L'Orchestra Filarmonica della Scala nasce nel 1982 dal complesso
del Teatro milanese con il proposito di ampliare la frequentazione
del repertorio sinfonico e con l'obiettivo di arrivare a competere
con le più importanti compagini in campo internazionale.
L'iniziativa riscuote subito ampi consensi nel mondo culturale
ed economico cittadino, che attraverso alcuni importanti esponenti
entra a far parte del gruppo dei soci fondatori e sostenitori.
La gestione dell'attività è affidata a un direttivo
eletto dall'Orchestra. Dal 1987 Riccardo Muti è Direttore
Principale della Filarmonica, che in questi anni ha collaborato
con importanti direttori ospiti, quali Claudio Abbado, Leonard
Bernstein, Semyon Bychkov, Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung,
Gianandrea Gavazzeni, Valery Gergiev, Carlo Maria Giulini, Zubin
Mehta, Seiji Ozawa, Georges Prêtre, Ghennady Rozdestvensky,
Wolfgang Sawallisch, Giuseppe Sinopoli, Yuri Termirkanov. L'Orchestra
esegue i concerti della propria stagione (ripresi e telediffusi
da Retequattro) al Teatro alla Scala e compie tournée
in Italia e all'estero, con una presenza assidua nelle più
importanti sale da concerto. In questi ultimi anni l'Orchestra
è stata interprete di numerose incisioni discografiche
con Sony, Decca e EMI. La Filarmonica della Scala è da
sempre attenta ai giovani musicisti e ha istituito una borsa
di studio annuale, con occasioni di collaborazione, per i diplomati
italiani di particolare talento. È stato inoltre attuato
un importantissimo progetto rivolto alla formazione professionale
denominato "Accademia della Filarmonica della Scala"
che con il supporto economico di CEE, Regione Lombardia e Ministero
del Lavoro si propone di formare i giovani all'attività
orchestrale. A partire dal 1998 la Filarmonica commissiona ogni
anno a compositori di fama internazionale un brano dedicato all'Orchestra.
Nato a Napoli, Riccardo
Muti completa gli studi musicali diplomandosi al Conservatorio
di San Pietro a Majella in pianoforte con Vincenzo Vitale, si
diploma in composizione e direzione d'orchestra al Conservatorio
di Milano nelle classi di Bruno Bettinelli e Antonino Votto.
Nel 1967 vince, primo italiano nella storia del concorso, il
Premio Guido Cantelli, imponendosi all'attenzione del mondo musicale.
Dal 1968 al 1980 è Direttore Principale e Direttore Musicale
del Maggio Musicale Fiorentino. Dal 1972 è chiamato a
dirigere la Philharmonia Orchestra di Londra in una serie di
concerti che gli valgono la nomina a Principal Conductor, succedendo
a Otto Klemperer. Nel 1979 l'orchestra londinese lo nomina Music
Director e, nel 1982, Conductor Laureate. Dal 1980 al 1992 è
Music Director della Philadelphia Orchestra, che guida in numerose
tournée e in una ricca discografia. Dal 1986 è
Direttore Musicale del Teatro alla Scala e nel 1987 è
nominato anche Direttore Principale della Filarmonica della Scala.
Oltre che al Maggio Musicale Fiorentino, al Festival di Salisburgo
(dove, dal 1971, le sue interpretazioni mozartiane sono divenute
una importante tradizione) e alla Scala, Riccardo Muti ha diretto
produzioni operistiche a Philadelphia, New York, Monaco di Baviera,
Vienna, Londra e a Ravenna, nell'ambito di Ravenna Festival.
È inoltre ospite ogni anno sul podio della Bayerischer
Rundfunk Symphonieorchester di Monaco e dell'Orchestre National
de France. Recente il suo debutto sul podio della New York Philharmonic
Orchestra, che ha riscosso entusiastiche reazioni del pubblico
e della critica americani.
La Direzione Musicale
del Teatro alla Scala
Nei dodici anni di direzione musicale al Teatro alla Scala Riccardo
Muti ha esplorato diversi ambiti del teatro musicale. Ha diretto
le partiture più popolari del primo Verdi, Nabucco e Attila,
oltre a Ernani, diretto nel 1982. All'insegna di Verdi ha inaugurato
anche la stagione 1989/90 con I vespri siciliani, la stagione
1992/93 con Don Carlo, la stagione 1997/98 con Macbeth. Ha riportato
inoltre sul palcoscenico scaligero, dopo molti anni di assenza
due opere della trilogia romantica, La traviata e Rigoletto oltre
a una nuova produzione de La forza del destino, ultima sua apparizione
scaligera. Di Mozart ha presentato in successione i tre capolavori
dapontiani Così fan tutte, Le nozze di Figaro e Don Giovanni,
oltre a La Clemenza di Tito, Idomeneo e Die Zauberflöte;
ha dato impulso all'esplorazione del repertorio neoclassico con
I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini e Guglielmo Tell
di Gioachino Rossini fino a rarità come Lodoiska di Luigi
Cherubini e La Vestale di Gaspare Spontini oltre ai titoli gluckiani
Alceste, Orfeo ed Euridice, Iphigénie en Thauride, fino
all'Armide che ha inaugurato la Stagione 1996/97. Dopo aver diretto
Der Fliegende Holländer e Parsifal, l'impegno wagneriano
di Riccardo Muti si è concentrato su Der Ring des Nibelungen,
ciclo aperto con Die Walküre (dicembre 1994), proseguito
con Das Rheingold (maggio 1996) e Siegfried (aprile 1997), culminato
nell'inaugurazione della stagione scaligera 1998/99 con Götterdämmerung.
Con Manon Lescaut ha portato la sua prima opera di Puccini su
un palcoscenico teatrale, avendo già diretto i complessi
artistici di Philadelphia in una edizione di Tosca in forma di
concerto della quale resta testimonianza discografica. Il 18
maggio 1996 ha diretto il Concerto straordinario per il Cinquantesimo
Anniversario della ricostruita sala del Teatro alla Scala.
Le tournée
più significative
Con il Teatro alla Scala ha effettuato numerose e acclamate tournée:
è stato in Giappone nel 1988 e nel 1995, e vi tornerà
nel 2000, in Germania, in Russia e a Parigi, dove ha diretto
nel 1988, nella Cattedrale di Nôtre Dame, la Messa di Requiem
di Giuseppe Verdi divenuta insieme a La traviata emblema del
Teatro alla Scala nel mondo. Con i complessi scaligeri Riccardo
Muti è stato a Siviglia, Madrid e Barcellona, in occasione
dell'Expo '92; nell'ottobre dello stesso anno alla Carnegie Hall
di New York e nel 1994 alla Alte Oper di Francoforte.
La Filarmonica
della Scala
In questi anni ha intensificato il rapporto con la Filarmonica
della Scala, portandola a essere unanimemente riconosciuta come
una orchestra di rilevanza internazionale, con una personalità
artistica e un'identità di suono di forte impronta italiana;
con essa riceve, nel 1988, il "Viotti d'oro" e, nel
1997, il "Disco d'Oro" per l'incisione del primo dei
due dischi dedicati a musiche di Nino Rota. Nel 1996 dirige la
compagine milanese a Vienna, per la prima volta, nella mitica
Sala del Musikverein, a chiusura delle Wiener Festwochen e quindi
in una significativa tournée in Estremo Oriente (Giappone,
dove è tornato con grande successo nel settembre di quest'anno,
Corea, Hong Kong) e in Germania. Quest'anno ha portato la Filarmonica
ancora al Musikverein e, per la prima volta, al Festival di Salisburgo.
Nella passata stagione ha portato a compimento al Teatro alla
Scala il ciclo integrale delle Sinfonie di Ludwig van Beethoven.
Sempre con la Filarmonica, Riccardo Muti prosegue un progetto
discografico di ampio respiro dedicato, fra l'altro, alla musica
orchestrale italiana di fine '800 e di questo secolo: Puccini,
Catalani, Ponchielli, Martucci, Casella, Busoni e Rota.
Riccardo Muti e
i Wiener Philharmoniker
In questi trent'anni di carriera è stato più volte
chiamato sul podio dei Berliner Philharmoniker e dei Wiener Philarmoniker
con i quali, in particolare, il rapporto è intenso e significativo.
Ospite abituale a Vienna, Riccardo Muti è stato insignito
dell'Anello d'Oro, onorificenza da sempre riservata ai massimi
direttori d'orchestra. Con la prestigiosa orchestra viennese
prosegue un'importante collaborazione discografica incentrata
soprattutto sui capolavori del sinfonismo classico e romantico
(Mozart, Schubert e Schumann) e ha realizzato diverse tournée
europee, approdate anche al Teatro alla Scala nel 1994, nel 1997
(vi tornerà nel corso del 2000), alla Carnegie Hall di
New York e, quest'anno, anche a Tokyo. Sul podio dei Wiener Philharmoniker
ha diretto a Salisburgo nel gennaio 1991 il concerto che ha dato
inizio alle celebrazioni del Bicentenario mozartiano, nel 1992
il concerto celebrativo dei 150 anni dell'Orchestra e il 1°
gennaio 1993 e 1997 il celebre Concerto di Capodanno, che dirigerà
anche nel 2000. Nel 1996 ha diretto il concerto solenne per il
Millennio dell'Austria e l'anno successivo, nell'ambito delle
celebrazioni per il Bicentenario schubertiano, una importante
serie di concerti, culminati in quello tenuto nel Duomo di Santo
Stefano di Vienna con la Messa in mi bemolle maggiore D 950.
Particolarmente significativo l'interesse e l'impegno di Riccardo
Muti nei confronti della musica italiana del '600 e del '700:
sempre con i Wiener Philharmoniker ha infatti scelto di inaugurare
quest'anno le Festwochen di Vienna con la Messa in re maggiore
di Luigi Cherubini e di presentare al Festival di Pentecoste
di Salisburgo una preziosa e rara selezione di musiche sacre
del barocco italiano, con opere di Niccolò Porpora e Giovan
Battista Pergolesi.
I riconoscimenti
Durante la sua carriera Riccardo Muti ha ottenuto numerosi riconoscimenti
e onoreficenze accademiche: dall'Università di Philadelphia
e dal Mount Holyhoke College del Massachussets, dalla Warwick
University, dal Westminster Choir College di Princeton, dalle
Università italiane di Bologna, Urbino, Cremona, Lecce,
e dall'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Riccardo Muti è membro della Royal Academy of Music, dell'Accademia
di Santa Cecilia e dell'Accademia Luigi Cherubini di Firenze.
È Grand'Ufficiale e Cavaliere di Gran Croce della Repubblica
Italiana. È stato insignito della Verdienstkreutz della
Repubblica Federale Tedesca, dell'Ehrenkreutz della Repubblica
Austriaca e della Croce di Commendatore dei Cavalieri di Malta.
Nel dicembre 1992 è stato insignito della Legion d'Onore
della Repubblica Francese. A seguito di uno straordinario concerto
benefico per la raccolta di fondi per il restauro della casa
di Wolfgang Amadeus Mozart, il Mozarteum di Salisburgo lo ha
insignito della medaglia d'argento, che è la massima onoreficenza
riconosciuta a un interprete mozartiano. Una targa in marmo con
i nomi di Riccardo Muti e dei Wiener Philharmoniker è
stata inoltre posta a memoria dell'avvenimento all'ingresso della
casa del sommo salisburghese. È cittadino onorario di
Bertinoro, Busseto, Firenze, Maiolati Spontini, Milano, Molfetta,
Philadelphia, Ravenna e Tredozio.
Molto significativa infine la testimonianza dell'impegno civile
di Riccardo Muti a capo della Filarmonica della Scala e del Coro
Filarmonico della Scala in occasione di concerti tenuti in città
simbolo della storia contemporanea più travagliata: Sarajevo
nel luglio 1997 e Beirut nel 1998; nel luglio 1999 - sempre su
promozione e organizzazione, come per i primi due, di Ravenna
Festival - il maestro, sul podio dell'Orchestra e del Coro del
Teatro alla Scala, nella suggestiva cornice della Piscina del
Sultano di Gerusalemme, ha diretto la Messa di Requiem di Giuseppe
Verdi.
IL PROGRAMMA
Ludwig van Beethoven
Settima Sinfonia in
la maggiore op. 92
Poco sostenuto - Vivace
Allegretto
Presto - Assai meno presto
Allegro con brio
Ferruccio Busoni
Turandot, dalla Suite
sinfonica op. 41
L'esecuzione capitale, la porta
della città, l'addio
Truffaldino
Valzer notturno
In modo di Marcia funebre
e finale alla Turca
Ottorino Respighi
Pini di Roma
I. I pini di Villa Borghese
II. Pini presso una catacomba
III. I pini del Gianicolo
IV. I pini della Via Appia
Ludwig van Beethoven
(1770-1827)
Settima Sinfonia in la maggiore op. 92
La Settima Sinfonia,
composta tra l'autunno del 1811 e la primavera del 1812, venne
presentata a Vienna l'8 e il 12 di-cembre 1813 nell'aula magna
dell'Università, in occasione di due concerti organizzati
da Johann Nepomuk Mälzel (l'inventore del metronomo, di
strumenti musicali meccanici e di rudimentali apparecchi acustici)
a beneficio dei soldati bavaresi e austriaci rimasti invalidi
durante la battaglia di Hanau nell'otto-bre precedente. Appositamente
per quei concerti erano stati com-posti gli altri lavori in programma:
due marce di Pleyel e di Dussek per "tromba meccanica"
(invenzione di Mälzel, ovviamente) e orchestra e La vittoria
di Wellington dello stesso Beethoven, fragorosa musica d'occasione
con tanto di inni nazionali e imi-tazione di spari e cannonate.
Entrambi i lavori beethoveniani risvegliarono l'entusiasmo e
se, lì per lì, la descrizione musi-cale della battaglia
degli inglesi contro le truppe napoleoniche riscosse maggior
favore da parte del pubblico, il successo della Settima fu ben
più duraturo e le esecuzioni si ripeterono a tempi ravvicinati.
"Apoteosi della danza" l'ha definita Richard Wagner.
A pre-scindere dalle considerazioni wagneriane connesse a tale
defini-zione, più che di danza meglio sarebbe parlare
di ritmo e, più ancora, di movimento. Pare che una corrente
inarrestabile per-corra l'intero lavoro: un continuo succedersi
di ondate, ora incalzanti e ravvicinate, ora più morbide
e lunghe, che trasci-nano l'orchestra in un moto di crescendo
e diminuendo, di ascesa e discesa, come spinto dal vento. Qualsiasi
possibilità di stasi è negata; l'alternativa a
queste spinte successive è il ritmo ripetuto, martellante,
gravido di energia trattenuta, come nell'Allegretto, o in piena
deflagrazione. Il ritmo nella Settima è anche il gioco
dei contrattempi, degli accenti spo-stati, delle brusche frenate
e del repentino ripartire del movi-mento in una sorta di esaltazione
improvvisa. Anche il contrap-porsi di staccato e legato (ad esempio
nel fugato dell'Allegretto), o le dinamiche (gli sforzati, l'incalzante
alternanza di piano e di forte come nell'ultimo tempo), sono
fi-nalizzati all'accentuazione ritmica che pervade l'intero di-scorso
musicale e si impongono come principi motori.
Molti sono i punti di contatto della Settima con altre sin-fonie
beethoveniane, ma qui le stesse caratteristiche paiono esaltate.
L'introduzione lenta (Poco sostenuto) che ritorna dopo un periodo
di assenza, ha un respiro più ampio e una mag-giore connessione
che nella Prima, nella Seconda e nella Quarta. Varie sono le
analogie formali ed espressive dell'Allegretto con la Marcia
funebre dell'Eroica. Il ritmo come componente determinante del
discorso musicale era nato nella Quinta e troverà una
sua ulteriore estrinsecazione nell'Ottava, senza contare che
alcune figurazioni passeranno pari pari nella Nona; anche i chiaroscuri
repentini, le brusche impennate, hanno riscontro altrove. Solo
nella Settima, però, queste ultime componenti assumono
un valore sostanziale, al quale ogni altro parametro, melodico
o armonico, ogni altra fun-zione espressiva, sono subordinati.
Ferruccio Busoni
(1866-1924)
Turandot, dalla Suite sinfonica op. 41
Le vicende attraverso
cui passarono le musiche di Busoni per Turandot furono complesse
e seguirono un percorso che si può definire inverso rispetto
a quello che si riscontra più frequentemente nella produzione
dei compositori: non dall'opera teatrale alla suite ma viceversa,
dalla suite all'opera, passando attraverso le musiche di scena.
Il primo frutto dell'interesse di Busoni per il dramma fiabesco
Turandot di Carlo Gozzi (1720-1806) fu infatti la Suite sinfonica
op. 41, composta nel 1905 come pura musica da concerto "ispirata"
alla fiaba, le cui suggestioni, suscitate da situazioni e personaggi,
si concretizzano in otto brani puramente orchestrali: 1. L'esecuzione
capitale, la porta della città, l'addio (dall'atto I);
2. Truffaldino; 3. Altoum; 4. Turandot; 5. L'appartamento delle
donne; 6. Danza e canto; 7. Valzer notturno (dall'atto IV); 8.
In modo di Marcia funebre e Finale alla Turca (dall'atto V).
La prima esecuzione avvenne nell'ottobre dello stesso anno a
Berlino, sotto la direzione dell'autore.
L'idea di arrivare a delle vere e proprie musiche di scena per
il dramma di Gozzi era però fin dall'inizio nelle intenzioni
del compositore, anche se trovò realizzazione solo nel
1911, per una rappresentazione berlinese con la prestigiosa regia
di Max Reinhardt. Sei anni più tardi le musiche di Turandot
diventavano infine un'opera in 2 atti, composta e rappresentata
a Zurigo.
In diverse occasioni Busoni aveva dichiarato di aver puntato
su Turandot per offrire al teatro italiano qualcosa di simile
a ciò che avevano fatto Beethoven con le musiche per Egmont
di Goethe, Mendelssohn con il Sogno di una notte di mezza estate
di Shakespeare, Schumann con Manfred di Byron, e di aver scelto
appositamente un dramma in cui "molta musica è prescritta
e ne offrono l'occasione non solo i ritmi di marcia e di danza
che vi compaiono spontaneamente ma anzitutto il carattere fiabesco
dell'argomento".
Busoni fece riferimento per diversi temi della suite alla Storia
della Musica del 1862 di Wilhelm August Ambros, traendone melodie
non solo cinesi ma anche turche, persiane e indiane. Tale materiale
si unisce a quello originale per dare corpo a una composizione
estremamente varia e puntuale nella descrizione delle situazioni
della fiaba, interamente strumentata com'è caratteristica
dell'autore, con grande raffinatezza e suggestione.
Ottorino Respighi
(1879-1936)
Pini di Roma, poema sinfonico
Fontane di Roma (1916),
Pini di Roma (1924), Feste romane (1928): è soprattutto
a questi tre poemi sinfonici che si affidò la fama di
Ottorino Respighi in patria e all'estero (di grande favore godettero
e godono tuttora presso le platee americane, grazie anche alle
mirabili esecuzioni che ne dette colà Arturo Toscanini).
È principalmente a essi che si deve anche la collo-cazione
di Respighi nella storia della musica italiana, dato che queste
tre composizioni rappresentano mirabilmente le coordinate essenziali
di quel momento: l'affrancamento dalla monolitica centralità
del melodramma e dalle pastoie del verismo ormai decadente; il
nuovo vigore dell'espressione strumentale che si avvaleva di
un ritrovato "classicismo" in chiave antiromantica;
il mito dell' "italianità" che trovava materiale
fecondo nei soggetti, nella musica popolare e soprattutto negli
stili e nelle forme dei secoli passati, sposandosi da una parte
al classicismo antiromantico già citato e dall'altra al
clima ideologico ormai affermatosi. Un contesto ideologico che
finì per invischiarsi in deprecabili collusioni politiche,
ma che ebbe il merito di stimolare la ricerca musicologica, la
conoscenza e la pubblicazione della musica antica, dal gregoriano
alla polifonia rinascimentale al barocco. In questa temperie
culturale (la cui complessità non è qui nemmeno
lontanamente affrontabile e che comunque necessita ancora di
una riflessione critica) producono i compositori della "generazione
dell'Ottanta" (Casella, Malipiero, Pizzetti, Respighi).
Pini di Roma ci propone un'indubbia italianità d'epoca
(che esplode in modo imbarazzante nell'ultimo quadro) e intrinseche
qualità d'invenzione, in particolare l'uso mirabile di
una tavolozza orchestrale di grandi proporzioni. Lasciamo alle
parole dell'autore, con qualche nostra precisazione, la presentazione
dei quattro quadri.
I. I pini di Villa Borghese: "Giocano i bimbi nella pineta
di Villa Borghese: ballano a giro tondo, fingono marce soldatesche
e battaglie, s'inebriano di strilli come rondini a sera, e sciamano
via. Improvvisamente la scena si tramuta ..." [fra i motivi
tematici compaiono due canzoni infantili, Madama Doré
e il Girotondo]
II. Pini presso una catacomba: "... ed ecco l'ombra dei
pini che coronano l'ingresso di una catacomba; sale dal profondo
una salmodia accorata, si diffonde solenne come un inno e dilegua
misteriosa."
III. I pini del Gianicolo: "Trascorre nell'aria un fremito:
nel plenilunio sereno si profilano i pini del Gianicolo. Un usignolo
canta." [uno strumentista fa partire un disco con il canto
dell'usignolo, soluzione sicuramente audace per il 1924, che
destò stupore]
IV. I pini della Via Appia: "Alba nebbiosa sulla Via Appia.
La campagna tragica è vigilata da pini solitari. Indistinto,
incessante, il ritmo d'un passo innumerevole. Alla fantasia del
poeta appare una visione di antiche glorie: squillano le buccine
e un esercito consolare irrompe, nel fulgore del nuovo sole,
verso la Via Sacra, per ascendere al trionfo del Campidoglio."
[le buccine romane sono rappresentate da sei flicorni].
Rosy Moffa
|