Carissimo Sig. Mund,
le chiedo scusa: non ho ancora risposto alla sua domanda sulla mia passione
per il viaggio. Sa, quando mi trovo di fronte ad un foglio bianco mi
lascio andare ed inizio a scavare dentro di me, mi rileggo, cerco di
capirmi meglio, e ben poche volte mi sembra che chi mi leggerà riuscirà
ad avere un quadro preciso di ciò che ho voluto dire e del mio carattere.
"Esci dalla tua terra e dalla tua parentela e dalla casa di tuo
padre. Va dove io ti indicherò" (Gn 12,1) Mi sembra di vederli:
gli ebrei abbandonano le loro sicurezze fallaci e attraversano il deserto,
per un viaggio che li condurrà a ritrovare la loro vera casa.
Innanzitutto la Bibbia va riportata sulla strada, là dove è nata, va
vissuta nel viaggio come conoscenza di diversi modi di vita, nel viaggio
anche e soprattutto dentro noi stessi, un "recede in te ipsum"
di gusto classico - ricorda Seneca? - per non farci possedere dalle
cose che ci stanno intorno ma per essere quello che abbiamo dentro,
per poter riscoprire ciò che è comune al cuore di tutti gli uomini;
uomini distanti tra loro, di paesi diversi. Viaggiare è uscire dalle
consuetudini per tornare dentro sé stessi.
E poi la poesia, la letteratura: vanno sperimentate sulle strade come
linguaggio universale ma carico di individualità, proprio quella che
lentamente stiamo perdendo, carico di ricerca di ispirazione, proprio
quella che Socrate diceva essere l'elemento che rende la vita degna
di essere vissuta.
Tra gli Apaches vi è l'usanza (o vi era, prima che il progresso e la
civilizzazione dell'uomo "migliore e moderno" li sterminasse)
di allontanarsi dal villaggio ed aspettare un segno prima di ogni decisione
importante: forse sarebbe un gesto da riscoprire, molto significativo.
Non dico che la realtà quotidiana sia vuota, anzi può essere riscoperta
ricca di valori; ma sono necessari altri elementi di paragone. Troppo
facile e comodo primeggiare senza un avversario! Dovremmo fare un po'
come il pittore che si allontana dalla tela che sta dipingendo per dare
un'occhiata complessiva ed oggettiva.
La Beat Generation aveva delle buone basi di partenza, ma il rifiuto
radicale per ogni realtà e lo spirito di fuga ne ha segnato la fine
sterile e disperata. Invece è proprio nel confronto che possiamo acquisire
consapevolezza: l'abitudine uccide il senso profondo delle cose; viaggiando
si riscoprono gli aspetti fondamentali della vita, i bisogni primi dell'uomo,
e ci si ritrova fortunati ad avere tante cose, prima fra tutte una casa:
in un luogo fisico, e per i più coraggiosi in noi stessi. Nella nostra
società malata di nulla ci vuole coraggio per affrontare la realtà,
e non far finta vigliaccamente di non vedere. Sig. Mund, cerchiamo di
non fare come i pesci, che si accorgono dell'acqua solo quando vengono
tirati fuori - e quando ormai non possono più tornarci dentro. E per
tutto quello che la vita ci offrirà di bello ed importante, dobbiamo
essere pronti dentro per capirne realmente il valore e apprezzarlo appieno.
Tutti cercano di avere, di riempirsi, e non riescono perché ogni cosa
in più fa sentire soltanto la mancanza di mille altre cose: l'eterna
insoddisfazione umana. Ha scritto Walt Whitman:
"Noi tutti - anche i migliori e più audaci uomini e donne - sistemiamo
la nostra vita tenendo conto di quello che la società convenzionalmente
ordina e considera giusto."
Così chi rinuncia a qualcosa e non fa come fanno tutti, non seguendo
il senso comune delle cose, è un pazzo. Mica per nulla abbiamo avuto
casi come quelli di Giordano Bruno e di Galileo Galilei: e la lotta
contro la vuota dottrina dei pedanti non è mai finita. E' il problema
di che cosa sia la normalità.
Siamo troppo sicuri di ciò che abbiamo, non ci rendiamo conto di quanto
sono caduche le cose che ci circondano, alle quali disperatamente ci
attacchiamo, e per poterle tenere nella giusta considerazione abbiamo
bisogno di provare a vivere senza. Caro Sig. Mund, legga e ci pensi
un po' su:
"Sono contento della mia sorte; dichiaro che i miei simili, i ciarlatani,
i saltimbanchi, i pagliacci, se così volete chiamarli, sono tra gli
uomini più felici e più liberi e anche più nobili. Noi almeno facciamo
la parade quando ci piace e davanti a chi ci pare. Vivendo con poco,
disdegnando di mendicare gli applausi e l'eccessivo guadagno; se le
pagliacciate non sono gradite in un paese, piaceranno nel villaggio
vicino; dato che egli baratta un pezzo di pane con la nostra gaiezza;
non è a lui che dobbiamo il nostro bene più caro: la vita errante!"
(Chabot de Gironville - saltimbanco)
Lou
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