Giovedì 16 marzo 1978. Arriva la notizia da Roma - Aldo Moro rapito, i cinque agenti di scorta massacrati - e nel giro di qualche ora si affollano in piazza San Carlo migliaia di persone, per condannare l'azione delle Brigate Rosse. Il Consiglio comunale si riunisce il 21 marzo, giorno in cui il governo Andreotti vara un pacchetto di misure antiterrorismo.
Il sindaco Diego Novelli esprime cordoglio per gli agenti assassinati, solidarietà con la famiglia Moro e "lo sdegno di tutti i cittadini torinesi per l'ennesimo brutale, sanguinoso attentato alla nostra democrazia, alla nostra Repubblica, al nostro Paese". Novelli sottolinea la "volontà di lottare con tutte le forze perché l'eversione non passi, perché la reazione non prevalga" e l'impegno per "un futuro di pace, di lavoro, di ordine, di democrazia e di libertà". Sono presentati due ordini del giorno, uno (poi ritirato) da Terenzio Magliano (PSDI), l'altro firmato da Renato Valente ed Emilia Bergoglio (DC), che afferma la necessità di sostenere le istituzioni, accelerare la riorganizzazione dei servizi di sicurezza e garantire al processo in corso contro le BR rapidità e rigore, facendo appello alla civile solidarietà dei torinesi. Il voto sul documento Valente-Bergoglio è quasi unanime, ma dal dibattito traspaiono le tensioni del momento. Bruno Canu (Democrazia Proletaria) è il solo a non votare a favore: condanna le Brigate Rosse quale "nemico della classe operaia" ma anche "la politica sociale ed economica del governo Andreotti", sostenendo che nel terrorismo lo Stato "trova l'appiglio per toglierci le libertà democratiche". Se Valente sottolinea come la formazione del nuovo governo di solidarietà nazionale segni la fine della "pregiudiziale anticomunista" e di "quelle antidemocristiane, che avevano ubriacato le masse dei lavoratori", non manca di attribuire al PCI "alcune responsabilità nei primi lontani atti di questa tragedia".
Il comunista Renzo Gianotti rivendica: "Questo movimento sindacale, questa classe operaia sono il baluardo principale della democrazia". E aggiunge che la tragedia ha "messo in risalto, agli occhi dei cittadini, la svolta costituita dall'accordo di maggioranza", in base al "compromesso storico" promosso dal suo partito. Per i socialisti interviene Bruno Segre: "E' lecito supporre che dietro alle BR ci sia l'ispirazione di qualche servizio segreto straniero e forse talune complicità nell'apparato stesso dello Stato". Per i liberali parla Giuseppe Dondona, preoccupato per i rischi che corre la democrazia di fronte alla radicalizzazione dello scontro, mentre Aldo Rovito (MSI) accusa: "Un anno fa, per troppa gente le BR non esistevano" e "finché sequestravano sindacalisti di destra o dirigenti d'azienda venivano considerate alla stregua di goliardi giocherelloni". Terenzio Magliano si chiede: "Ma è possibile che 50 delinquenti tengano in scacco un intero Paese?". Andrea Galasso, per Democrazia Nazionale, afferma che "la sindacalizzazione, strumentalizzata politicamente ha creato terreno fertile per la riaggregazione dei gruppi dei brigatisti", sottolineando che la sinistra rimane "sul terreno dell'ambiguità per quanto riguarda la vocazione democratica".
Ma la vita della città continua: dopo il voto dell'ordine del giorno, il Consiglio passa all'ordinaria amministrazione. Fuori, prosegue il dramma che troverà la sua conclusione il 9 maggio, con il ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro. E proprio il 9 maggio prossimo, il Consiglio comunale - che già lunedì 17 marzo scorso ha osservato un minuto di silenzio in memoria delle vittime di via Fani - ricorderà il 30° anniversario del tragico avvenimento con la deposizione di una corona d'alloro in piazzale Aldo Moro, di fianco all'Università.
Nelle foto: Aldo Moro (foto Gazzetta del Popolo - Archivio Storico Città di Torino), la scena dell'agguato in via Fani, a Roma. Il primo a sinistra è Francesco Cossiga, allora ministro dell'Interno e, in basso, il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani (sempre a Roma), il 9 maggio 1978 (foto tratta dal volume "L'estremismo in Italia")