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Che fine ha fatto, in Italia, l'auto a metano? Tre anni fa, Ministero
dell'Ambiente, Fiat e Unione Petrolifera firmarono un accordo di programma
che prevedeva una serie d'interventi a sostegno dello sviluppo del metano
per autotrazione. Tra questi, "Progetto Metano", con l'obiettivo
d'incentivare la diffusione di questo combustibile pulito nelle nostre
città, grazie all'erogazione a privati cittadini e operatori
professionali di contribuiti per l'acquisto di veicoli a metano: 1500
euro per le auto (2500 nel caso di aziende, artigiani, commercianti
e tassisti) e da 1500 a 6500 euro, secondo la classe e la dimensione,
per i veicoli commerciali.
Contributi estesi anche alla realizzazione di nuovi impianti (da 100.000 a 150.000 euro). L'impegno finanziario prevedeva lo stanziamento complessivo di 244 milioni di euro per il quadriennio 2002-2005, ma la prima tranche del 2002 (15.500.000 euro) oggi non è ancora stata erogata completamente. All'accordo hanno aderito 68 città, capofila Torino, e oltre 800 comuni, a cui spettava il compito di promuovere a livello locale lo sviluppo del metano e accogliere le domande per accedere ai contributi. Nobile l'intento, immane - almeno nelle previsioni di spesa - lo sforzo economico, contrastanti i risultati. Se, infatti, le richieste per gli incentivi destinati alla realizzazione dei distributori sono state di gran lunga superiori alle attese, quelle relative all'acquisto di veicoli, in una prima fase, hanno stentato a decollare. Per intenderci, sono stati erogati fino a oggi incentivi per 1708 automezzi, in netta prevalenza Fiat (1273), a fronte di contributi per ben 34 impianti, cifra che ha indotto la Conferenza degli Assessori del Progetto Metano a ridefinire la suddivisione dei fondi destinati alle due voci. Oggi, secondo Federmetano, la rete distributiva è in grado
di soddisfare le esigenze di un parco vetture tre volte superiore a
quello esistente, quantificabile in circa 350 mila vetture con alimentazione
a metano (nella stragrande maggioranza dotate d'impianti aftermarket).
Sul perché in Italia il metano non sia riuscito a sfondare le
ipotesi sono diverse. Al momento della firma dell'accordo tra Ministero
dell'Ambiente, Fiat e Unione Petrolifera, nel dicembre 2001, il mercato
dell'auto a metano era al suo apice, con 12.885 unità vendute
(tutte Fiat "Multipla"): l'anno dopo, nonostante l'introduzione
a listino di un altro modello con questa alimentazione (la OpeI «Zafira»),
le vendite complessive si sono più che dimezzate (6106 unità).
Colpa, senz'altro, dell'exploit del diesel, dovuto anche alla politica
commerciale più aggressiva messa in atto dalle Case per spingere
i modelli a gasolio, al debutto del common rail e al conseguente guadagno
d'immagine di questo tipo d'alimentazione, percepita dal mercato come
l'unica alternativa (ai motori a benzina) pulita praticabile. Nel 2003
il mercato delle vetture a metano si è ulteriormente contratto,
mentre nei primi otto mesi di quest'anno la ripresa è stata netta.
In compenso, gli impianti di distribuzione continuano a crescere ininterrottamente:
nel 2000 erano 345, concentrati soprattutto al centro-nord, oggi sono
489 (+41,7%) e altri 42 sono in fase di costruzione. Tra le regioni a più alta concentrazione, l'Emilia Romagna (83),
il Veneto (71), la Toscana (55) e le Marche (53); quella con il maggiore
trend di crescita negli ultimi quattro anni, il Piemonte (passato da
8 a 23). E invece molto meno rosea la situazione della rete distributiva
sulle autostrade; sono soltanto 8 gli impianti esistenti e 4 quelli
in costruzione, cifre davvero ridicole. Per ora, quindi, l'auto a metano
è destinata a viaggiare soltanto su statali e provinciali. |
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