URBAN BARRIERA DI MILANO
Urban Barriera è un programma di sviluppo
urbano finalizzato a innescare un processo di
miglioramento complessivo dell’area di Barriera di
Milano, quartiere storico della zona Nord della
città di Torino:
Pubblicato il 9 Agosto, 2012
di Antonietta Guadagni
Negli anni ‘70 mi trasferii in Barriera di Milano in una casa cooperativa nuovissima, grande e bella. Ero molto contenta e mi sentivo fortunata per quell’alloggio , ma non mi piaceva per nulla il quartiere. Rimpiangevo la zona Vanchiglia da cui provenivo e le vie eleganti e i palazzi del centro…Solo i miei suoceri furono contenti “Si torna alle origini”- dissero. Loro, che avevano abitato prima della guerra in corso Palermo e poi in corso G.. Cesare amavano quel quartiere perché lì era nato il loro amore, allo scalo Vanchiglia, dove lei era impiegata alla Gondrad. Lui meridionale, lei piemontese “Guarda è venuto a prenderti Scipione l’africano” dicevano le colleghe , un po’ scettiche, alla loro giovane amica alta, bionda, occhi azzurri, innamorata di quel siciliano piccoletto, scuro di pelle con gli occhi neri, povero ma ben determinato a farsi strada ! Infatti qualche anno dopo la giovane coppia viveva già agiatamente grazie al lavoro di lui, che aveva aperto un ufficio di assicurazioni, che resiste ancora oggi, gestito da figli e nipoti e dà lavoro a una decina di persone.
E’ stata lei per prima a mostrarmi la storia di quel quartiere attraverso i suoi ricordi:
“Qui, c’era la Nebiolo, dove il nonno ha lavorato... Qui, c’era la palestra dove facevamo gli allenamenti di pallavolo e nel ‘37 abbiamo vinto il campionato… Lì c’era la Grandi Motori,… me la ricordo in fiamme il 13 luglio del ‘40... Quella è la Parini dove ho fatto le elementari, avevo una maestra eccezionale. Al pomeriggio andavamo con parecchi miei compagni, a fare i compiti a casa sua“…
La mia casa in realtà si trovava un po’ ai limiti della barriera di Milano, confinava con quella del Regio Parco Si trattava di un’area dove sorgevano vecchie fabbriche, alcune ormai abbandonate, altre in via di trasferimento e pochi negozi e servizi tutti concentrati in un lato della via Bologna.
Dalle mie finestre perciò, oltre alla catena di montagne che circondavano la città, avevo la vista sulla CEAT (Cavi Elettrici e Affini Torino) costruita dal nonno di Carla Bruni, l’ing. Virginio Tedeschi Era un grande edificio a due piani che si estendeva per almeno un kilometro o due, si producevano ancora pneumatici per auto e biciclette, ma ormai stavano trasferendosi nel nuovo stabilimento di Settimo Allora vi lavoravano ancora circa 1500 persone.
Oltre al rumore costante giorno e notte si spandeva nell’aria l’odore acre della gomma che si mescolava a quello del caffè della vicina Lavazza, producendo così una miscela veramente micidiale. Poi anche la fabbrica del caffè si trasferì a Settimo e lì rimasero solo gli uffici in un’elegante palazzo in costruzione.
Di quel periodo ricordo bene le passeggiate con i miei figli piccoli in passeggino in quelle strade ancora da tracciare, senza giardini attrezzati, lungo vecchie mura di antiche industrie che avevano fatto la fortuna di uomini coraggiosi, inventori di macchinari, brevetti, prodotti di un tempo felice di espansione economica e sociale. Tuttavia, avvertivo una strana sconcertante inquietudine, come se dovesse capitarmi qualcosa di oscuro Allora non capivo perché, lo scopersi solo più tardi.
Anche i pochi negozi erano modesti e spartani : esisteva una salumeria dove si vendeva l’insalata russa solo il sabato, per la domenica…Evidentemente quell’antipasto, oggi così comune, era considerato un lusso da consumare solo nelle feste!….
Il farmacista poi, un ometto anziano spesso in canottiera perché soffriva il caldo, vendeva prodotti per bambini scaduti e…alle mie proteste rispondeva …”giorno, più, giorno meno…niente ci fa, lei attualmente è l’unica cliente di prodotti per bambini, mica posso rifornire il negozio per lei.”
Così mi spostavo al mercato di piazza Foroni, e qui trovavo ogni ben di Dio, soprattutto le specialità pugliesi, siciliane e verdure fresche dai contadini …
Ma nel giro di pochi anni quell’angolo di barriera rimasto per anni un po’ in letargo si rianimò e sorsero case,, i vecchi negozi si ristrutturano, nuove attività commerciali si insediarono mutando profondamente quei luoghi testimoni di un patrimonio industriale pre e post bellico veramente straordinario. Tutto cambiò e divenne più curato. Sorsero nuove cooperative edilizie, piccoli giardini e tutta la zona divenne bella e piena di verde.
Mi sorprende, oggi, il riutilizzo della vecchia fabbrica Ceat,: al primo piano e in parte anche nei locali di produzione, il Gruppo Abele porta avanti progetti di accoglienza e solidarietà, mentre una bellissima biblioteca è a disposizione di tutti gli abitanti del quartiere.
Proprio lì di fronte, di fianco alla Chiesa di Gesù Operaio, rimane ancora l’asilo parrocchiale voluto da una Tedeschi, dove i miei figli frequentarono la scuola materna.Erano entrambi della sezione dei blu, avevano indossato gli stessi grembiulini azzurri anche se a distanza di 12 anni. Solo quello giallo rimase intatto, perché non fu mai usato. Non le fu permesso! Non ci fu il miracolo tanto invocato. “Ne farete degli altri….siete giovani,… dovete consolarvi…” Ci diceva il vecchio parroco don Natale dopo la tragedia.
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