Referendum
n. 1 |
|
REINTEGRAZIONE
DEI LAVORATORI ILLEGITTIMAMENTE LICENZIATI
testo
del quesito
Volete
voi l'abrogazione: dell'art. 18, comma primo, della legge
20 maggio 1970, n. 300, titolata "Norme sulla tutela
della libertà e dignità dei lavoratori, della
libertà sindacale e dell'attività sindacale
nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", come
modificato dall'art.1 della legge 11 maggio 1990, n. 108,
limitatamente alle sole parole "che in ciascuna sede,
stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale
ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze
piu' di quindici prestatori di lavoro o piu' di cinque se
trattasi di imprenditore agricolo" e all'intero periodo
successivo che recita: "Tali disposizioni si applicano
altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori,
che nell'ambito dello stesso comune occupano piu' di quindici
dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito
territoriale occupano piu' di cinque dipendenti, anche se
ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata,
non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro,
imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze
piu' di sessanta prestatori di lavoro"; dell'art. 18,
comma secondo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, titolata
"Norme sulla tutela della libertà e dignità
dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività
sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento",
come modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990,
n. 108, che recita: "Ai fini del computo del numero
dei prestatori di lavoro di cui al primo comma si tiene
conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione
e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato
parziale, per la quota di orario effettivamente svolto,
tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità
lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione
collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i
parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea
diretta e in linea collaterale"; dell'art. 18, comma
terzo, della legge 20 maggio 1970, n.300, titolata "Norme
sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori,
della libertà sindacale e dell'attività sindacale
nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", come
modificato dall'art.1 della legge 11 maggio 1990, n. 108,
che recita: "Il computo dei limiti occupazionali di
cui al secondo comma non incide su norme o istituti che
prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie"; dell'art.
2, comma 1, della legge 11 maggio 1990, n. 108, titolata
"Disciplina dei licenziamenti individuali", che
recita: "I datori di lavoro privati, imprenditori non
agricoli e non imprenditori, e gli enti pubblici di cui
all'art. 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che occupano
alle loro dipendenze fino a quindici lavoratori ed i datori
di lavoro imprenditori agricoli che occupano alle loro dipendenze
fino a cinque lavoratori computati con il criterio di cui
all'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato
dall'art. 1 della presente legge, sono soggetti all'applicazione
delle disposizioni di cui alla legge 15 luglio 1966, n.
604, così come modificata dalla presente legge. Sono
altresì soggetti all'applicazione di dette disposizioni
i datori di lavoro che occupano fino a sessanta dipendenti,
qualora non sia applicabile il disposto dell'art. 18 della
legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art.
1 della presente legge"; dell'art. 8 della legge 15
luglio 1966, n. 604, titolata "Norme sui licenziamenti
individuali", come sostituito dall'art. 2, comma 3,
della legge 11 maggio 1990, n. 108, che recita: "Quando
risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento
per giusta causa o giustificato
motivo, il datore di lavoro e' tenuto a riassumere il
prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in
mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità
di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di
6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto,
avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni
dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore
di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.
La misura massima della predetta indennità puo' essere
maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore
di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e
fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con
anzianità superiore ai venti anni; se dipendenti
da datore di lavoro che occupa piu' di quindici prestatori
di lavoro"; dell'art. 4, comma 1, della legge 11 maggio
1990, n. 108, titolata "Disciplina dei licenziamenti
individuali", limitatamente al periodo che così
recita: "La disciplina di cui all'art. 18 della legge
20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 1 della
presente legge, non trova applicazione nei confronti dei
datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini
di lucro attività di natura politica, sindacale,
culturale, ovvero di religione o di culto"?
|
|
cosa
dice l'articolo 18
l'articolo
18 dello Statuto dei Lavoratori impone al datore di lavoro
di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro qualora
sia stato licenziato senza giusta causa né giustificato
motivo; tuttavia limita la sua applicazione alle imprese
con più di 15 dipendenti. per le imprese fino a 15
dipendenti, il datore di lavoro è tenuto a riassumere
il dipendente o, in alternativa a risarcire il danno versandogli
un'indennità di importo compreso fra un minimo di
2,5 e un massimo di 6 mensilità: in sostanza, i promotori
del referendum vogliono abrogare questa seconda opportunità:
l'obbligo di reintegro verrebbe così esteso a tutte
le imprese senza tener conto del numero dei dipendenti.
|
cosa
cambia
in
caso di prevalenza dei SI
La
vittoria del referendum estenderebbe anche alle imprese
fino a 15 dipendenti l'applicazione della cosiddetta "tutela
reale", ovvero l'obbligo della reintegrazione in caso
di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo.
Inoltre, si eliminerebbe la deroga prevista per partiti,
sindacati, ordini religiosi e così via. Quindi, di
fronte all'ingiustizia, di un licenziamento senza giusta
causa o giustificato motivo (decretata da una sentenza emessa
da un giudice), si avrebbe il medesimo diritto al risarcimento
del "danno reale", ovvero il reintegro in servizio
(salvo la facoltà per il lavoratore di optare per
un'indennità di 15 mensilità).
in
caso di prevalenza dei NO
le cose rimarrebbero allo stato attuale.
quorum
La
proposta soggetta a referendum è approvata se ha
partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto,
e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente
espressi.
|
Per
giusta causa (art.2119 del
Codice Civile), si intende il verificarsi di una causa che
"non consente la prosecuzione - anche provvisoria -
del rapporto di lavoro". L'articolo stesso stabilisce
che non costituisce giusta causa il fallimento o la liquidazione
dell'azienda.
La "giusta causa", quindi, fa riferimento al ricorrere
di fatti che, valutati in modo oggettivo e soggettivo, possono
essere tali da configurare una grave ed irrimediabile negazione
degli elementi essenziali del rapporto di lavoro.
C.C.
Art. 2119 Recesso per giusta causa -
Ciascuno dei contraenti può recedere
dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto
è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto
è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una
causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria,
del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato,
al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete
l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo
precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione
del contratto il fallimento dell'imprenditore o la liquidazione
coatta amministrativa dell'azienda
|
Per
giustificato motivo (art. 3
della Legge 604/1966) si intende un notevole inadempimento
degli obblighi contrattuali del lavoratore (cosiddetto giustificato
motivo soggettivo) ovvero ragioni inerenti l'attività
produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento
della stessa, come per esempio la soppressione di un reparto
o di una lavorazione (cosiddetto giustificato motivo oggettivo).
Spetta comunque sempre all'Autorità Giudiziaria di
valutare la legittimità o la giustificazione del
licenziamento, dopo aver sentito le parti in causa.
L.
604/1966, Art. 3 - Il licenziamento per giustificato
motivo con preavviso è determinato da un notevole
inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore
di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività
produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa.
|
|
|