Francesca Rotondo
soprano
Laura Rivolta
contralto
Mok Jin-Hak
tenore
Carlo De Bortoli
basso
Massimo Peiretti
maestro del coro
In collaborazione con l'Accademia
Corale "Stefano Tempia"
Fondata nel 1875 da Stefano
Tempia, maestro della Reale Cappella di Torino, l'Accademia Corale
"Stefano Tempia" è la più antica associazione
musicale del Piemonte e, come accademia corale, la più
antica d'Italia. I componenti del suo coro, fin dall'origine
denominati "Accademici", si dedicano all'attività
a titolo amatoriale ma con un impegno costante per 10 mesi all'anno.
Con alle spalle oltre 120 anni di storia concertistica, attualmente
la formazione è sia titolare di una propria stagione sia
ospite abituale delle istituzioni e società musicali del
Piemonte. Il suo repertorio, inizialmente solo polifonico, si
è progressivamente ampliato fino a comprendere tutte le
grandi composizioni sinfonico-corali, dal Barocco al Moderno,
annoverando inoltre esecuzioni in prima assoluta per Torino di
opere quali la Nona Sinfonia di Beethoven, l'oratorio Judas Macchabaeus
di Haendel e la Messa Solenne di S. Cecilia di Gounod. Direttore
artistico dell'Accademia è Alberto Peyretti e vice direttore
Massimo Peiretti. L'Accademia è parallelamente impegnata
nella didattica attraverso la Scuola di Orientamento Musicale,
i cui corsi gratuiti di durata triennale hanno lo scopo di offrire
ai giovani la possibilità di avvicinarsi alla musica con
lo studio della teoria, delle tecniche vocali e la partecipazione
alle esecuzioni corali.
Carlo De Bortoli, vincitore del concorso internazionale
"G.B. Viotti" di Vercelli nel 1972, ha debuttato nello
stesso anno al Teatro Regio di Torino nell'opera Boris Godunov
nel ruolo di Pimen. Da quel momento ha intrapreso una prestigiosa
carriera internazionale che lo ha portato a esibirsi nei più
importanti teatri italiani, quali l'Opera di Roma, l'Arena di
Verona, il Comunale di Firenze, e all'estero ad Amburgo, Parigi,
Bruxelles, Ginevra, in Cina e in India riscuotendo unanimi consensi
di pubblico e critica. Ha ricoperto i ruoli classici della voce
di basso di più di cinquanta opere. Alterna frequentemente
l'attività in campo operistico e in campo concertistico,
collaborando attivamente con la RAI e altre emittenti europee
e con varie associazioni concertistiche e festival internazionali.
Mok Jin-Hak, laureato a Seul (Corea) alla Yonsei
University, è diplomato al Conservatorio Giuseppe Verdi
di Milano. Finalista nel 1994 al concorso di Treviso "Toti
Dal Monte", ha lavorato al Teatro Nazionale di Seul dove
ha cantato in Rigoletto e Fidelio interpretando rispettivamente
i ruoli di Borsa e Jacuino. Nel 1995-96 ha partecipato alla stagione
di concerti del Teatro Regio di Torino, dove ha cantato come
solista nei Carmina Burana di Orff e nella Petite Messe Solemnelle
di Rossini. Il suo repertorio cameristico comprende i Liebeslieder
di Brahms che ha interpretato nell'ambito della stagione concertistica
1995-96 dell'Accademia Corale "Stefano Tempia".
Diplomata in canto lirico al
Conservatorio di Cuneo, Laura Rivolta ha cantato come
solista nella Petite Messe Solemnelle di Rossini e nel Credo
di A. Scarlatti con l'orchestra del Conservatorio e ha partecipato
a concerti di musica moderna e contemporanea interpretando in
prima esecuzione il Romancero Gitano di Castelnuovo Tedesco,
e al recital di musiche di Sergio Liberovici in occasione del
concerto di Settembre Musica dedicato al ricordo del compositore
scomparso. Dal 1992 partecipa come solista alla stagione concertistica
del comune di Rivoli. Fa parte del sestetto vocale e strumentale
di musica antica "La Jeronima", con cui si esibisce
in numerosi concerti in regione e con il quale, nel 1997, ha
registrato un cd. Ha inoltre collaborato con il Teatro Regio
di Parma e quello di Torino.
Francesca Rotondo diplomata in canto presso il Conservatorio
di Napoli ha proseguito gli studi a Milano con Adelaide Saraceni
e Rodolfo Colletti. Nel corso della propria attività teatrale
ha cantato in importanti teatri (Comunale di Firenze, Comunale
di Bologna, Regio di Parma, Comunale di Piacenza) interpretando
importanti ruoli quali Proserpina nell'omonima opera di Paisiello
(Festival di Bagni di Lucca), Adele (Il pipistrello di Johann
Strauss), Musetta nella pucciniana Bohème, Anna Glavari
(La vedova allegra di Franz Lehàr), Donna Anna nel Don
Giovanni di Mozart e Carolina ne Il matrimonio segreto di Domenico
Cimarosa (Festival della Valle d'Itria). In campo concertistico
ha collaborato con orchestre e complessi cameristici e ha registrato
per la Radio Svizzera Italiana musiche di Bach e Haydn. Recente
è la pubblicazione del suo primo cd dedicato ad arie,
romanze e canzoni di Saverio Mercadante in prima registrazione
mondiale, nel bicentenario della nascita.
Massimo Peiretti ha compiuto gli studi di composizione,
pianoforte, musica corale e direzione di coro, direzione d'orchestra
presso il Conservatorio di Torino, dove tra il 1974 e il 1982
ha diretto il coro e l'orchestra. Ha collaborato tra l'altro
con il coro ARS alla Corte Malatestiana di Fano, con il Teatro
"La Fenice" di Venezia, con il teatro Comunale di Firenze,
ed è stato sino al 1993 direttore del Coro del Teatro
Regio di Torino. Dalla stagione 1995/96 è stato nominato
vice direttore artistico dell'Accademia Corale "Stefano
Tempia" di Torino. Dal 1996 collabora come "altro maestro
del coro" con il Teatro "Carlo Felice" di Genova
ed è inoltre docente presso il Conservatorio di Cuneo.
Alberto Peyretti si è diplomato al Conservatorio
di Torino in pianoforte, composizione, musica corale e direzione
d'orchestra sotto la guida di Sandro Fuga e Mario Rossi, seguendo
contemporaneamente gli studi giuridici. Vincitore di numerosi
concorsi di composizione (medaglia d'oro al "Viotti",
primo premio al "Puccini" di Milano), ha all'attivo
pubblicazioni presso varie case editrici. Docente di lettura
della partitura nello stesso Conservatorio torinese, è
stato maestro del coro alla RAI di Torino dal 1971 al 1973 e
direttore stabile dell'orchestra dell'Ente Lirico "Pier
Luigi da Palestrina" di Cagliari dal 1975 al 1978. Attualmente
ricopre incarichi di direzione artistica con la Camerata Strumentale
"Alfredo Casella", l'Accademia Corale "Stefano
Tempia" e, dal 1984, con il Teatro Lirico di Tradizione
"Maria Luisa de Carolis" di Sassari ed è stato
inoltre ospite di numerosi festival europei d'avanguardia. Intensamente
impegnato come direttore d'orchestra sia in Italia che all'estero,
ha effettuato tournée in Germania e Olanda. In campo lirico
ha diretto Carmen ad Amsterdam, Aida ad Ankara, in Giappone ha
guidato la Tokyo Philharmonic Orchestra e la New City Orchestra
nel corso di esecuzioni riprese dalla radiotelevisione nipponica.
Uno dei suoi lavori di compositore, Les souvenirs oubliés,
è stato inciso dal Melos Art Ensemble, dal soprano Cecilia
Gasdia e dall'attore Nando Gazzolo in qualità di voce
recitante, sotto la direzione dell'autore.
IL PROGRAMMA
Giacomo Carissimi
(1605-1674)
Jephte, oratorio a sei voci, strumenti e basso continuo
15 dicembre 1629: fu questo il D-day della carriera musicale
di Giacomo Carissimi, il musico che di lì a pochi anni,
alla metà del secolo, sarebbe diventato il compositore
più famoso di oratori in latino, il docente più
influente in tutto il Nord Europa. A ripensarci, in effetti,
sorprende non poco l'intuito felice (azzardo o fortuna?) con
cui quel giorno i gesuiti del blasonatissimo Collegio Germanico
Ungarico di Roma - centro di musica liturgica secondo a nessuno
in Roma e modello di pratica cerimoniale celebre in tutta Europa
- presero la decisione di affidare il posto di maestro della
cappella alla Basilica di Sant'Apollinare e di insegnante dei
propri seminaristi a un giovane musico ventiquattrenne di Marino,
all'epoca assolutamente sconosciuto, non accreditato neppure
da credenziali straordinarie.
Terzogenito d'un umile bottaio, Giacomo Carissimi musicalmente
si era formato lavorando dapprima nella cappella della Cattedrale
di Tivoli, dal 1623 al 1625 come corista, quindi come organista
per altri due anni circa. Suoi maestri a Tivoli erano stati Alessandro
Capece e Francesco Mannelli. Nel 1628, recatosi ad Assisi al
seguito del vicario apostolico Getulio Nardini, era stato assunto
come maestro di cappella della Cattedrale di S. Rufino. Nulla
di eclatante davvero come stato di servizio. Al momento dell'assunzione
a Roma non ci risulta neppure avesse pubblicato alcunché
della propria musica.
Carissimi ebbe subito chiara la misura della fiducia e dell'onore
di cui veniva investito. Il Collegio Germanico vantava tradizioni
musicali illustri, anche se non antiche. Fondato dai Gesuiti
nel 1552, aveva accolto la musica tra le proprie attività
solo dopo la riforma di Gregorio XIII nel 1573. Prima di Carissimi
vi avevano lavorato, tra gli altri, musici del calibro di Tomás
Luis de Victoria, Agostino Agazzari, Antonio Cifra. Gli alunni
del Collegio provenivano dalle migliori famiglie polacche, tedesche,
inglesi, scozzesi, spagnole e anche italiane; la Basilica era
frequentata abitualmente da cardinali, prelati, principi, ambasciatori.
Egli dimostrò la propria gratitudine verso chi l'aveva
tanto generosamente prescelto. Per 44 anni, dal gennaio 1630
fino alla morte, prestò ininterrotto servizio come insegnante,
direttore di coro, compositore di musiche per le cerimonie e
le festività del Collegio, delle chiese di Sant'Apollinare
e San Saba, rifiutando altre allettanti offerte di lavoro. Nel
1643 rinunziò a succedere a Monteverdi a Venezia; non
esitò a dir di no anche all'imperatore (Ferdinando III
o Leopoldo I). Al di fuori del Collegio gesuitico, Carissimi
accettò solamente lavori occasionali componendo, su commissione,
per case patrizie italiane e straniere, per le corti di Francia
e Belgio, forse di Austria e Germania. Non rifiutò, invece,
il titolo più che altro onorifico di "Maestro di
Cappella del concerto di Camera" offertogli nel 1656 dalla
regina Cristina di Svezia, arrivata a Roma da pochi mesi.
La reputazione internazionale cui si accennava poc'anzi Carissimi
ebbe modo di guadagnarsela dirigendo a più riprese le
esecuzioni musicali di quaresima all'Oratorio dell'Arciconfraternita
del SS. Crocifisso negli anni tra il 1650 e il 1660. Celebri,
al riguardo, alcune pagine entusiaste dal diario del viaggiatore
francese André Maugars:
i Musici più eccellenti gareggiano per farvi parte, e
i Compositori di maggior valore brigano l'onore di farvi ascoltare
le proprie composizioni, e si sforzano di farvi apparire ciò
che hanno di meglio nel loro studio. Questa ammirevole e affascinante
musica non si fa che i Venerdì di Quaresima, dalle tre
fino alle sei [...] le voci cominciano con un Salmo, in forma
di Mottetto, e poi tutti gli strumenti eseguono una bellissima
Sinfonia, le voci poi cantano una Historia del Vecchio Testamento,
nella forma di una commedia spirituale.
Per siffatte adunanze a metà via fra il mondano e lo spirituale
Carissimi compose tutti i propri oratori latini.
Mette conto, a questo punto, precisare che nella prima metà
del XVII secolo quando le fonti documentarie usano il termine
oratorio riferito alla musica ("si va a sentir l'Oratorio")
intendono genericamente tutto quanto veniva eseguito durante
gli esercizi spirituali, ma non una particolare "specie"
musicale. Il primo caso documentabile di uso della parola in
riferimento a una specifica composizione musicale si trova in
una lettera scritta nel 1640 dal poeta e musico dilettante romano
Pietro Della Valle (1586-1652) al teorico fiorentino Giovanni
Battista Doni. L'incertezza terminologica, tuttavia, perdurò
ancora a lungo.
Le esecuzioni che Carissimi diresse al SS. Crocifisso rimasero
memorabili per l'opulenza dell'organico vocale-strumentale (per
queste occasioni egli aveva piena libertà di assoldare
tutte le voci e gli strumenti di rinforzo che riteneva necessari)
sia soprattutto per la bellezza e l'espressività della
musica. Le partiture di Carissimi, "succo et vivacitate
spiritus plenae", suscitavano entusiasmo per la loro ineguagliabile
capacità di esprimere gli affetti riposti nel testo, di
trasportare, specie nei recitativi, "gli animi degli ascoltatori
verso qualunque sentimento egli voglia".
A questo "excellentissimus et celebris famae symphonieta",
fatto davvero singolare, non riuscì tuttavia di dare alle
stampe per intero nessuna di queste partiture tanto ammirate.
Unicamente alcune composizioni isolate vennero edite per interessamento
di ammiratori e allievi italiani, inglesi, francesi e tedeschi
in numerose miscellanee. È il caso, ad esempio, di Jephte,
il cui coro finale venne pubblicato per intero da padre Athanasius
Kircher, grande estimatore di Carissimi, nella Musurgia universalis
(Roma 1650). Di conseguenza non ci è possibile stabilire
la cronologia esatta degli oratori di Carissimi. Circa Jephte,
si può congetturare sia stato composto a ridosso del trattato
di Kircher, intorno cioè al 1649, o poco prima.
Durante tutto il '600 la vicenda di Iefte fu uno dei soggetti
favoriti dei musici che coltivarono il genere dell'oratorio.
Se ne contano cinque versioni in latino e ancora di più
in volgare. Secondo la prassi a quel tempo usuale, Carissimi
ricava il testo per il proprio Jephte tagliando e interpolando
liberamente la Vulgata. Della vicenda di Iefte narrata in tre
capitoli del libro dei Giudici (10, 6 - 12, 7) viene preso soltanto
un episodio (11, 4.28-28), integrato da un mezzo versetto dal
libro di Giuditta (16, 13a) e da 15 aggiunte di fonte ignota,
che non è da escludere siano state scritte dal compositore
stesso. Tali aggiunte intervengono per conferire maggior evidentia
drammatica alla battaglia contro gli Ammoniti, liquidata piuttosto
sbrigativamente nella Bibbia (cfr. Gdc 11, 32-33), per prolungare
il momento dell'esultanza della figlia di Iefte e delle compagne,
per arricchire il dialogo tra il capo dei Galaaditi e la figlia,
infine soprattutto per dar voce allo straziante lamento della
ragazza, su cui l'Antico Testamento non si sofferma affatto (cfr.
Gdc 11, 38b).
Come tutti gli oratori latini di Carissimi, la struttura di Jephte
appare progettata a campata unica, senza cioè prevedere
una cesura mediana per il sermone. Tuttavia, in base all'azione
drammatica Howard Smither (1977) suggerisce di dividerla in due
ampie sezioni, la prima articolata in tre sottosezioni pervase
di ottimismo, la seconda in due di lamentazione.
Più di recente Graham Dixon (1986) ha preferito considerare
il testo articolato in tre tableaux ben delineati (la battaglia
- le celebrazioni per la vittoria - i lamenti). Questa è
l'ipotesi interpretativa che il maestro Peyretti ha fatto propria
per l'esecuzione odierna.
Ad ogni modo, dal punto di vista narratologico colpisce la scelta
fatta da Carissimi di incominciare in medias res, tagliando via
di netto tutti i fatti antecedenti, anche quelli utili alla comprensione
della vicenda (chi era Iefte, Gdc 11, 1-3; la sua elezione a
capo di Galaad, 11, 6-11; le varie ambasciate da lui inviate,
11, 12-28). Ancor di più colpisce la scelta di lasciare
la vicenda in sospeso senza scioglimento, rinunziando anche ai
due succinti versetti con cui la Bibbia suggella l'episodio (cfr.
Gdc 11, 39-40).
L'apparente stranezza di queste decisioni va compresa nel contesto
delle adunanze quaresimali descritteci dal Maugars. L'historia
veterotestamentaria non costituiva che una parte di quegli "oratori".
Preceduta da non poca altra musica, essa era seguita dal sermone
di "uno dei più eccellenti predicatori" e poi
ancora dal canto drammatizzato del Vangelo del giorno. La storia
di Iefte e della figlia, in particolare, si poteva prestare come
incisivo exemplum per un sermone sull'obbedienza oppure, meglio
ancora, come limpida figura del sacrificio di Cristo per il proprio
popolo. Artista dal senso sopraffino per l'essenziale, Carissimi
decurta l'episodio di Iefte di ogni particolare superfluo alla
sua corretta significazione spirituale. Chierico di fede sincera,
sa bene che l'autentico "scioglimento" della vicenda
non si ha altrove che nella Dominica resurrectionis.
Diversi sono i motivi per i quali fin da subito, dal Kircher
in poi, Jephte è stato giudicato un capolavoro. Innanzitutto,
assolutamente originale è l'idea di non affidare la narrazione
esclusivamente a una voce. È una soluzione utilizzata
da Carissimi anche in altri oratori, qui però con una
varietà notevole. Cinque volte il ruolo dell'Historicus
è affidato a un solista, non però sempre alla stessa
voce (nn. 1, 5, 7, 9, 14), una volta a un duetto (n. 4) e una
a un terzetto (n. 8). In tre occasioni della narrazione si fa
carico il coro, ora a 4 voci (n. 22), ora a 6 (nn. 3, 6). Oltre
che per il timbro vocale, sempre allo scopo di acuire al massimo
l'impatto drammatico del testo, la narrazione varia anche per
genere di stile. Solo 4 sui 10 interventi dell'Historicus sono
musicati nell'ordinario recitativo secco. Gli altri sono ariosi,
duetti e terzetti: cori appunto. La misura dell'efficacia di
questa doppia alternanza è la vivacità drammatica
che essa arriva a conferire all'episodio della battaglia (nn.
3-8).
Un secondo motivo della grandezza di Jephte sono senza dubbio
i recitativi. Già gli storici del XVIII secolo riconobbero
a Carissimi il merito di aver portato a perfezione lo stile del
recitativo. Straordinaria, in effetti, appare la flessibilità
espressiva che egli, ammirato come "oratore musicale"
senza pari, sa conferire ai propri recitativi.
Tra le virtù dell'elocutio egli punta tutto, in primo
luogo, sulla perspicuitas, deducendo dalle parole dei ritmi,
secondo i suggerimenti dell'accentuazione quantitativa latina.
Il finissimo senso della misura che gli è connaturale
lo porta a rinunziare a qualsiasi fronzolo inessenziale. Le figure
dell'ornatus vengono dosate con austerità estrema. Carissimi
è molto attento, in particolare, a sfruttare le ripetizioni
per creare pathos. Le figure retoriche che più sovente
ricorrono sono il climax (la ripetizione di uno spunto melodico
all'intervallo di seconda, ad esempio sulla lacerante exclamatio
con cui si sfoga Iefte al n. 15) e l'epizeuxis (la ripetizione
all'intervallo di quinta o quarta, ad esempio sull'angosciata
invocazione "pater mi" al n. 18, oppure sull'amarissimo
"plangam" al n. 20). Non ci sono vocalizzi: l'unica
coloratura (i dattili gioiosi su "praecinebat", n.
9) è anch'essa figura retorica (ipotiposi).
Un altro strumento di cui Carissimi sa avvalersi con grande maestria
per accrescere l'intensità emotiva della propria musica
è l'armonia. Infallibile appare la sua capacità
di intuirne e sfruttarne il potenziale espressivo. L'esempio
più eclatante è la mutatio toni (la modulazione
dal tono maggiore di sol a quello minore di la) che intercorre
tra i nn. 13 e 14: un geniale coup de théâtre fatto
davvero di niente, eppure efficacissimo nel dare il senso del
subitaneo trapasso dalla felicità al dramma. Non meno
d'effetto è il ricorso alla figura della pathopoeia, il
cromatismo (al n. 18 sulle laceranti e generose parole con cui
la figlia accetta di autoimmolarsi, "ego filia tua unigenita
").
Sapiente e incisivo risulta anche il dosaggio delle dissonanze,
solitamente di settima (a esprimere un brivido di timore da parte
del narratore di fronte all'imperscrutabile volontà del
Signore, n.14 su "domino", lo stupre attonito della
figlia, n. 16 su "pater" e "decepta", l'angoscia
di Iefte, nn. 19, 21).
A contrastare l'asciuttezza melodica dei recitativi intervengono
numerose e ben assortite sezioni in stile arioso. In un periodo
in cui lo schema formale dell'aria barocca era ancora in fase
di gestazione, Carissimi dimostra un estro apprezzabile nella
sperimentazione di nuove aggregazioni strofiche, tramite un uso
accorto di parallelismi e ripetizioni. Il n. 5, ad esempio, si
può ritenere in sostanza un'aria bipartita (AB), la cui
stroficità è interiormente rinforzata da più
d'una epizeuxis e da un tricolon ("et pugnat contra vos").
Anche il primo intervento della figlia (n. 10) è considerabile
un antecedente dell'aria col da capo, nonostante la terza sezione
(10c) non ripeta fedelmente né la musica né il
testo della prima (10a). La riproposizione della sezione mediana
(10b) in leggiadro ritmo ternario come duetto (n. 11) e la ripetizione
un po' amplificata della terza (n. 12) sono espedienti che dimostrano
la volontà di Carissimi di plasmare aggregazioni strutturali
di più ampio respiro. È questa l'intenzione creatrice
sottesa tanto alla ripetizione del lancinante grido di dolore
di Iefte (nn. 15, 17b), quanto soprattutto al disperato lamento
della figlia (nn. 23-29).
Quest'ultimo episodio conobbe un'ampia diffusione anche come
pezzo autonomo, estrapolato dal resto dell'oratorio, sulla scia
del successo del nuovo genere inaugurato da Monteverdi. Si tratta,
in effetti, di un episodio magistralmente costruito, nel quale
la temperatura emotiva raggiunge livelli elevatissimi, in un
impressionante crescendo di pathos, punteggiato da drammatici
climax ("ingemiscite", n. 25) ed epizeuxis ("in
sonitu horribili", n. 27; "et Jephte filiam ...",
n. 29), da cromatismi (pathopoeia su "moriar", n. 25)
e da aspre trafitture dissonanti. Tre fuggevoli interventi dell'Echo
si intercalano, secondo il principio dell'attenuazione classica,
ai quattro sfoghi della ragazza, a un tempo proiettandone il
dolore su coordinate spazio-temporali eterne e infinite ed evocando
il senso dell'immensa spazialità delle montagne.
Come in tutti gli oratori di Carissimi, anche in Jephte il coro
riveste un ruolo di particolare importanza. Esso è parte
integrante della struttura e contribuisce in maniera significativa
al progresso dell'azione. A rigore le fonti definiscono chorus
solo i nn. 3 e 30, definizione che tuttavia sembra di poter estendere
senza problemi anche ai nn. 6 e 13. Il n. 22 appare interpretabile
altrettanto bene come assieme di quattro soli. Per contro, per
stile e funzione i nn. 4, 8 e le parti dell'eco si prestano anche
a un'esecuzione corale.
I nn. 3, 6 e 13 sono tre limpidi esempi di quello che al tempo
veniva definito "concertato alla romana", basato sulla
sezionalizzazione del fraseggio alternando tutti omoritmici o
polifonici a passaggi concertanti con poche voci, aggregate in
modalità perennemente cangiante. Il n. 6, in particolare,
animato da concitati dattili riesce efficace nel dar l'idea della
fuga disordinata degli Ammoniti. Il n. 13 è un brano di
ampio respiro, suggello gioioso e trionfale delle celebrazioni
per la vittoria.
Il coro conclusivo è senza dubbio il brano più
ammirato dell'intero Jephte. Haendel ne rimase tanto impressionato
da prenderne a prestito parecchi elementi per il coro del proprio
oratorio Samson. Si tratta in realtà di musica di eccezionale
impatto espressivo, la conclusione senza dubbio più sublime
dell'episodio del lamento. È anch'esso un brano a sezioni.
L'esordio omoritmico, nella sua dolente compunzione, suona come
una solenne apertura verso orizzonti interminati. Tanto le dissonanze
di cui è irto l'accenno di fugato sulle parole "in
carmine doloris" quanto il lavorìo polifonico che
anima le sezioni successive appaiono tuttavia l'emblema di un'angoscia
per la quale, in termini solamente umani, non è possibile
né razionale spiegazione né durevole conforto.
Nota sull'esecuzione
Il lavoro di preparazione
del maestro Peyretti per l'esecuzione odierna si è svolto
in tre direzioni. Il primo passo è stata una ricognizione
filologica della partitura. Sono state collazionate tra loro
fonti diverse, con riferimento particolare alla numerica del
basso continuo: il coro finale edito dal Kircher, la vecchia
edizione dal catalogo Ricordi e quella critica recenziore curata
da Adelchi Amisano, nonché una copia d'un manoscritto
parigino proveniente da Nôtre Dame.
In un secondo momento, in fase di concertazione, è stato
necessario decidere l'organico strumentale. Per Jephte, infatti,
nessuna delle fonti a oggi disponibili prevede alcuna parte strumentale
obbligata. Ciò non significa assolutamente che Carissimi
volesse escludere gli strumenti: il loro impiego per consuetudine
era regolato ad libitum, a seconda cioè dell'organico
disponibile sul momento.
Ispirandosi alla prassi dell'epoca (Monteverdi in particolare)
e alle indicazioni fornite da Amisano, il maestro Peyretti agli
archi e al continuo (con un'arpa settecentesca al posto del liuto)
ha inteso aggiungere flauto, oboe, fagotto e tromba. Da ultimo,
è stato necessario ricostruire le parti strumentali omesse
dalle fonti. Agli strumenti di norma sono stati affidati raddoppi
delle parti vocali, a livello tanto armonico quanto melodico.
Unica eccezione, la parte degli archi nel n. 6 è stata
arricchita d'un frammento melodico desunto dal n. 5.
Per aiutare il pubblico a immedesimarsi più facilmente
nella vicenda, è stato deciso di far precedere ciascuna
delle tre sezioni di Jephte dalla recitazione d'una parafrasi
in italiano del testo latino.
Angelo Chiarle
I TESTI
Giacomo Carissimi
Jephte
Historicus [Altus]
Cum vocasset in proelium
filios Israel rex filiorum Ammon et verbis Jephte acquiescere
noluisset, factus est super Jephte Spiritus Domini, et progressus
ad filios Ammon votum vovit Domino dicens:
Jephte [Tenor]
Si tradiderit Dominus
filios Ammon in manus meas, quicumque primus de domo mea occurrerit
mihi, offeram illum Domino in holocaustum.
Historicus [Soli et Chorus]
[Chorus]
Transivit ergo Jephte
ad filios Ammon, ut in Spiritu forti et virtute Domini pugnaret
contra eos; et clangebant tubae, et personabant tympana, et proelium
commissum est adversus Ammon.
[Bassus]
Fugite, cedite, impii,
perite, gentes; occumbite in gladio, Dominus exercituum in proelium
surrexit et pugnat contra vos.
[Chorus]
Fugite, cedite impii,
corruite et in furore gladii dissipamini.
[Cantus]
Et percussit Jephte
viginti civitates Ammon piaga magna nimis.
[Chorus]
Et ululantes filii
Ammon facti sunt coram filiis Israel humiliati.
[Bassus]
Cum autem victor Jephte
in domum suam reverteretur, occurrens ei unigenita filia sua
cum tympanis et choris praecinebat:
Filia Jephte [Cantus]
Incipite in tympanis
et psallite in cymbalis,
hymnum cantemus Domino
et modulemur canticum.
Laudemus Regem coelitum,
laudemus belli Principem,
qui filiorum Israel
victorem ducem reddidit.
Sodales [Duo Cantus]
Hymnum cantemus Domino
et modulemur canticum,
qui dedit nobis gloriam
et Israel victoriam.
Filia Jephte
Cantate mecum Domino,
cantate omnes popoli,
laudate belli Principem,
qui nobis dedit gloriam
et Israel victoriam.
Sodales [Chorus]
Cantemus omnes Domino,
cantate omnes popoli,
laudemus belli Principem,
qui nobis dedit gloriam
et Israel victoriam.
Historicus [Altus]
Cum vidisset Jephte,
qui votum Domino voverat, filiam suam venientem in occursum,
prae dolore et lachrimis scidit vestimenta sua et ait:
Jephte
Heu mihi, filia mea!
Heu, decepisti me, filia unigenita; et tu pariter, heu, filia
mea, decepta es.
Filia Jepthe
Cur ego te, pater,
decepi, et cur ergo, filia tua unigenita, decepta sum?
Jephte
Aperui os meum ad Dominum ut quicumque primus de domo mea
occurrerit mihi, offeram illum Domino in holocaustum. Heu mihi,
filia mea! Heu, decepisti me, filia unigenita; et tu pariter,
heu, filia mea, decepta es.
Filia Jephte
Pater mi, si vovisti
votum Domino, reversus victor ab hostibus, ecce ego filia tua
unigenita: offer me in holocaustum victoriae tuae. Hoc solum,
pater mi, praesta filiae tuae unigenitae ante quam moriar...
Jephte
Quid poterit animam
tuam, quid poterit te, moritura filia, consolari?
Filia Jepthe
Dimitte me, ut duobus
mensibus circumeam montes, ut cum sodalibus meis plangam virginitatem
meam.
Jephte
Vade filia, vade filia
mea unigenita, et plange virginitatem tuam.
Historicus [Chorus]
Abiit ergo in montes
filia Jephte et plorabat cum sodalibus virginitatem suam, dicens:
Filia Jephte
Plorate colles, dolete
montes et in afflictione cordis mei ululate.
Echo [Duo Cantus]
Ululate.
Filia Jephte
Ecce, moriar virgo
et non potero morte mea meis filiis consolari. Ingemiscite silvae,
fontes et flumina, in interitu virginis lachrimate.
Echo
Lachrimate.
Filia Jephte
Heu me dolentem, in
laetitia populi, in victoria Israel et gloria patris mei; ego
sine filiis virgo, ego filia unigenita moriar et non vivam! Exhorrescite
rupes, obstupescite colles, valles et cavernae in sonitu horribili
resonate.
Echo
Resonate.
Filia Jephte
Plorate filii Israel,
plorate virginitatem mea, et Jephte filiam unigenitam in carmine
doloris lamentamini.
Chorus
Plorate filii Israel,
plorate omnes virgines et filiam Jephte unigenitam in carmine
doloris lamentamini.
LE TRADUZIONI
Narratore [Contralto]
Poiché il re
dei figli di Ammon aveva sfidato in battaglia i figli di Israele
e non aveva voluto prestar fede alle parole di Iefte, lo Spirito
del Signore si posò su Iefte e, dopo aver marciato contro
i figli di Ammon, fece un voto al Signore dicendo:
Iefte [Tenore]
Se il Signore avrà
consegnato nelle mie mani i figli di Ammon, chiunque mi verrà
incontro per primo uscendo dalla mia casa, offrirò lui
al Signore in olocausto.
Narratore [Soli e Coro]
[Coro]
Si mosse dunque Iefte
contro i figli di Ammon, per combattere con la forza dello Spirito
e la potenza del Signore contro di essi; e squillavano le trombe,
e risuonavano i timpani, e la battaglia fu ingaggiata contro
Ammon.
[Basso]
Fuggite, ritiratevi,
empi, perite, genti; soccombete con la spada in mano, il Signore
degli eserciti si è levato in battaglia e combatte contro
di voi.
[Coro]
Fuggite, ritiratevi,
empi, andate in rovina e nel furore delle armi siate dispersi.
[Soprano]
E Iefte colpì
venti città di Ammon con un colpo troppo forte.
[Coro]
E in mezzo agli ululati
i figli di Ammon furono umiliati davanti ai figli di Israele.
[Basso]
Mentre però
Iefte ritornava vincitore nella sua casa, correndogli incontro
la sua figlia unigenita cantava con timpani e danze:
Figlia di Iefte [Soprano]
Inneggiate con i timpani
e salmodiate sui cembali,
un inno cantiamo al Signore
e mettiamo in musica un cantico.
Lodiamo il Re celeste,
lodiamo il Principe della guerra,
che ha reso vincitore il condottiero
dei figli di Israele.
Compagne [Due Soprani]
Cantiamo un inno al
Signore
e mettiamo in musica un cantico per Lui,
che ha dato a noi la gloria
e a Israele la vittoria.
Figlia di Iefte
Cantate con me al Signore,
cantate popoli tutti,
lodate il Principe della guerra,
che ha dato a noi la gloria
e a Israele la vittoria.
Compagne [Coro]
Cantiamo tutte al Signore,
cantate popoli tutti,
lodiamo il Principe della guerra,
che ha dato a noi la gloria
e a Israele la vittoria.
Narratore [Contralto]
Quando Iefte, che aveva
fatto il voto al Signore, vide sua figlia che gli veniva incontro,
per il dolore e le lacrime si stracciò le vesti e disse:
Iefte
Ahimè, figlia
mia! Ahimè, m'hai tratto in inganno, figlia unigenita;
anche tu parimenti, ahimè, figlia mia, sei stata ingannata.
Figlia di Iefte
Perché io te,
padre, ho tratto in inganno, e perché io, figlia tua unigenita,
sono stata ingannata?
Iefte
Ho fatto la mia promessa solenne al Signore che chiunque
mi fosse venuto incontro per primo uscendo dalla mia casa, avrei
offerto lui al Signore in olocausto. Ahimè, mi hai tratto
in inganno, figlia unigenita; anche tu parimenti, ahimè,
figlia mia, sei stata ingannata.
Figlia di Iefte
Padre mio, se hai fatto
un voto al Signore, ritornato vincitore dei nemici, ecco sono
la tua figlia unigenita: offri me in olocausto per la tua vittoria.
Questo solamente, padre mio, concedi alla tua figlia unigenita
prima che io muoia...
Iefte
Che cosa potrà
consolare la tua anima, che cosa potrà consolare te, figlia
destinata alla morte?
Figlia di Iefte
Lasciami andare, affinché
per due mesi io me ne vada in giro per i monti, affinché
con le mie compagne pianga la mia verginità.
Iefte
Va' figlia, va' figlia
mia unigenita, e piangi la tua verginità.
Narratore [Coro]
Andò via allora
sui monti la figlia di Iefte e piangeva con le compagne la sua
verginità, dicendo:
Figlia di Iefte
Piangete colli, piangete
monti, e per l'afflizione del mio cuore ululate.
Eco [Due Soprani]
Ululate.
Figlia di Iefte
Ecco, morirò
vergine e non potrò per la mia morte esser consolata dai
miei figli. Gemete selve, fonti e fiumi, lacrimate per la morte
d'una vergine.
Eco
Lacrimate.
Figlia di Iefte
Ahimè, quale
sofferenza insieme alla letizia del popolo, alla vittoria di
Israele e alla gloria di mio padre; io vergine senza figli, io
figlia unigenita morirò e non vivrò! Inorridite
rupi, stupite colli, valli e caverne di orribile suono riecheggiate.
Eco
Riecheggiate.
Figlia di Iefte
Piangete, figli di
Israele, piangete la mia verginità, e per la figlia di
Iefte unigenita con un canto di dolore lamentatevi.
Coro
Piangete, figli di
Israele, piangete vergini tutte, e per la figlia di Iefte unigenita
con un canto di dolore lamentatevi.
Testi e traduzione a cura
di Angelo Chiarle
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