Cassandra Wilson voce
Marvin Sewell chitarra
Adam Rogers chitarra
Monte Croft pianoforte e vibrafono
Lonnie Plaxico basso
Jeff Haynes percussioni
Marcus Baylor batteria
In collaborazione con Modena
International Music
"Il jazz è il
mio primo amore e questo genere musicale sarà sempre con
me": questo è
quello che dice la cantante, compositrice e arrangiatrice Cassandra
Wilson, che amore per la musica popolare e il blues e una particolare
sensibilità musicale hanno condotto a elaborare uno stile
che supera le classificazioni tradizionali.
I risultati artistici sono andati di pari passo con l'acclamazione
popolare. New Moon Daughter ha venduto più di 850.000
copie in tutto il mondo, il Grammy Award 1997 per la miglior
performance vocale jazz, Blue Light til Dawn, ne ha vendute più
di 400.000 e l'ultimo album, Travelling Miles, commissionato
dal Jazz Lincoln Center come omaggio a Miles Davis, sembra destinato
ad analoghi successi.
Sebbene viva a New York da due decenni, l'artista non ha mai
perso di vista le sue radici sudiste. La Wilson è infatti
nata a Jackson, Mississippi, da una famiglia di musicisti. Il
padre, Herman Fowlkes, chitarrista e bassista, si era trasferito
nel Meridione in un'epoca in cui tutti preferivano spostarsi
verso il Nord.
Cassandra ha cominciato a suonare il pianoforte all'età
di nove anni e da adolescente era già in grado di scrivere
musica propria e di accompagnarsi con la chitarra mentre cantava
canzoni folk nelle caffetterie dell'Arkansas e del Mississippi.
Pur iniziando a lavorare come giornalista ha poi continuato a
coltivare la sua passione per il jazz, e l'incontro con il sassofonista
Earl Turbington l'ha aiutata a sviluppare il suo particolarissimo
timbro vocale. Dall'influenza di Joni Mitchell si orienta così
verso i modelli di Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan e Betty Carter.
Oltre a essere impegnata nelle incisioni con il suo produttore
Craig Street, al quale l'accomuna un notevole spirito d'avventura,
Cassandra Wilson viene spesso richiesta come guest-vocalist (Kurt
Ellings, the Roots) e ha anche interpretato canzoni di Van Morrison.
In un mio viaggio statunitense del 1983, ricordo con intensità
la sensazione ricevuta dal disvelarsi improvviso e imprevisto
dello scenario architettonico di Italian Square a New Orleans.
Culla della tradizione e città del jazz per antonomasia,
la capitale della Louisiana offriva con lo spettacolo composito
e policromo di quella piazza un rovesciamento di attese rispetto
all'immagine stereotipa della propria "unità"
culturale, aprendo lo sguardo del visitatore ai nuovi portati
del nascente post-moderno. Con tale definizione stilistica ci
siamo poi abituati a identificare un universo segnico caratterizzato
anche in musica dal gusto del patchwork, della giustapposizione
e contrapposizione di brandelli del passato stilistico; una accentuata
capacità di ascoltare l'evolversi della modernità
intesa in senso tecnico-linguistico con una particolare enfasi
posta sul concetto di "materiale", e all'insegna di
un gioco semantico di rimandi fra l'idea di "assenza"
e quella di "presenza", che Renato Barilli ha lucidamente
teorizzato in un suo saggio (Bompiani 1981), nel quale prospettava
"due ipotesi per l'età post-moderna".
Quello è stato anche l'anno della laurea in Scienze delle
Comunicazioni di Cassandra Wilson, e dell'inizio, forse non a
caso, della sua attività professionale a New Orleans,
venendo da esperienze nel campo della televisione e della carta
stampata. Forse lo si percepisce dalla singolare amatorialità
del suo approccio all'universo canoro, nel quale da subito la
Wilson ha registrato un'incertezza di opzione tra folklore urbano
(le popballads aeree e fonicamente distillate di Joni Mitchell)
e pantheon mitico della vocalità jazzistica e più
in genere afro-americana, popolato dalle meravigliose icone di
Ella Fitzgerald, Betty Carter, Billie Holiday. Post-modernamente
proiettata in una "no-blues land", Cassandra Wilson
sembra aver assunto nella sua a tratti corrugata voce di contralto,
povera di curve melodiche e di slanci fraseologici, l'emotività
drammaturgica del lascito del grande jazz femminile del passato,
rilanciata in forme nuove e dialettiche dal confronto fra il
suo timbro e le mille sonorità di sfondo cui ha opportunamente
delegato, da Pat Metheny a Olu Dara, da Lonnie Plaxico a Cyro
Baptista, la creazione del patchwork sonoro post-moderno. Nel
quale è interessante rilevare, come del resto nel filone
del jazz contemporaneo riferibile a questa definizione di stile,
un gusto metallico e residuale, da paesaggio periferico-tecnologico-urbano
(hangar, automobili e luci al tramonto), cui Metheny ha sovrapposto
l'imprinting solare dei ritmi latino-americani, Bill Frisell
l'emozione algida e controllata da echi e phasings di una rilettura
intellettuale di Aaron Copland, Tim Berne il sound tagliente
e roco delle ancie "quasi da anno Duemila".
Tutto ciò sembra pulsare attorno a Cassandra Wilson e
sostanziarne, come in un rapporto gestaltico fra figura e sfondo,
l'approccio alla poetica musicale. Forte di collaudate esperienze
d'ensemble maturate dopo il suo trasferimento a New York, Cassandra
ha esplorato il rapporto (consustanziale al jazz) con la discografia
riuscendo ad approdare alla prestigiosa Blue Note, l'etichetta
di Alfred Lion che negli ultimi anni ha aperto il catalogo a
360 gradi, ampliando l'immagine tradizionale di label votata
all'hard-bop. Dopo l'azzeccato Blue Light til Dawn (1993), nel
1997 il suo New Moon ha vinto il Grammy Award per la miglior
performance vocale nel campo del jazz. Più interessante
del celebrato predecessore mi pare, quanto meno sotto il profilo
progettuale, questo Traveling Miles, nel quale la vocalist intende
indirettamente ribadire la centralità dell'assunto dell'estetica
jazzistica che postula un rapporto di reversibilità, di
origine tipicamente africana, fra voce e strumento. Anche Davis,
cui sono dedicati l'album e questo concerto, appartiene all'iconologia
afro-americana, ma forse è la prima volta che nei tributi
post-mortem a lui dedicati negli ultimi anni si sceglie la strada
della traduzione in termini vocali di originali concepiti (e
fissati nella memoria discografica) per lo strumento-tromba.
Ciò che più intriga, nel progetto della Wilson,
è il fatto che, accanto a un repertorio davisiano insolito
perché attinto dall'ultima e penultima produzione (come
ad esempio Run the Voodoo Down, Time After Time, Blue In Green),
la cantante abbia scelto la strada della rielaborazione o meglio
della creazione di nuove composizioni liberamente ispirate dal
magico universo timbrico e poliritmico del compianto maestro
del jazz del secondo Novecento. Il fatto è nuovo proprio
in relazione al modello-archetipo della tromba, perché
rispetto al pianoforte e al sassofono la discografia relativa
alla civiltà musicale afro-americana offre innumerevoli
spunti di apprezzamento e riflessione. Nelle radici africane
dell'album-manifesto del jazz etnoelettrico, Bitches Brew, c'è
l'incanto di una pozione magica cui la post-moderna e citazionista
Cassandra Wilson ama essersi abbeverata.
Luca Cerchiari
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