a cura di Olga Gambari |
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ANTONIO LA GROTTA
Torino 1971 PERSONALI |
La
Grotta decostruisce il linguaggio della fotografia per usarlo come alfabeto
poetico e filosofico, partendo sempre da immagini prese dal contesto reale
in maniera documentativa, oggettiva. Gli interessa raccontare questioni
esistenziali, quelle relative sia alla sfera individuale sia collettiva,
concetti come archetipi dell’umanità. Il significato della
vita, il rapporto con il senso di colpa, lo spazio condiviso, la comunicazione
tra gli individui. Singole immagini che monta come teoremi visivi, a cui
dà forma anche con un forte senso pittorico e figurativo. Ritratti,
interni ed esterni, alternati a moduli astratti, estrapolati da muri di
cemento o lastre di marmo, allestiti in segmenti di due e tre foto, oppure
in triangoli con la punta rivolta verso l’alto o il basso. È
un modo per delineare un percorso di riflessione e conoscenza, che La
Grotta sviluppa nei suoi lavori. Ospizio rappresenta la ciclicità
infinita della vita, giovane/vecchio, morte/nascita, in un continuo avvicendarsi
dove non c’è né inizio né fine. La città
ideale è un luogo della mente, che parte dallo sguardo di un uomo
e si apre in frammenti simbolici. Babele è l’ultimo lavoro,
che si alza come un’utopia, dalla terra al cielo. L’uomo è
condannato alla diversità e quindi all’incomunicabilità,
alla solitudine, alla non condivisione, punito dal dio in un tempo ancestrale,
con la negazione di un unico nome e di un’unica lingua. |
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ANTONIO LA GROTTA
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