Sistema Musica - Maggio 2012 - page 3

C
redenti e non credenti ascoltano musica allo stesso
modo? L’esperienza del concerto, lo stare insieme ad altre
persone in silenzio e il seguire qualcosa che, per sua natura,
sfugge al mondo materiale, è identico per chi crede in
un Dio e per chi non ci crede? Mi veniva da chiedermelo
perché i credenti, e soprattutto quelli praticanti, hanno a
disposizione istanti dedicati alla spiritualità, al non dicibile,
e i loro momenti rituali prevedono l’ascolto collettivo,
attento, di parole che rimandano ad altro e di musica che
accompagna segmenti precisi delle celebrazioni. I non
credenti invece si trovano di rado insieme a degli sconosciuti
ad ascoltare qualcosa che superi il significato verbale e per
loro, dunque, la sala da concerto diventa forse l’unico luogo
nel quale si tace collettivamente per dare spazio a fenomeni
che oltrepassano la loro natura acustica, scientifica, per
suggerire l’indicibile.
Non che io voglia sdoganare un’idea mistica della pratica
concertistica, per carità, però ho l’impressione che la
diversa familiarità con una vita spirituale possa marcare
una differenza, quando ci si siede ad ascoltare. Non saprei
dire se si godano meglio la musica coloro che frequentano
funzioni religiose, perché sono abituati a utilizzare le
orecchie e il cuore allo scopo, o coloro che invece rifuggono
chiese e templi, perché concentrano sulla musica tutte le
loro esigenze e capacità spirituali. Né saprei collocare i
credenti non praticanti, che di solito hanno conosciuto la
ritualità religiosa e le sue pratiche d’ascolto ma poi se ne
sono distaccati; e mi infilerei in un ginepraio pericoloso
nel tentare di capire come viene ascoltata musica religiosa
proposta in situazioni concertistiche, dentro o fuori i luoghi
sacri. Ho però l’impressione che il tema potrebbe essere
interessante, se ci si trovasse a ragionarne collettivamente.
Voi che cosa ne pensate?
Editoriale
Nicola Campogrande
Credenti e non credenti
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