ART&SOUND NIGHT |
a cura di Olga Gambari |
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SILVIA RUATA Carmagnola
(TO) 1974
COLLETTIVE |
I lavori di Silvia Ruata sono sempre degli scarti rispetto alla vita. Per esistere, però, devono stare attaccati alla pelle della realtà, su cui si mimetizzano, comunque, come piccole anomalie. Detour surreali che si aprono simili a piccole fughe, che fanno sorridere per la sorpresa, ma anche pensare, e notare, soprattutto, come nel nostro quotidiano più comune ci siano crepe disseminate, campanelli che spesso non notiamo. Peccato, pensa l’artista, che invece pare avere uno sguardo bizzarro, guidato sempre dall’ironia. I suoi lavori si possono definire azioni interelazionali, che necessitano della partecipazione del pubblico per attivare il loro meccanismo concettuale. Sono intriganti giochi di sapore dadaista, che mantengono sempre una leggerezza friabile. Perché non prendere a morsi un muro, per esempio, non vi è mai venuto voglia di mangiarvi una parete, affondarci i denti? Poi i suoi “animali da passeggio”, parallelepipedi con riprodotte sulle facciate le immagini di statuine in ceramica. Ruata aggiunge un guinzaglio e ce lo dà in mano, via a passeggio, come facciamo d’altronde con tanti cani ridotti a status symbol. E proprio la natura è un soggetto su cui ritorna l’artista, o meglio sul rapporto di uso ed abuso che l’umanità ha instaurato nei suoi riguardi. C’è un albero in un parco di Racconigi, che ha collare e catena, con un cartello che recita “attenti all’albero”, perché la natura, è una furia addormentata, che prima o poi si libera e ripareggia i conti. Ma anche in questo caso, ce ne dimentichiamo e non sappiamo sentire i famosi campanelli di cui sopra. In un altro parco, ci sono dei tronchi tagliati che contengono visioni da vertigine, perché aprono su immense galassie, porte d’accesso allo spazio che, senza un po’ di attenzione, sfuggono per sempre. E vi è mai capitato di trovarvi nel cuore di una metropoli, racchiusa in una piccola stanza? Sono le piccole magie di Silvia. |
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Silvia Ruata
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