IL PROGRAMMA
Johann Sebastian Bach
(1685-1750)
Il Clavicembalo ben temperato
Libro II
(lunedì 13 settembre,
ore 17)
1. do magg. BWV 870
2. do min. BWV 871
3. do diesis magg. BWV 872
4. do diesis min. BWV 873
5. re magg. BWV 874
6. re min. BWV 875
7. mi bemolle magg. BWV 876
8. mi bemolle min. (re diesis min.) BWV 877
9. mi magg. BWV 878
10. mi min. BWV 879
11. fa magg. BWV 880
12. fa min. BWV 881
(martedì 14 settembre,
ore 17)
13. fa diesis magg. BWV 882
14. fa diesis min. BWV 883
15. sol magg. BWV 884
16. sol min. BWV 885
17. la bemolle magg. BWV 886
18. sol diesis min. BWV 887
19. la magg. BWV 888
20. la min. BWV 889
21. si bemolle magg. BWV 890
22. si bemolle min. BWV 891
23. si magg. BWV 892
24. si min. BWV 893
"Se potessi portare
una sola opera su un'isola deserta sceglierei senz'altro il Bach
di Evgeni Koroliov, perché vorrei ascoltarlo, assetato
e affamato, fino all'ultimo respiro".
Questa affermazione
di György Ligeti chiarisce efficacemente il particolare
legame di Evgeni Koroliov con la letteratura bachiana per tastiera,
che lo portò a tenere a Mosca, all'età di 17 anni,
il primo recital con l'intero ciclo del Clavicembalo ben temperato.
Nato a Mosca nel 1949, Koroliov ha studiato, tra gli altri, con
Anna Artobolevskaya, Heinrich Neuhaus, Maria Judina e Lev Oborin
e insegnato al Conservatorio Cajkovskij dalla fine dei suoi studi
fino al 1976, anno in cui raggiunse la moglie in Jugoslavia.
Le vittorie a numerosi concorsi internazionali - Premio Bach,
Lipsia 1968 e Toronto 1985; Premio Van Cliburn, 1973; Gran Prix
Clara Haskil, 1977 - gli hanno dato l'opportunità di tenere
concerti in due continenti e di essere nominato professore presso
la Scuola superiore di Musica di Amburgo. Festival di Ludwigsburg
e di Montreux, Internationale Bachtage di Stoccarda, Festival
Glenn Gould di Groningen, Settembre Musica di Torino, Gewandhaus
di Lipsia, Konzerthaus di Berlino sono le principali tappe di
una carriera che l'ha visto spesso al fianco di artisti come
Natalia Gutman e Mischa Maisky. Ha inciso Bach, Cajkovskij, Prokof'ev
e Schubert per l'etichetta Tacet, mentre la Bachakademie di Stoccarda
lo ha invitato a partecipare alla registrazione in cd di tutte
le opere di Bach che si concluderà nel 2000, in occasione
del 250° anniversario della morte del compositore, a cura
della Haessler Classics.
Il Clavicembalo ben temperato
deve il suo titolo
(per la verità tradotto in modo poco opportuno, dal momento
che il termine tedesco usato, Klavier, significa semplicemente
"tastiera") al fatto che vuol essere un'esemplificazione
di ciò che si può fare su una tastiera servendosi
appunto del temperamento equabile.
Da secoli il problema dei rapporti matematici fra i suoni di
una scala compresi nell'ambito dell'ottava aveva affascinato
i teorici. Con Zarlino, nel '500, si era imposta la "scala
naturale", che derivava i suoi rapporti dal fenomeno fisico-acustico
dei suoni armonici. La scala zarliniana, che prevedeva due tipi
di tono, uno grande e uno piccolo, poneva però non pochi
problemi per gli strumenti ad accordatura fissa, come il clavicembalo
o il clavicordo, i quali per adeguarvisi, avrebbero dovuto impiegare
un numero esageratamente elevato di tasti per ogni ottava.
Dopo vari esperimenti si giunse, fra la fine del XVII secolo
e l'inizio del XVIII, per merito di Andreas Werkmeister e di
Johann Georg Neidhart, alla formulazione di una scala di compromesso,
chiamata "scala temperata", che divideva l'ottava in
dodici parti uguali (semitoni), eliminando le differenze fra
diesis e bemolli. La teoria del "temperamento", favorita
dal fatto di rappresentare una singolare convergenza fra scientismo
ed empirismo, che dominavano il pensiero filosofico dell'epoca,
attrasse immediatamente vari compositori, come Johann Pachelbel
o Johann Mattheson.
Con la raccolta di preludi e fughe in tutte le tonalità
maggiori e minori intitolata Il Clavicembalo ben temperato, Bach
superò di gran lunga, sul piano artistico, i precedenti,
erigendo alla nuova scala un monumento destinato a non essere
eguagliato. L'opera è giunta fino a noi divisa in due
libri: il Primo, comprendente ventiquattro coppie di preludi
e fughe (BWV 846-869), reca la data del 1722; il Secondo libro,
datato 1744, riunisce composizioni dagli anni Venti agli anni
Quaranta, replicando, a ventidue anni di distanza, lo schema
di preludi e fughe in tutte le tonalità già sperimentato
con fortuna (BWV 870-893).
Fedele alla sua mentalità razionalistica e compendiaria,
per vocazione esaustiva, il Kantor di Lipsia volle dimostrare,
non lasciando nulla di inesplorato, tutte le possibilità
della nuova scala, servendosi delle due forme che più
frequentemente venivano impiegate e abbinate nella letteratura
cembalo-organistica tedesca del suo tempo: il preludio, come
massima espressione di libertà compositiva, e la fuga,
la più rigorosa forma di contrappunto imitativo del sistema
tonale.
Il Primo libro presenta sul frontespizio, oltre al titolo, la
destinazione dell'opera: "per utilità e uso della
gioventù musicale avida di apprendere" (e dunque
a scopo didattico), "e anche a ricreazione di coloro che
sono già provetti in questo studio". L'assenza di
specificazioni nel Secondo libro ha condotto gli studiosi a prospettare
varie ipotesi sulle ragioni che avrebbero indotto Bach a comporre
questa nuova raccolta. Alfredo Casella, autore di un'importante
e attenta revisione commentata del Clavicembalo ben temperato,
propende per una ragione eminentemente pratica: riunire in un
unico libro una serie di preludi e fughe già composti
in tempi diversi. Ma Alberto Basso, nella sua magistrale monografia
bachiana (Frau Musika. La vita e le opere di J.S. Bach, Torino,
EDT 1979-1983), propone, suggestivamente, la ricerca di una spiegazione
"nel mondo delle allegorie, dei simboli, degli emblemata,
di cui tutta la cultura barocca tedesca è intrisa".
Per lungo tempo si è creduto che l'autografo del Secondo
libro fosse andato perduto, e le edizioni moderne dell'opera
si basavano su copie di Johann Rudolph Kirnberger e di Johann
Christoph Altnickol, allievo e genero di Bach. Oggi è
noto anche l'autografo; passato probabilmente, alla morte di
Bach, al figlio Wilhelm Friedemann, fu poi affidato a Muzio Clementi,
che nel 1820 ne pubblicò due fughe, nella sua Introduzione
all'arte di suonare il pianoforte. Alla morte di Clementi, il
manoscritto passò nelle mani della famiglia inglese degli
Emett. Visto da Mendelsohn durante una sua visita in Inghilterra
nel 1842, fu poi creduto perduto, ma risulta ora in possesso
del British Museum. Esso fornisce alcune indicazioni preziose,
di agogica, diteggiatura, dinamica e di legati e staccati. Ma
di alcuni preludi e fughe che lo compongono esistono anche versioni
più antiche.
Rispetto al Primo libro, i preludi e le fughe del Secondo mostrano
una concezione più elaborata. I preludi sono di dimensioni
più ampie e si presentano spesso bipartiti, o addirittura
con una "ripresa" conclusiva più o meno lunga:
evidente il rapporto con il genere della suite, o con la sonata
italiana del grande contemporaneo di Bach, Domenico Scarlatti.
Quanto alle fughe, nonostante spesso siano solo a tre voci (nel
Primo libro si raggiungevano le cinque voci), sono spesso più
cerebrali e complesse rispetto a quelle del Primo libro, rivelando
nell'autore il desiderio di esaltare l'ars combinatoria piuttosto
che privilegiare la funzionalità didattica. Il tutto appare
sintomo di una tendenza all'astrazione (destinata a culminare
nell'Offerta musicale e nell'incompiuta Arte della fuga), cui,
secondo Basso, non sono estranee "le istanze della cultura
esoterica".
Come, e più ancora di quelli del Primo libro, i preludi
del Secondo rivelano diversi stili e il Preludio in la minore
contiene addirittura un contrappunto doppio su una linea cromatica,
ma la fantasia di Bach trionfa soprattutto nelle fughe. Si noti
l'uso degli "stretti", in cui i soggetti si possono
combinare in vari modi, con varianti o cromatismi. In alcune
fughe è presente un controsoggetto assai incisivo. A volte
i controsoggetti sono più d'uno, e allora Bach si serve
con grande abilità della tecnica del contrappunto doppio,
così come nella combinazione dei vari soggetti nelle fughe
doppie e triple. Non mancano gli artifici di origine fiamminga,
come l'uso del soggetto "per aumentazione" o "per
diminuizione" dei valori ritmici, o l'impiego del soggetto
rovesciato "a specchio". Particolarmente intenso l'uso
del cromatismo, fonte di pathos fin dall'antichità classica.
Ma non mancano fughe in cui i temi richiamano i contemporanei
ritmi di danza della suite.
Disposte in successione crescente di semitono (do maggiore, do
minore, do diesis maggiore, do diesis minore, re maggiore ecc.),
le coppie di preludi e fughe si snodano all'insegna di una varietà
sorprendente. Il Preludio n. 1 in do maggiore, ad esempio, richiama,
nella sua festosità, l'allemanda di una suite. Caratteristica
invece la forma del Preludio n. 3 in do diesis maggiore, diviso
in una prima parte di carattere armonico (come il celebre Preludio
n. 1 del Primo libro), e in una seconda parte che è una
sorte di "fughetta" a tre voci. Una mesta, pensosa
cantabilità contraddistingue il Preludio n. 4 in do diesis
minore, che ricorda, per intensità di concezione, il "mistico"
preludio nella tonalità corrispondente del Primo libro,
mentre la Fuga si distacca da quella chiesastica grave e complessa
del Primo libro, adottando un ritmo di giga, che però
conserva, forse suggerito dalla tonalità, un pathos tragico,
soprattutto in un nuovo soggetto, cromatico, protagonista della
seconda sezione. (È appena il caso di ricordare che Bach,
il cui pensiero musicale si riconnette in parte alla barocca
"dottrina degli affetti", tende ad attribuire alle
singole tonalità un significato particolare.) Alla fanfara
iniziale di una suite orchestrale fa pensare il Preludio n. 5
in re maggiore, nella forma "con ripresa", che presenta
all'inizio della seconda parte il tema rovesciato alla dominante.
La successiva Fuga, nello stile "convenzionale cattolico"
secondo Busoni, è attribuita da Casella al periodo (1733-38)
della Messa in si minore (cattolica, appunto), nel quale Bach
trascriveva i manoscritti dei grandi vocalisti di scuola veneziana
(Lotti, Caldara).
Tipiche sonorità di Vivaldi, la cui opera Bach aveva studiato
fin dall'epoca Weimar (1708-17), si trovano nel Preludio n. 6
in re minore. "Pastorale" viene talvolta definito il
Preludio n. 7 in mi bemolle maggiore, in tempo di 9/8, improntato
a una quieta solennità, destinata ad accentuarsi nella
festante Fuga. Il Preludio e la Fuga n. 8 in re diesis minore
(tonalità enarmonica di mi bemolle), meritano di essere
confrontati con quelli corrispondenti del Primo libro. Se il
Preludio di quello era un magnifico recitativo strumentale, questo
appare brano più intellettuale, riflessivo e malinconico,
mentre notevoli affinità con quella del Primo libro presenta
la Fuga: austera e meditativa, essa procede da un'iniziale atmosfera
enigmaticamente incolore a una grandiosa chiusa, in modo maggiore,
preceduta da artefici, come quello di combinare il tema con la
sua inversione speculare.
Il Preludio n. 9 in mi maggiore, bipartito, è degno di
nota per la presenza di due temi, ed è seguito da una
Fuga maestosamente organistica. Ritmi puntati contraddistinguono
il Preludio n. 13 in fa diesis maggiore, e si ripresentano anche
nella Fuga assimilata dal Tovey a un tempo di gavotta; vi domina
la ricorrenza di un assertivo tricordo ascendente che, curiosamente,
verrà ripreso da Bruckner nel suo Te Deum, alle parole
"Et in te, Domine, speravi". Nella doppia Fuga n. 14,
in fa diesis minore, il secondo soggetto appare come una chiara
derivazione dal madrigale italiano. Toccatistico e probabilmente
giovanile il Preludio n. 15 in sol maggiore. Solenne invece,
nei suoi ritmi puntati "alla francese", il Preludio
n. 16 in sol minore, e imponente la Fuga, caratterizzata da un
soggetto energico, ma anche da un ben rilevato controsoggetto,
dal quale Bach ricava interessanti "divertimenti".
Inquieto e patetico il Preludio n. 17 in la bemolle, in cui compaiono
armonie dissonanti audaci e presaghe del futuro. La doppia Fuga
n. 18 in sol diesis minore, tesa verso l'astrazione logica, fa
già presentire quell'omaggio al razionalismo che comparirà
nella Fuga della Sonata op. 110 di Beethoven. Quanto alla Fuga
n. 22 in si bemolle minore, essa costituisce una delle più
complesse architetture polifoniche di Bach, che qui gioca soprattutto
sulle combinazioni fra il soggetto e le sue inversioni.
Il gusto bachiano per gli effetti spettacolari di un gioco logico,
che compaiono soprattutto nelle fughe (e, nel Clavicembalo ben
temperato, più nel Secondo libro che nel Primo), ha indotto
lo studioso americano Douglas R. Hofstadter, a cogliere affinità
tra i modi di procedere di Bach, del matematico Kurt Gödel
e dell'incisore novecentesco di figure geometriche "impossibili"
Maurits Escher (nel volume Gödel, Escher, Bach. Un'eterna
ghirlanda brillante). Ma per restare a epoche precedenti, possiamo
anche accostare, in tal senso, l'arte di Bach ad alcuni allucinati
giochi pittorichi di Bruegel e, in genere, a tutta la mentalità
"gotica" della civiltà franco-fiamminga del
Rinascimento.
Tuttavia, razionalità ed espressività, nella musica
di Bach, non solo non si escludono, ma appaiono anzi complementari:
due modalità di percezione e di reazione al reale che
rinviano al senso del divino, nel quale si conciliano le apparenti
opposizioni. In questa luce, forse in nessun'opera come nel Clavicembalo
ben temperato, le "due immagini" di Bach, quella sacra
e quella profana (che, anni fa, sono state contrapposte innescando
vivaci dispute musicologiche), trovano una così felice
convergenza.
Giulia Giachin
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