Sin dal debutto avvenuto nel
1981 nella splendida cornice del Teatro Bibiena, un gioiello
di architettura e luogo ideale per la musica cameristica, l'Orchestra
da Camera di Mantova si è subito imposta all'attenzione
generale per quelle che sono ancora oggi le sue qualificanti
caratteristiche: brillantezza tecnica, assidua ricerca della
qualità sonora, particolare sensibilità ai problemi
stilistici. Dalla data della sua fondazione l'Orchestra ha collaborato
con direttori e solisti di fama internazionale (fra gli altri,
Salvatore Accardo, Giuliano Carmignola, Bruno Canino, Uto Ughi,
Michele Campanella, Maria Tipo, Alexander Lonquich, Astor Piazzola,
Severino Gazzelloni, Mischa Maisky, Shlomo Mintz) svolgendo un'attività
che l'ha vista protagonista di innumerevoli concerti in Italia
e all'estero. Negli ultimi anni si è esibita in teatri
e sale da concerto di molti paesi europei, asiatici, negli Stati
Uniti, in Messico e in Sud America. Nel 1996 ha effettuato una
tournée in Nord Europa con il violinista Uto Ughi su invito
della Farnesina, per rappresentare l'Italia nelle manifestazioni
culturali che si sono svolte in occasione del semestre di presidenza
italiana al Consiglio d'Europa. L'Orchestra ha effettuato registrazioni
televisive e radiofoniche per la RAI, la Bayerischer Rundfunk
e la RSTI Svizzera ed è una delle poche orchestre italiane
a presentarsi talvolta senza direttore; in questi casi Carlo
Fabiano svolge il ruolo di primo violino e maestro concertatore.
Negli ultimi anni si è impegnata nel rilancio delle attività
musicali nella propria città realizzando la stagione concertistica
"Tempo d'Orchestra", in cui sono state ospitate altre
orchestre con l'intento di esprimere attraverso un confronto
le capacità produttive dell'orchestra italiana. La manifestazione,
che conta già sei edizioni, è diventata anche un
punto di riferimento per le città limitrofe. All'Orchestra
da Camera di Mantova, nelle figure di Carlo Fabiano, suo fondatore,
primo violino e Direttore artistico e Umberto Benedetti Michelangeli,
suo Direttore principale, è stato assegnato nel 1997 il
premio "Franco Abbiati" dalla critica musicale italiana
"per la sensibilità stilistica e la metodica ricerca
sulla sonorità che ripropone un momento di incontro esecutivo
alto tra tradizione strumentale italiana e repertorio classico".
Uto Ughi ha mostrato uno straordinario talento
fin dalla prima infanzia: all'età di sette anni si è
esibito per la prima volta in pubblico eseguendo la Ciaccona
dalla Partita n. 2 di Bach e alcuni Capricci di Paganini. Ha
eseguito gli studi sotto la guida di George Enescu, già
maestro di Yehudi Menuhin. A quest'ultimo veniva già paragonato
quando era solo dodicenne e la critica scriveva: "Uto Ughi
deve considerarsi un concertista artisticamente e tecnicamente
maturo". Ha iniziato le sue grandi tournée europee
esibendosi nelle più importanti capitali europee. Da allora
la sua carriera non ha conosciuto soste. Ha suonato infatti in
tutto il mondo, nei principali festival, con le più rinomate
orchestre sinfoniche. Tra le altre, quella del Concertgebouw
di Amsterdam, la Boston Symphony Orchestra, la Philadelphia Orchestra,
la New York Philharmonic, la Washington Symphony Orchestra sotto
la direzione di maestri quali Sargent, Celibidache, Colin Davis,
Leitner, Prêtre, Rostropovich, Sinopoli, Sawallish, Mehta,
Masur, Barbirolli, Cluytens, Chung, Ceccato. Considerato tra
i maggiori violinisti del nostro tempo, è un autentico
erede della tradizione che ha visto nascere e fiorire in Italia
le prime grandi scuole violinistiche. Uto Ughi non limita i suoi
interessi alla sola musica, ma è in prima linea nella
vita sociale del Paese, e il suo impegno è volto soprattutto
alla salvaguardia del patrimonio artistico nazionale; al fine
di promuovere il restauro dei monumenti storici della città
lagunare ha fondato il festival "Omaggio a Venezia".
Il 4 settembre 1997 il Presidente della Repubblica gli ha conferito
l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce per i suoi meriti artistici.
Intensa è la sua attività discografica con la BMG
Ricordi per la quale ha registrato i Concerti di Beethoven e
Brahms con Sawallisch, il Concerto di Cajkovskij con Kurt Sanderling,
Mendelssohn e Bruch con Prêtre, alcune Sonate di Beethoven
con Sawallisch al pianoforte, l'integrale dei Concerti di Mozart,
Viotti, Vivaldi, 3 Concerti di Paganini nel ruolo di direttore
e solista, il Concerto di Dvorák con Leonard Slatkin e
con la Philarmonia Orchestra di Londra, e le Sonate e Partite
di Bach per violino solo. Sono di nuova pubblicazione Il Trillo
del diavolo, incisione "live" dei più importanti
pezzi virtuosistici per violino, il Concerto di Schumann con
Sawallish e la Bayerischer Rundfunk, e i Concerti di Vivaldi
con i Filarmonici di Roma. Uto Ughi suona con un violino Guarneri
del Gesù del 1744 che possiede un suono caldo dal timbro
scuro, forse uno dei più bei Guarneri esistenti, e con
uno Stradivari del 1701 denominato "Kreutzer" perché
appartenuto all'omonimo violinista cui Beethoven aveva dedicato
la famosa Sonata.
IL PROGRAMMA
Wolfgang Amadeus Mozart
(1756-1791)
Divertimento in fa maggiore per archi K. 138
Allegro
Andante
Presto
Concerto in la maggiore
per violino e orchestra K. 219
Allegro aperto
Adagio
Rondò. Tempo di minuetto - Allegro
Niccolò Paganini
(1782-1840)
Quarto Concerto in re minore per violino e orchestra
Allegro maestoso
Adagio flebile e con sentimento
Rondò galante - Andantino gaio
Wolfgang Amadeus Mozart
Divertimento in fa maggiore K. 138 (K6 125c)
Fu a Salisburgo che vennero composti, nei primi mesi del 1772,
i tre Divertimenti K.136, 137 e 138 per archi. Concepiti invero
dal sedicenne compositore quali Quartetti, ma da sempre per inveterata
abitudine affidati a un complesso orchestrale cameristico, essi
appaiono strutturati in tre movimenti secondo le maniere italiane
tipiche della cosiddetta "Sinfonia avanti l'opera"
e così pure del Concerto. Tali composizioni rivelano altresì
- è stato notato - la "dipendenza dalla struttura
della Sonata a tre barocca e dal modello di Sammartini",
e la mancanza di uno o due minuetti le rende assai più
simili alla tipologia della Sinfonia per soli archi che non a
quella del Divertimento, nonostante tale titolazione sia esplicitamente
indicata in partitura. Quanto alla genesi dei tre Divertimenti
è possibile che Mozart li abbia composti "per precauzione",
vale a dire al fine di poter disporre di materiale nuovo, in
prospettiva di una eventuale esecuzione durante l'ultimo viaggio
in Italia: quello ch'egli intraprese nell'autunno del '72 per
la rappresentazione milanese del Lucio Silla.
Il Divertimento in fa maggiore K. 138 esordisce con un movimento
dall'ambientazione già squisitamente sinfonica, improntato
a una rimarchevole souplesse. Esso si apre con un energico Allegro
subito increspato di transitorie modulazioni e quindi innervato
di spunti imitativi. Gioioso ed estroverso, questo Allegro contiene
un breve sviluppo dalle trascoloranti velature, cui segue, a
ristabilire tosto l'equilibrio espressivo, la regolare ripresa.
Coniato nella limpida tonalità di do maggiore, il successivo
Andante dalla dolce, suadente cantabilità, si presenta
in forma bipartita; ed è nella seconda parte che s'avanzano
alcune plaghe appena un poco più malinconiche. Traboccante
di charme tale Andante rivela in complesso una grazia tipicamente
galante.
Quanto al conclusivo Presto in forma di rondò, dalla singolare
concisione (nonostante un episodio in tonalità minore,
vagamente enigmatico, non immemore di Johann Christian Bach,
come notava Einstein) vi prevale nuovamente un'atmosfera briosa
e solare. Notevoli taluni umoristici effetti prossimi a certo
Haydn che intervengono con la loro sincera verve: fraseggi staccati,
nette contrapposizioni di piano e forte non fanno altro che sottolineare
lo spirito del più puro divertissement cui la pagina risulta
informata da cima a fondo, ribadendone la limpida luminosità.
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto in la maggiore K. 219 per violino e orchestra
Nonostante non eguagli
gli elevati esiti conseguiti nell'ambito della ben più
innovativa produzione concertistica destinata al pianoforte,
pur tuttavia l'esiguo lascito mozartiano di pertinenza violinistica
annovera non poche pagine di innegabile importanza. Tralasciando
un ristretto numero di lavori di dubbia autenticità, il
corpus delle opere per violino e orchestra comprende innanzitutto
i cinque Concerti K. 207, 211, 216, 218 e 219, nessuno dei quali
dato alle stampe mentre Mozart era in vita; i manoscritti, in
possesso della moglie Costanza, vennero pubblicati infatti solamente
molti anni dopo dall'editore André. A tali opere occorre
aggiungere poi ancora una manciata di singole pagine, tra le
quali l'Adagio K. 261 (concepito nel '76 quale movimento alternativo
per il Concerto K. 219) i Rondò K. 269 e K. 373, nonché
la superlativa Sinfonia concertante K. 364 ove un violino e una
viola si spartiscono il ruolo solistico. Mozart non sarebbe più
ritornato in seguito a occuparsi di tale genere preferendo, nel
successivo decennio viennese, concentrare la propria attenzione
sui problemi stilistici e strutturali legati alla forma del concerto
pianistico.
Delle opere violinistiche è opportuno sottolineare la
singolare rapidità della genesi, sia pure tenendo presente
i già frenetici ritmi creativi dell'allora diciannovenne
musicista; vennero concepiti infatti nell'angusto spazio di soli
nove mesi, tra la metà d'aprile del 1775 e la fine di
dicembre di quel medesimo anno. Sono pressoché sconosciute
le circostanze che indussero il giovane Mozart a misurarsi con
le difficoltà connesse col trattamento del violino solista,
anche se è lecito ricollegarne la gestazione con l'incarico
di Konzertmeister che Mozart ricoprì a Salisburgo a partire
dal 1770; si è anche ipotizzato un probabile, privilegiato
destinatario nell'italiano Antonio Brunetti che dall'imminente
'76 avrebbe assunto a sua volta il ruolo di primo violino dell'orchestra
di corte salisburghese. Per costui Mozart scrisse espressamente
l'Adagio K. 261, i due citati Rondò e la Sonata K. 379.
I cinque concerti che cronologicamente si situano in prossimità
della rappresentazione a Monaco della Finta giardiniera (gennaio
1775) nonché del primaverile allestimento a Salisburgo
del Re pastore, nel complesso rivelano una già scaltrita
padronanza formale, conseguita attraverso lo studio attento di
modelli in specialmodo italiani, Tartini, Pugnani, Gemignani,
Locatelli, Nardini e Boccherini, innanzitutto, erano autori senza
dubbio familiari al giovane Mozart, la cui iniziazione violinistica
fu merito del padre Leopold, ottimo violinista egli stesso e
autore d'un apprezzabile Metodo per lo studio del violino nonché
inflessibile pedagogo, ancorché mediocre compositore.
Peraltro, nonostante l'evidente influsso di riconoscibili topoi
linguistico-formali, tali concerti (specie gli ultimi due) rivelano
già peculiari caratteristiche nell'ingegnoso trattamento
del violino, sia sotto il profilo timbrico, sia sul piano squisitamente
tecnico. Tutti elementi che, non a caso, unitamente all'elevata
qualità delle idee melodiche adottate e al raffinato tessuto
armonico in essi dispiegato, ne hanno consentito una imperitura
collocazione in repertorio.
Condotto a termine il 20 dicembre 1775 il Concerto in la maggiore
K. 219, dell'intera serie "l'astro più brillante",
s'apre in un clima di energico vitalismo, cedendo presto il passo
a un grazioso e più tenue secondo tema. Con effetto a
sorpresa il solista "entra" in regime di Adagio subito
sfoderando una "sensuale" cantabilità, poi attacca
l'Allegro con piglio esuberante, spingendosi in regione acuta.
Un nuovo elemento presenta una allure improntata a umoristica
bonomia, mentre lo sviluppo appare moderatamente virtuosistico.
Nel successivo Andante si respira un clima di soave dolcezza
e il solista si abbandona a un espanso lirismo. Se contiene alcune
desolate screziature già prossime a un certo clima empfindsamer
a prevalere tuttavia è una cifra di colore arcadico, pregna
di grande bellezza melodica.
In chiusura un arguto Rondò dalle maniere esplicitamente
francesi, con il suo argentino refrain dal doppio couplet destinato
a imporsi fin dalla sua prima apparizione. Una zona più
fantomatica è avviata da icastici unisoni che conducono
all'esplorazione di tonalità minori. Ma la caratteristica
più vistosa del movimento (ciò che non a caso ha
contribuito alquanto alla popolarità del concerto) consiste
nella comparsa di un episodio di riconoscibile matrice turchesca
- secondo una moda tipicamente settecentesca - con i suoi irrinunciabili
stilemi, invero non lontani dal colore ungherese di certo Haydn:
energici arpeggi su rudi note di bordone, grottesche acciaccature
e striscianti cromatismi. Il materiale deriva da spunti del balletto
Le gelosie del serraglio che Mozart compose nel 1772 per l'opera
Lucio Silla. Da ultimo la regolare e rassicurante ripresa interviene
a chiudere un concerto meritatamente apprezzato, tuttora assai
frequentato dagli esecutori e amato dal pubblico.
Niccolò Paganini
Quarto Concerto in re minore per violino e orchestra
Ascrivibile, quanto
ai primi abbozzi, al 1829, il paganiniano Quarto concerto rimasto
privo di numero d'opus risale a un periodo di intensissima attività:
proprio in quell'anno Paganini tenne ben 39 concerti in 18 differenti
città. Più d'un commentatore segnala il vasto afflato
sinfonico e la lussureggiante orchestrazione del Quarto Concerto,
ch'ebbe la sua première a Francoforte il 26 aprile 1830.
Il lavoro (pervenutoci in una "lezione" che probabilmente
solo in parte rispecchia il dettato originale, stante l'abitudine
all'improvvisazione) inizia con un Allegro maestoso inteso a
ricalcare la forma classica; con mirabile simmetria ai due temi
dell'esposizione orchestrale corrispondono spunti solistici.
Se il primo elemento si configura icastico e perentorio (ed è
su questo che s'impernia il vero e proprio Capriccio collocato
prima dello sviluppo) anche la seconda idea possiede profili
netti e ben delineati.
Un clima di elegiaca malinconia aleggia nel successivo Adagio
flebile e con sentimento la cui stimmung andrà connessa
con il rapporto sentimentale che legò il compositore dei
24 Capricci all'aristocratica Hélène von Feuerbach:
laddove sul piano formale la pagina, con la sua alternanza di
accese impennate e più languide distensioni memori della
cantabilità italiana, segnatamente belliniana, risente
della struttura del lied monotematico.
Per il tempo conclusivo Paganini scelse la forma del Rondò
(come già nel celeberrimo finale del Secondo Concerto
soprannominato "La campanella" ). Ed è proprio
in quest'ultimo tempo che la vocazione virtuosistica del violino
ha modo di rifulgere appieno, disvelando un vasto armamentario
di irti tecnicismi (passaggi accordali, arpeggi dall'ampia tessitura,
doppi armonici, "risalto di sincopi, limpidi gettati"
e quant'altro). Pure, nonostante l'esasperazione del virtuosismo,
il finale non appare certo una sterile vetrina di funambolismi,
presentandosi sostanziato d'una robusta materia sonora che, punteggiata
dai tinnuli rintocchi del triangolo, le conferisce il giusto
spessore. Anche qui è da ammirare l'equilibrio tra solista
e orchestra conseguito con un sagace dosaggio degli ingredienti.
Sicché la pagina tuttora esercita il suo fascino non solamente
fra i solisti, bensì presso il pubblico che da tempo ormai
ne ha decretato il successo. Anche l'elaborazione dei temi e
la connessione tra i vari elementi appaiono degni della massima
ammirazione, specchio tangibile d'una mentalità ormai
di stampo prettamente sinfonico.
Attilio Piovano
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