Cpr Torino, tra i migranti aumentano i casi di autolesionismo
Tra ottobre e novembre si registra, in media, più di un “atto anticonservativo” al giorno. Ma il Siulp provinciale parla di “simulazioni” per uscire dalle strutture. Interviene dal Comune la Garante dei diritti delle persone private della libertà
Il Centro per il rimpatrio (Cpr) di corso Brunelleschi a Torino, conta sei aree detentive, ognuna delle quali prevede cinque camere dotate di sette posti letto, due bagni e una doccia. In questa struttura, come nelle altre 9 presenti in Italia, sono trattenuti migranti irregolari in attesa di essere rimpatriati nel Paese di origine, in una condizione di reclusione che può durare fino a 180 giorni. In una zona separata di quel Cpr si trova un settore, definito “Ospedaletto”, che accoglie le persone in “isolamento sanitario”. È stato qui che, il 22 maggio scorso, Mamadou Moussa Balde, proveniente dalla Guinea, si era tolto la vita. Si trattava di quel giovane trasferito nel Cpr dopo che era stato vittima, a Ventimiglia, di una aggressione da parte di tre italiani. In questa circostanza, le condizioni degradate dell’assistenza sanitaria nell’area Ospedaletto vengono denunciate, si apre un’indagine della Procura e si incomincia a sperare che qualcosa, infine, possa cambiare.
Poi, ecco emergere un altro dato: il numero degli atti di autolesionismo e di tentato suicidio crescono vertiginosamente. Tra ottobre e novembre, si registra, in media, più di un “atto anticonservativo” al giorno. La notizia crea un notevole scalpore. Tanto che, un paio di settimane fa, Eugenio Bravo, segretario provinciale del sindacato di polizia Siulp, dichiara: «I tentativi di suicidio all’interno del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Torino, in atto dalla fine di settembre, sono un pretesto per uscire, per ottenere rapidamente il rilascio per motivi sanitari». E prosegue: «È un fatto dimostrabile con i numeri. Negli ultimi due mesi 115 persone avrebbero cercato di togliersi la vita strofinandosi il collo con lenzuola di carta o ingerendo sorsate di bagno schiuma». Quindi aggiunge che queste «persone sono state messe in libertà per questa simulazione di tentati suicidi».
È proprio quel termine “simulazione” a risultare del tutto improprio. E a rivelare una tonalità ideologica e un fine manipolativo. Certo, ogni suicidio e ogni tentato suicidio fanno storia a sé: infinite le possibili motivazioni, le pulsioni che determinano il gesto, le intenzioni conscie e le dinamiche inconsapevoli che portano a quella scelta estrema. D’altra parte, la decisione di togliersi la vita è sempre e comunque un’ “azione dimostrativa”, in quanto contiene, anche quando realizzata nella più totale solitudine, un messaggio indirizzato ad altri. Ma tutto questo non esclude che quegli atti – autolesionismo, tentato suicidio o lo stesso suicidio – siano autentici: ovvero, manifestazioni di un dolore non lenibile e di uno smarrimento senza scampo e senza via d’uscita.
Si capisce bene, di conseguenza, lo sconcerto di Monica Gallo, valorosa Garante dei diritti delle persone private della libertà presso l’amministrazione comunale di Torino, che così replica: «La presunzione con cui si parla di “tentativi di simulazione” e di “gesti dimostrativi” di fronte ad un numero ingente di persone che si sono ferite, ed in alcuni casi sono state ricoverate, lascia senza parole». «Rispetto al diritto fondamentale alla conservazione della propria vita, non esistono persone che meritino meno tutela: ma, al contrario, la massima attenzione». Aggiunge la Garante: «Il motivo che induce a compiere un gesto simile è personale e, tuttavia, vanno comprese le ragioni di tipo strutturale che stanno alla base». In sintesi, ecco le cause “di sistema”: «Le condizioni del Centro e degli ambienti sono degradate e offensive della dignità della persona e le carenze della gestione lasciano spazio a pratiche illegittime».
Infine, altre due considerazioni: i Cpr, sotto il profilo giuridico, non sono carceri e in essi, contrariamente a quanto vuole il senso comune, non sono trattenute in primo luogo i responsabili di gravi reati; vi si trovano, piuttosto, stranieri responsabili di quell’illecito amministrativo che consiste nella mancata disponibilità di documenti validi per l’ingresso e il soggiorno nel nostro Paese. Ancora: se il ripetersi di tanti casi di autolesionismo si deve a una “simulazione” che produce emulazione – così pensa il Siulp – , come spiegarsi che, una settimana fa, nel Cpr di Gradisca di Isonzo – a 527 km di distanza da Corso Brunelleschi – un giovane marocchino abbia deciso di togliersi la vita? E ci sia riuscito.