Scintille
a cura di Giuseppe Scatà

"Le regole dell'attrazione" (B.E.Ellis 1987, ed. Einaudi):
"e insomma forse è una storia noiosa ma non ti tocca ascoltarla per forza, mi ha detto lei, perché aveva sempre saputo che sarebbe andata a finire così, comunque secondo lei era successo dopo il primo anno di college a Camdem…".
Quanti libri cominciano con la congiunzione "e"? Al suo secondo romanzo, "Le regole dell'attrazione", B.E.Ellis continua a stare alla larga dalla classica forma del "romanzo", e, perfettamente in linea con la tradizione americana, decisamente innovativa e avanguardistica, costruisce il suo secondo lavoro in modo ancora centrifugo ed esplosivo: centrifuga ed esplosiva è la trama (se di trama vera e propria si può parlare), centrifughi ed esplosivi i suoi personaggi. Sembra quasi, anzi non sembra, è evidente, che Ellis voglia più che raccontare, spaccare la narrazione dal suo interno così come fa un minatore col suo piccone dentro lo stomaco della montagna. Perché? E' il piacere sadico del dinamitardo? La mia personale opinione è che il testo di Ellis non è altro che la sua risposta forte alla "indolenza" viscerale e inguaribile dei suoi personaggi. E' un "Urlo" potentissimo contro la gioventù dei college americani, che al contrario delle due generazioni precedenti (quella che andò in Vietnam ed i suoi figli), assomiglia alla figura di un gigante, il grande gigante americano, stanco e addormentato, e magari pure ellisianamente "fatto".
Ed utilizzo il termine "Urlo" non a caso: la costruzione prismatica della narrazione assomiglia tanto ad un suo illustre predecessore e connazionale, certo Faulkner, autore del delirante "Urlo e Furore".


E adesso godetevi un breve dialogo, estratto, nemmeno a ripeterlo, da "Le regole dell'attrazione":

Conversazione che ho sentito di sfuggita l'altro giorno: - Lauren
Ragazzo: Credo che dovremmo smettere.
Ragazza: Smettere cosa? Questo?
Ragazzo: Forse
Ragazza: Smettere? Sì.
Ragazzo: Forse. Non lo so.
Ragazza: E' stato per via dell'Europa?
Ragazzo: No. Non lo so perché.
Ragazza: Dovresti smetterla di fumare.
Ragazzo: Perché non smetti tu… smetti…
Ragazza: Hai ragione. Non funziona.
Ragazzo: Non lo so. Tu sei davvero… tu sei carina.
Ragazza: Anche tu.
Ragazzo: L'umile erediterà la terra.
Ragazza: L'umile non la vuole.
Ragazzo: Mi piace la nuova canzone degli Eurythmics.
Ragazza: E' la droga, vero?
Ragazzo: Vuoi tornare nella mia stanza?
Ragazza: Che canzone degli Eurythmichs?
Ragazzo: E' stato per quella con cui sono stato letto?
Ragazza: No. Sì. No.
Ragazzo: L'umile non la vuole? Cosa?

quartopotere.jpg (16365 byte) L'incipit di "Quarto potere" (Orson Welles, USA 1941)
Curato da: Franco Romeo

Le prime inquadrature colgono in una notte fitta e filamentosa, come la tela di un ragno invisibile, una insegna sulla rete che recinta un imponente edificio con su scritto "NO TRESPASSING". Un carrello in avanti la oltrepassa e va verso il cuore o le viscere di un segreto.
O. Welles compie, già alla sua prima regia, e nella prima sequenza, una insolente, sublime trasgressione, e svela fin da subito il suo progetto di afferrare l'anima del cinema , scavalcando le sue recinsioni normative. Afferma acutamente Trauffout a proposito del film, che si tratta di "Una dichiarazione di guerra al cinema tradizionale, e una dichiarazione d'amore al mezzo espressivo". Con questo movimento di macchina il grande regista incomincia inoltre a formulare una fondamentale domanda: se si può approdare alla conoscenza profonda di un uomo e, forse, se è possibile, emettere un giudizio morale. Tutto il film, compresa l'ultima sequenza, speculare alla prima, sarà una rigorosa e stupefacente articolazione di questa domanda. Cechov diceva: "Il dovere dell'artista non è la risoluzione di un problema, ma la sua corretta impostazione". Welles pone il problema suesposto e forse anche la questione di cosa vuol dire "impostare correttamente" un problema nel cinema.
Un'altra preziosa funzione hanno le scene iniziali: ci introducono dentro l'ineliminabile stato d'animo del protaginista; Kane costruisce un impero, ma si sentirà sempre solo. Shakespeare fa dire al suo principe Amleto: "Oddio, io potrei essere confinato in un guscio di noce, e sentirmi re di uno spazio infinito; se non fosse che ho cattivi sogni". E quali sogni "più cattivi" di quelli di un uomo che si crede defraudato, come Kane, della propria infanzia?