LETTERA 3

Carissimo Sig. Mund,
le chiedo scusa: non ho ancora risposto alla sua domanda sulla mia passione per il viaggio. Sa, quando mi trovo di fronte ad un foglio bianco mi lascio andare ed inizio a scavare dentro di me, mi rileggo, cerco di capirmi meglio, e ben poche volte mi sembra che chi mi leggerà riuscirà ad avere un quadro preciso di ciò che ho voluto dire e del mio carattere.

"Esci dalla tua terra e dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre. Va dove io ti indicherò" (Gn 12,1) Mi sembra di vederli: gli ebrei abbandonano le loro sicurezze fallaci e attraversano il deserto, per un viaggio che li condurrà a ritrovare la loro vera casa.
Innanzitutto la Bibbia va riportata sulla strada, là dove è nata, va vissuta nel viaggio come conoscenza di diversi modi di vita, nel viaggio anche e soprattutto dentro noi stessi, un "recede in te ipsum" di gusto classico - ricorda Seneca? - per non farci possedere dalle cose che ci stanno intorno ma per essere quello che abbiamo dentro, per poter riscoprire ciò che è comune al cuore di tutti gli uomini; uomini distanti tra loro, di paesi diversi. Viaggiare è uscire dalle consuetudini per tornare dentro sé stessi.
E poi la poesia, la letteratura: vanno sperimentate sulle strade come linguaggio universale ma carico di individualità, proprio quella che lentamente stiamo perdendo, carico di ricerca di ispirazione, proprio quella che Socrate diceva essere l'elemento che rende la vita degna di essere vissuta.
Tra gli Apaches vi è l'usanza (o vi era, prima che il progresso e la civilizzazione dell'uomo "migliore e moderno" li sterminasse) di allontanarsi dal villaggio ed aspettare un segno prima di ogni decisione importante: forse sarebbe un gesto da riscoprire, molto significativo. Non dico che la realtà quotidiana sia vuota, anzi può essere riscoperta ricca di valori; ma sono necessari altri elementi di paragone. Troppo facile e comodo primeggiare senza un avversario! Dovremmo fare un po' come il pittore che si allontana dalla tela che sta dipingendo per dare un'occhiata complessiva ed oggettiva.
La Beat Generation aveva delle buone basi di partenza, ma il rifiuto radicale per ogni realtà e lo spirito di fuga ne ha segnato la fine sterile e disperata. Invece è proprio nel confronto che possiamo acquisire consapevolezza: l'abitudine uccide il senso profondo delle cose; viaggiando si riscoprono gli aspetti fondamentali della vita, i bisogni primi dell'uomo, e ci si ritrova fortunati ad avere tante cose, prima fra tutte una casa: in un luogo fisico, e per i più coraggiosi in noi stessi. Nella nostra società malata di nulla ci vuole coraggio per affrontare la realtà, e non far finta vigliaccamente di non vedere. Sig. Mund, cerchiamo di non fare come i pesci, che si accorgono dell'acqua solo quando vengono tirati fuori - e quando ormai non possono più tornarci dentro. E per tutto quello che la vita ci offrirà di bello ed importante, dobbiamo essere pronti dentro per capirne realmente il valore e apprezzarlo appieno.
Tutti cercano di avere, di riempirsi, e non riescono perché ogni cosa in più fa sentire soltanto la mancanza di mille altre cose: l'eterna insoddisfazione umana. Ha scritto Walt Whitman:
"Noi tutti - anche i migliori e più audaci uomini e donne - sistemiamo la nostra vita tenendo conto di quello che la società convenzionalmente ordina e considera giusto."

Così chi rinuncia a qualcosa e non fa come fanno tutti, non seguendo il senso comune delle cose, è un pazzo. Mica per nulla abbiamo avuto casi come quelli di Giordano Bruno e di Galileo Galilei: e la lotta contro la vuota dottrina dei pedanti non è mai finita. E' il problema di che cosa sia la normalità.
Siamo troppo sicuri di ciò che abbiamo, non ci rendiamo conto di quanto sono caduche le cose che ci circondano, alle quali disperatamente ci attacchiamo, e per poterle tenere nella giusta considerazione abbiamo bisogno di provare a vivere senza. Caro Sig. Mund, legga e ci pensi un po' su:

"Sono contento della mia sorte; dichiaro che i miei simili, i ciarlatani, i saltimbanchi, i pagliacci, se così volete chiamarli, sono tra gli uomini più felici e più liberi e anche più nobili. Noi almeno facciamo la parade quando ci piace e davanti a chi ci pare. Vivendo con poco, disdegnando di mendicare gli applausi e l'eccessivo guadagno; se le pagliacciate non sono gradite in un paese, piaceranno nel villaggio vicino; dato che egli baratta un pezzo di pane con la nostra gaiezza; non è a lui che dobbiamo il nostro bene più caro: la vita errante!" (Chabot de Gironville - saltimbanco)
Lou