unità di misura della cella, divenuta versione contemporanea della gogna medievale. Il materiale trasparente crea un equilibrio fra visibilità e invisibilità, fra l'atto di annullare la persona e di esporre la sua pena. Il visitatore può aprire la struttura, entrarci e quindi sperimentare direttamente sul proprio corpo il concetto di imprigionamento.

L'intervento realizzato prevede l'inserimento di un contributo sonoro all'interno della cella.
La registrazione vocale indaga l'isolamento mentale e la solitudine quotidiana.
La cella così intesa é un luogo che ti permette di mantenere le distanze con l'esterno e con l'altro:più ci si avvicina e più si ha una visione frammentata dell'individuo, più ci si allontana e più si ha una visione totale.


sciSKEW Collaborative (Eunice Seng, I-Shin Chow e H Koon Wee)
New York, USA - Shangai, Cina

WORK1
WORK2
  Didascalia originale   Didascalia degli studenti

Il collettivo di architetti e designers SciSKEW propone una riflessione sul parallelo tra la dimensione domestica e l'esperienza carceraria.Nella metropoli contemporanea, il progressivo ridimensionamento dello spazio abitativo porta a condizioni di vita che non sembra assurdo paragonare allo stato di detenzione.Lo spazio assegnato di 3x4m è qui suddiviso in due unità da una struttura che è un tutt'uno con l'arredamento. Le casse sospese indicano la facilità di smercio e spostamento dell'innovativo prodotto modulare. Il video promozionale ha un tono fieristico-aziendale e la sua ironia non è così irrealistica se si considera il fenomeno crescente della privatizzazione degli istituti carcerari.

Data la natura simmetrica dell'opera, che ha la funzione di dividere in due uno spazio, il nostro lavoro è stato cercare di abbattere metaforicamente quel muro che non permette la comunicazione tra due individui.
Le azioni sono di carattere quotidiano: parlarsi al telefono, giocare a carte, lavarsi.
Dormire, leggere e scrivere.
Ogni nostra azione aveva una ripercussione nello spazio del compagno.
Il tutto è stato documentato attraverso fotografie, che abbiamo stampato e collocato a terra in una composizione.


DW5 Bernard Khoury
Beirut, Libano

WORK6
WORK3
  Didascalia originale   Didascalia degli studenti

Bernard Khoury ha immaginato un dispositivo per la restituzione dei prigionieri di guerra al campo nemico. La cella mobile, dal minaccioso aspetto hi-tech è una sorta di corazza dotata di una tecnologia ad infrarossi per la registrazione video, in modo che la restituzione del prigioniero fornisca informazioni in tempo reale sul territorio avversario. Il POW 8 è manovrato dal prigioniero che segue delle istruzioni vocali a distanza. Il corpo stesso del carcerato, facendo muovere lentamente il mezzo, è così trasformato in un dispositivo di sorveglianza, diviene arma.Il filmato illustra il sistema di funzionamento del congegno e il testo, dall'impronta militare, spiega tutti i vantaggi che derivano dal suo utilizzo.

Osservando il progetto di Bernard Khoury le prime impressioni riguardavano il mondo hi-tech dei videogames.
Il video, i suoni e la vibrazione della telecamera collegata alla cella mobile POW08 suggeriscono una visione surreale, che abbiamo sviluppato allontanandoci ulteriormente dalla realtà carceraria.
E se il prigioniero fuggisse? E se il controllo del prigioniero lo prendesse qualcun altro?
Abbiamo progettato un videogame in cui il giocatore ha il controllo dell'involucro metallico dentro a cui il prigioniero è costretto a muoversi.

 

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