La mostra espone due opere prestigiose di Orazio Gentileschi e Antoon van Dyck, entrambe conservate presso la Galleria Corsini di Roma.
Il quadro di Gentileschi testimonia la novità della rivoluzione di Caravaggio e della pittura “dal naturale”, in cui il tema sacro è trasformato in un momento intimo e quotidiano. L’essenza dell’opera è infatti tutta nell’umanissimo scambio di sguardi tra la madre e il figlio, che allunga la mano per tirarle la veste. Se non fosse per l’aureola e i consueti colori rosso e blu dell’abito, la Vergine potrebbe essere una qualsiasi ragazza del popolo, abbigliata secondo la moda romana dell’epoca, così come il Bambino con il suo sgargiante vestito giallo.
Van Dyck, invece, sulla scia dei grandi maestri del Rinascimento italiano, reinterpreta il tema con una forte densità simbolica, inserendolo nel contesto della Natività. In ossequio ai dettami del Concilio di Trento, evita di mostrare un’immagine “sconveniente”, coprendo il seno di Maria con la testa del bimbo addormentato, ma lasciando la veste abbassata per alludere all’allattamento. Una serie di dettagli sottolinea poi la morte e resurrezione di Cristo: dal viso della Vergine, assorto e malinconico, alla nuvola scura che irrompe nella capanna, fino alle spighe che danno il nome al quadro e i cui steli formano una croce in primo piano.
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