Intervento del sindaco Valentino Castellani
Non posso nascondere l'emozione di questo momento in cui un uomo del valore di Vittorio Foa riceve la cittadinanza onoraria dalla Città di cui sono Sindaco.
Vittorio Foa è un personaggio di grande rilievo per la storia del nostro paese e della nostra città, un uomo che ha attraversato epoche e mondi e ha saputo analizzarli, raccontarli e spiegarli con una lucidità e un'intelligenza tali da permettergli il distacco necessario per comprendere il passato e il presente, sua costante e ammirevole aspirazione. Fattori che lo hanno reso, oltre che un grande uomo politico, un grande storico e un grande scrittore.
Quello che voglio sottolineare, e che tutti noi sappiamo, è che Vittorio Foa ha attraversato epoche e mondi mantenendo sempre una coerenza nelle idee che fa onore alla politica italiana, una coerenza che non è mai stata sinonimo di immobilità o di chiusura, ma è sempre stata accompagnata alla dinamicità di un uomo costantemente alla ricerca del nuovo, della conoscenza, di nuovo punti di vista. Un politico e un intellettuale che non ha mai smesso di porsi delle domande e che ha sempre voluto capire il presente per costruire il futuro. Anche la recente pubblicazione delle lettere della giovinezza non è una semplice testimonianza del passato ma lo spunto, negli anni della sua vecchiaia, per la riflessione sul presente e per la proiezione verso il futuro. Da il Cavallo e la Torre: ”ma un vecchio non deve scambiare la sua debolezza con la debolezza del mondo: se egli non è più capace di sperare altri ne sono capaci. Credo che la nostalgia, che è un sentimento naturale della vecchiaia, non deve volgersi solo al passato. A me non dispiace che non ci sia più il passato, mi dispiace di non vedere il futuro, di cui sono curioso”.
Non possiamo che ammirare la continua ricerca intellettuale mai distinta dalla prassi, il rifiuto di quella che egli stesso, nell'introdurre il suo ultimo libro, definisce “quell'eterno vizio politico di dire senza fare”. Altre cit.: “dobbiamo cercare l'ideale nel reale, il domani nell'oggi. Il futuro deve essere cercato e costruito nel presente, come tendenze da sostenere oppure da contrastare”…”l'ideale investe un futuro, ma un futuro non troppo lungo per non pensare di decidere utopisticamente noi il destino dei nostri discendenti”.
La passione politica e civile che ha animato la vita di Vittorio Foa è percorsa da un valore che ritorna in tutta la sua esperienza politica e umana: la libertà. Pensiero che si fa ancora più forte nella sua esperienza sindacale in cui il tema del lavoro e dell'autonomia si compenetra con quello della libertà.
Abbiamo ritrovato nella pubblicazione delle sue lettere dal carcere la giovinezza di un uomo che già allora esprimeva la tenacia, la forza delle idee, la speranza e l'ottimismo in un momento difficile che egli utilizzò per studiare, capire e riflettere in vista della costruzione di un domani, per dare un senso al domani. Allo stesso modo il Vittorio Foa di fine secolo ha il pensiero ancora rivolto alla costruzione del domani e chiede ai giovani di pensare in positivo, di usare ironia e autorironia per vedere le cose in modo distaccato ma coinvolto allo stesso tempo, di capire e di partecipare. Da quelle righe emerge quello spirito che recentemente Nicola Tranfaglia, nella cerimonia di conferimento della Laurea honoris causa in Storia, ha voluto definire “il credere nella capacità degli uomini di proseguire un cammino che resta libero pur fra tutti gli ostacoli e le contraddizioni che lo caratterizzano e continua ad avere un genuino interesse per il futuro, per le nuove generazioni, per i problemi di un mondo che sta rapidamente trasformandosi”. Un ottimismo che non è cieco, ma è lucido e consapevole dei mali della società e soprattutto del fatto che c'è qualcosa di peggiore del male: la rassegnazione al male.
Difendendosi dalle accuse di inguaribile ottimista Foa scrive nel Cavallo e la Torre: “Rassegnazione vuol dire rinuncia alla resistenza, vuol dire mancanza di idee, vuol dire impotenza e capitolazione……..Eppure riconosco di avere una carica di ottimismo. Ma non per il vecchio stereotipo del pessimismo della ragione e dell'ottimismo della volontà: non è infatti possibile negare con la volontà un'analisi realistica, se non al prezzo di ipocrisia e autoinganno. E non ho alcuna ragione per pensare che le cose andranno bene in futuro. Il mio ottimismo non riguarda il futuro, esso è tutto nel presente. E' nel presente che dobbiamo vedere i diversi versanti della realtà. Questo mio atteggiamento non ha radici filosofiche, esso nasce dall'esperienza. E' lungo tutto il corso della mia vita che ho conosciuto la capacità creativa dell'individuo da solo o in gruppo, l'invenzione sociale che sfugge a ogni determinismo, a ogni legge precostituita e soprattutto l'irriducibilità, in ultima analisi e finchè c'è vita, dell'uomo a un destino di oppressione; l'irriducibilità della speranza che emerge dall'inferno in Se questo è un uomo di Primo Levi”
Come possiamo definire adeguatamente l'affetto, l'attenzione, l'orgoglio e la passione per Torino che Vittorio Foa esprime nei suoi testi con la sua grande capacità analitica e narrativa? In molti suoi scritti possiamo cogliere l'incredibile legame che li unisce, il continuo intrecciarsi della vita di Foa con quella della città, delle sue strade, delle sue piazze, delle sue fabbriche.
E ritorna il Vittorio Foa che non smette mai di porsi delle domande anche su Torino: all'indomani dell'autunno del 1980 si chiedeva, e qui cito il “Cavallo e la Torre” ('91), cosa era cambiato, cosa c'era da capire: “era difficile perché erano saltati i termini stessi dell'analisi, le sue categorie interpretative. Certo gli operai c'erano sempre, e così pure le imprese, le industrie, i padroni. Ma cambiavano peso e qualità i rapporti fra il lavoro e la vita. E al tempo stesso tutto continuava come prima. Mi sembrava adesso che si smarrisse quella specificità “torinese” che avevo vissuto e amato per quasi un secolo. Avevo pensato a essa (e al Piemonte) come a una specie di zona franca, una zona che accompagna l'Italia senza farsene integrare, che condiziona l'Italia dall'esterno, in un rapporto che è più di forza che di consenso. Torino non era un laboratorio perché i suoi elaborati non diventavano modelli da estendere. Ma era una contraddizione e quindi un fattore di animazione: un'invenzione dell'ordine attraverso il conflitto e il disordine, uno scontro fra diverse turbolenze ed efficienze. Questa “distinzione” di Torino è proprio finita? Torino è oggi una città come tutte le altre?”
In conclusione a Vittorio Foa dobbiamo essere riconoscenti per i grandi insegnamenti e per il legame che ha sempre voluto mantenere con Torino in tutte le fasi della sua vita: dal periodo dello studio a quello della cospirazione e dell'antifascismo, dagli anni del carcere tramite la famiglia alla sua azione per la liberazione e al suo contributo nella Assemblea Costituente, dal periodo del dirigente sindacale che lega la sua pratica con l'esperienza forte della Torino industriale al deputato e senatore; e infine, ancora più intensamente, nella sua riflessione di storico, di intellettuale di questi anni.
Per tutte queste ragioni siamo riconoscenti a Vittorio Foa politico, intellettuale, difensore di idee di libertà, torinese che continua a mandare messaggi di speranza e di azione.
Torino,11 dicembre 1998