Sono presenti nell'aula consiliare del Centro Civico in Via Saccarelli 18,
oltre al Presidente ALUNNO Guido i Consiglieri: ANTONELLI Roberto, CAPUTO
Valentina, CAVALLARI Paolo, CLARICI Laura, CARTELLA Ferdinando, CERRATO Claudio,
CAVONE Nicola, COLLURA Anna Maria, D’ACUNTO Angelo, DEL BIANCO Marianna,
DOMINESE Stefano, FONTANA Marco, LAVECCHIA Felice, , FARANO Nicola, MAFFEI
Maurizio, MARRONE Maurizio, NOVO Valerio, PEPE Annunziata, PUGLISI Ettore,
RABELLINO Renzo, Davide TROIANO,
In totale n. 22 Consiglieri
C.4 PARERE (ARTT. 43 E 44 DEL REGOLAMENTO DEL DECENTRAMENTO) AVENTE AD
OGGETTO: PROPRIETÀ E GESTIONE PUBBLICA DEL SERVIZIO IDRICO.
OGGETTO: C.4 PARERE (ARTT. 43 E 44 DEL REGOLAMENTO DEL DECENTRAMENTO)
AVENTE AD OGGETTO: PROPRIETÀ E GESTIONE PUBBLICA DEL SERVIZIO IDRICO.
(proposta dei cittadini
titolari dei diritti di partecipazione ai sensi dell'articolo 14 dello Statuto
della Città e dell'articolo 10 del Testo Unico delle norme regolamentari
sulla partecipazione, il referendum, l'accesso, il procedimento, la
documentazione amministrativa e il difensore civico)
Il Presidente Guido
Alunno, di concerto con il Coordinatore della I^ Commissione Paolo Cavallari e
con il Coordinatore della VI^ Commissione Ferdinando Cartella, riferisce le
motivazioni alla base della proposta di deliberazione in oggetto.
L'acqua
costituisce un bene comune dell'umanità, un bene irrinunciabile che
appartiene a tutti. Il diritto all'acqua è un diritto inalienabile:
dunque l'acqua non può essere proprietà di nessuno, bensì
bene condiviso equamente da tutti.
La Città di Torino ha garantito
fin dal 1926 l'uguaglianza dei torinesi nell'accesso all'acqua potabile, grazie
alla proprietà e gestione pubblica dell'acquedotto comunale, tanto da
celebrare il suo completamento con una sobria pubblicazione [Municipio di
Torino,
L'Acquedotto Municipale, Cenni sugli impianti e sull'esercizio,
Arti Grafiche L. Giachino, Torino 1926] nella quale si legge che “... con
l'esercizio del proprio acquedotto il Comune ha raggiunto tutti gli scopi che si
proponeva, ha assicurato alla città una dotazione idrica buona e
sufficiente, ha favorito lo sviluppo industriale ed edilizio e quello dei
pubblici servizi anche in Comuni contermini, ha risolto annosi problemi
igienici, portando l’acqua in tutto il territorio, non escluse le regioni
più eccentriche e meno redditizie ed ha funzionato energicamente da
calmiere sul prezzo dell'acqua ...” infatti “... il Comune, alieno
da ogni intento speculativo, ha messo in seconda linea i criteri puramente
industriali quando contrastavano con quelli di utilità pubblica
...” per concludere che “... il Comune ha sempre ritenuto che
l'acqua non debba formare oggetto di speculazione, e quindi ha ragguagliato le
sue tariffe di vendita al prezzo di costo, tenendo giusto conto degli interessi
sul capitale investito ed accantonando inoltre rilevanti
ammortamenti”.
Oggi tuttavia imperversano pressioni, ai vari livelli
decisionali (internazionale, nazionale e locale), finalizzate ad affermare la
privatizzazione e l'affidamento al cosiddetto libero mercato della gestione
della risorsa idrica, pressioni trasversali alle diverse culture politiche ed
amministrative.
Le istituzioni economiche, finanziarie e politiche che
per decenni hanno incoraggiato il consumo ed il degrado delle risorse naturali e
l’impoverimento idrico di migliaia di comunità umane oggi dicono
che l’acqua è un bene prezioso e raro e che solo il suo valore
economico può regolarne e legittimarne la distribuzione.
Non si
ritiene di condividere la stessa impostazione. In particolare, gli effetti della
messa sul mercato dei servizi pubblici e dell'acqua, anche negli Ambiti
Territoriali in Italia dove ciò è già avvenuto, sono quelli
di un generale aumento tariffario a fronte di mancati nuovi investimenti e della
perdita decisionale della comunità rispetto al bene acqua, consegnato
alle scelte a porte chiuse dei consigli d'amministrazione delle società
di gestione. Si possono citare, tra i casi più eclatanti di
privatizzazione inefficiente e costosa per le bollette dei cittadini, quelli di
Latina, Arezzo e Aprilia, mentre in positivo Milano e due esempi piemontesi: la
stessa nostra Città di Torino e il Consorzio del Monferrato come gestioni
pubbliche efficienti ed oculate. Sono solo alcuni degli esempi che confermano
come solo una proprietà pubblica ed un governo pubblico e partecipato
dalle comunità locali possano garantire la tutela della risorsa, il
diritto e l’accesso all’acqua per tutti e la sua conservazione per
le generazioni future.
Ciò deriva anche dalla specificità, tra
i servizi, di quelli pubblici “a rete” dei quali l’acqua fa
parte: per i servizi di acquedotto e fognatura, ha poco senso invocare le
virtù della concorrenza, dato che si tratta di monopolio naturale ed il
cittadino non sceglie da quale acquedotto vuol essere servito. E quando vi
è un monopolio, è preferibile che esso sia pubblico e sottoposto
al controllo popolare piuttosto che in mano ad un soggetto privato che si
assicurerebbe un comodo serbatoio di profitto senza rischio imprenditoriale.
E’ quest’ultima considerazione che rende assai vantaggiosa la
liberalizzazione dei servizi pubblici locali per i soggetti privati che ne
caldeggiano la necessità.
Inoltre, i presunti capitali apportati dal
privato per gli investimenti - che sarebbero, questi sì, necessari per
risanare le reti idriche “colabrodo” - derivano alla fine quasi
sempre da prestiti bancari a tassi ben superiori a quelli che un ente pubblico
gestore ottiene dalla Cassa Depositi e Prestiti, tassi cui vanno aggiunte le
remunerazioni del capitale a vantaggio del soggetto privato stesso. Tutte voci
che necessariamente giungono a gravare sulla tariffa finale del servizio idrico.
Esiste anche, e potrà aggravarsi ulteriormente in futuro, un
problema enorme di democrazia e di concentrazione delle risorse, se si considera
che tramite la privatizzazione capillare a livello locale, pochissimi soggetti
multinazionali potrebbero giungere a controllare l'intero patrimonio di acqua
potabile del pianeta.
Per questo arrestare i processi di privatizzazione
dell'acqua assume, nel XXI secolo, sempre più le caratteristiche di un
problema di civiltà, che chiama in causa politici e cittadini, che chiede
a ciascuno di valutare i propri atti, assumendosene la responsabilità
rispetto alle generazioni viventi e future.
D’altra parte si sta ormai
largamente diffondendo la consapevolezza delle popolazioni riguardo alla
necessità di non mercificare il bene comune acqua e non esiste quasi
più territorio che non sia attraversato da vertenze per l’acqua.
Le lotte per il riconoscimento e la difesa dell'acqua come bene comune
hanno acquisito in questi anni una rilevanza e una diffusione senza precedenti.
Sono state il motore di cambiamenti sociali e politici epocali in un continente
come l’America Latina (basti pensare alla Bolivia che oggi, primo Paese al
mondo, ha un Ministro per l'Acqua o all’Uruguay che ha deciso, attraverso
referendum, di inserire l'acqua come diritto umano e bene comune nella
Costituzione). Anche in Europa, a partire dai nostri vicini d’oltralpe,
progredisce rapidamente il processo di ripubblicizzazione del servizio idrico,
avviato dal Comune di Grenoble nel marzo del 2000 e giunto ora alla capitale: il
Comune di Parigi sta riprendendo la gestione diretta del servizio idrico alla
scadenza ormai prossima della concessione alle società Veolia e Suez
[
Le
Monde Diplomatique, novembre 2008].
Anche nel
nostro Paese l’importanza della questione acqua ha raggiunto nel tempo una
forte consapevolezza sociale ed una capillare diffusione territoriale,
aggregando culture ed esperienze differenti e facendo divenire la battaglia per
l'acqua il paradigma di un altro modello di società.
E’ un
percorso che parte dal 2003, dichiarato dall’ONU Anno mondiale dell'acqua,
quando si tenne proprio a Firenze il Forum Mondiale Alternativo dell’Acqua
che, ispirandosi al concetto di acqua come bene comune necessario alla vita,
bocciò le politiche fondate sulla trasformazione dell’acqua in
merce, respinse l’introduzione del cosiddetto “partenariato
pubblico-privato”, chiedendo invece con forza la proprietà e la
gestione pubblica come garanzia di libero accesso per tutti.
Da allora sono
state decine e decine le vertenze e le iniziative per un nuovo governo pubblico
e partecipato dell'acqua: nel 2007, solo nella nostra Città sono state
raccolte più di 20 mila firme in calce alla proposta di legge nazionale
di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, attualmente
all’ordine del giorno delle competenti Commissioni parlamentari.
La
presente proposta di deliberazione di iniziativa popolare si colloca nel quadro
dei principi di quella proposta di testo legislativo e ne proietta i contenuti a
livello territoriale. Si propone infatti di inserire nello Statuto della
Città un articolo apposito a tutela della risorsa acqua, a garanzia della
sua proprietà e gestione pubblica, come premessa ad un potenziale modello
gestionale di diritto pubblico e basato sulla democrazia partecipativa.
Si
tratta quindi di una svolta radicale rispetto alle politiche, trasversalmente
condivise negli ultimi vent’anni, che hanno considerato l’acqua una
merce e fatto del mercato il punto di riferimento per la sua gestione. Ma
coerente con la storia della Città e con la scelta con cui Torino, nel
recente 2004, scelse di gestire il servizio idrico con un’azienda a totale
partecipazione pubblica.
Solo un’informazione lacunosa, incompleta o
di parte, peraltro analoga a quella che vi è stata per altri settori
privatizzati, è riuscita finora a nascondere il totale fallimento degli
obiettivi promessi da una martellante campagna di promozione comunicativa in
ordine ai benefici della privatizzazione e del cosiddetto partenariato
pubblico-privato: i cui vantaggi tanto sbandierati - maggiore qualità,
maggiore economicità, maggiori investimenti - alla prova dei fatti si
sono rivelati totalmente inconsistenti.
Piuttosto si sono creati effetti
quali: degrado e spreco della risorsa, precarizzazione del lavoro, peggioramento
della qualità del servizio e dei rapporti con l'utenza, aumento delle
tariffe, stasi o riduzione degli investimenti, diseconomicità di molte
gestioni, espropriazione dei saperi collettivi, mancanza di trasparenza e di
democrazia.
Solo un’informazione ideologizzata e fuorviante è
riuscita a far credere che la privatizzazione dell'acqua sia imposta dal
Trattato UE e dalle direttive europee. La verità è che l'Unione
Europea, come ribadito ancora recentemente dalla Commissione al Parlamento
Europeo, riconosce che “... le autorità pubbliche competenti
(Stato, Regioni, Comuni) sono libere di decidere se fornire in prima persona un
servizio di interesse generale o se affidare tale compito a un altro ente
(pubblico o privato)” [Comunicazione della Commissione al Parlamento
Europeo COM(2004) 374].
L'articolo 14 del Trattato UE, tanto invocato
a sostegno delle privatizzazioni, nulla dice in proposito [Gazzetta Ufficiale
dell’Unione Europea C 115, 9 maggio 2008, pag. 54]. Viene ripreso nel
Protocollo n. 26 [Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C 115, 9 maggio
2008, pag. 308] facente parte integrante del Trattato di Lisbona - che non
è entrato in vigore in seguito alla vittoria del No nel referendum
irlandese [nel Referendum, svoltosi in Irlanda il 12 giugno 2008 i No ottennero
il 53,4% dei voti] - ma solo per introdurre la distinzione tra servizi di
interesse economico generale (articolo 1) e servizi di interesse generale non
economico (articolo 2) senza peraltro entrare nel merito di quali servizi
appartengano al primo o al secondo gruppo. Finora è stata la Corte
Europea di Giustizia a stabilire di volta in volta la linea di demarcazione tra
attività economiche di servizio e servizi non economici. Essa ammette che
un servizio non abbia carattere economico quando corrisponde ad una missione di
un’istituzione pubblica ed è finanziato prevalentemente da fondi
pubblici. Il concetto è ripreso con chiarezza nella recente sentenza sul
caso “Brutélé”: “Si riconosce, infatti, che
un’autorità pubblica ha la possibilità di adempiere ai
compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti,
amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad
entità esterne non appartenenti ai propri servizi (sentenza Stadt Halle e
RPL Lochau, cit., punto 48)” [Sentenza Corte Europea di Giustizia:
C-324-08 del 13 novembre 2008, punto 48].
Da parte sua il CNEL, nel
documento “Tutela delle risorse idriche” approvato nell'Assemblea
plenaria del 5 giugno 2008, afferma nell'introduzione che: “L'acqua non
è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio
che va protetto, difeso e trattato come tale” e più specificamente
al capitolo 3.12. (Il gestore del servizio idrico), scrive testualmente:
“I soggetti gestori delle grandi adduzioni e trasferimento d’acqua
è opportuno che vengano configurati, per la natura stessa dei loro
compiti istituzionali, come Enti Pubblici ... omissis ... In questo quadro, per
il fatto di essere risorsa indispensabile alla vita, limitata in natura e per la
quale va garantita l’accessibilità in termini universali,
l’acqua va considerata come bene comune “fondamentale” e,
dunque, di proprietà e gestione pubblica, al pari della salute,
istruzione e sicurezza ... omissis ... In questo quadro è opportuno che,
fermo restando il carattere pubblico del servizio ed il regime demaniale delle
reti idriche, la decisione relativa alla tipologia di questo soggetto rimanga
nella piena titolarità degli EELL, costituiti nell'assemblea di ATO,
assumendo i criteri basilari della necessaria crescita dimensionale delle
aziende ed il loro radicamento nelle realtà territoriali e nelle
comunità locali.” [CNEL,
Osservazioni e Proposte su "Tutela
delle risorse idriche", approvato dall’Assemblea plenaria del 5 giugno
2008].
La decisione del Governo italiano, tradotta nell'articolo 23 bis
della Legge 133/2008, di imporre sostanzialmente agli Enti Locali di mettere sul
mercato i loro Servizi Pubblici - acqua compresa - ignora quindi le opzioni
offerte dalla normativa UE in materia di Servizi Pubblici Locali, la
giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e l'autorevole parere del CNEL
per quanto riguarda l’acqua in particolare. Inoltre, tale scelta invade e
annulla le specifiche competenze in materia attribuite dall'articolo 117 della
Costituzione alle Autonomie Locali, tanto che alcune Regioni, tra cui il
Piemonte, hanno già presentato ricorso per incostituzionalità
dell'articolo 23 bis in questione.
In presenza di questi tentativi di
privatizzare un bene essenziale come l’acqua, la Città di Torino
può dichiarare formalmente nella sua Carta fondamentale che tale bene,
essenziale per la vita e perciò di inestimabile valore per gli esseri
umani, la natura e l’ambiente, non è una merce e non è
soggetto alle regole del mercato.
Affermare questo principio nello Statuto
della Città (come hanno fatto altri enti come il Comune di Bassiano (LT)
e la Provincia di Gorizia) sarebbe un atto di coerenza con principi in vigore
nell'UE e largamente condivisi dalla cittadinanza, per i quali l’acqua
è un bene comune non mercificabile e si devono mantenere in mano pubblica
sia la proprietà delle reti, sia la gestione del servizio idrico
integrato.
Nell’intento di far sì che tale cultura diventi
politica concreta ed esperienza consolidata, alcuni cittadini hanno deciso di
ideare e di fornire all’Amministrazione Comunale lo strumento normativo
che affermi il quadro della svolta auspicata: la presente proposta di
deliberazione d'iniziativa popolare che si passa di seguito ad illustrare.
Si propongono due modifiche all'articolo 2 dello Statuto, denominato
“Finalità del Comune”: con la prima, si inserisce anche
l’acqua tra i diritti che il Comune contribuisce a rendere effettivi per i
propri cittadini, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali e del principio
di sussidiarietà. Il diritto all’acqua viene così a
rivestire pari dignità di quelli al lavoro, alla tutela della salute,
alla casa e all’istruzione.
Con la seconda, si introduce
esplicitamente tra le finalità del Comune quella di assicurare il diritto
di accesso all’acqua potabile sia attraverso la fornitura domestica dei
servizi di acquedotto per la totalità dei cittadini di Torino, sia anche
attraverso la salvaguardia e la valorizzazione delle tradizionali fontanelle o
toretti, che oltre a costituire un elemento piacevole ed apprezzato di arredo
urbano, offrono acqua, con la medesima generosità, ai cittadini lontani
dalla propria abitazione ed ai forestieri.
Nell’ambito del Titolo VI
“Servizi pubblici”, si propone poi l’inserimento di un nuovo
articolo, il 71 bis, denominato “Servizio idrico”.
Al comma
1, il servizio idrico integrato viene dichiarato servizio pubblico locale senza
scopo di lucro. Tale specificazione trova fondamento
nell’opportunità di sottrarre l’acqua in ogni caso,
conformemente alla normativa europea, ai meccanismi legislativi che riguardino
la messa sul mercato dei servizi pubblici, come l’articolo 23 bis della
Legge 133/2008. Sull’acqua non si specula: una gestione virtuosa del
servizio, da perseguire con intransigenza e scelte oculate, deve produrre
esclusivamente benefici economici per la comunità locale.
Al comma 2,
viene esplicitata la principale e logica conseguenza della scelta operata al
comma 1: si afferma la necessità di una gestione unitaria e pubblica del
servizio idrico integrato e si conferma la proprietà pubblica ed
inalienabile della rete di acquedotto.
Il terzo comma, infine, muove da un
concetto cardine della proposta di legge popolare nazionale: l’acqua
potabile, per la sua natura peculiare di bene essenziale alla vita, deve
differire dalle altre forniture “a rete” come gas, energia
elettrica, telefonia. E' un atto di civiltà riconoscere in concreto il
diritto all’acqua, nella Carta fondativa della Città, assicurando
gratuitamente un quantitativo minimo vitale per ogni cittadino - che l’OMS
ha quantificato in 50 litri per persona al giorno [“
The right to
water”, pubblicazione World Health Organization, Francia, Febbraio
2003] - i cui costi siano a carico di coloro che rientrano nelle fasce di
consumo più elevate e di chi ne fa usi diversi da quello potabile.
Proprio la consapevolezza della gratuità di un quantitativo che, per i
livelli attuali di consumo, è complessivamente modesto, si ritiene possa
indurre nei cittadini una maggiore vocazione al risparmio.
Con le presenti
modifiche, infine, il Consiglio impegna la Giunta ed il Sindaco a rendere
pienamente attuati i principi espressi, mediante la proposta di modifica dei
regolamenti incompatibili e soprattutto mediante la richiesta di scelte
politiche coerenti nell’assemblea dell’Ambito Territoriale Ottimale
ed in SMAT.
Alla luce di quanto sopra esposto, il Presidente del
Consiglio Comunale, con lettera in data 6 novembre 2009, n. prot. 15277, ha
trasmesso copia della proposta di provvedimento con il quale si intende
approvare la deliberazione avente ad oggetto: “Proprietà e gestione
pubblica del servizio idrico” per le motivazioni espresse in
narrativa.
Nell’ambito delle competenze riservate dal Regolamento del
Decentramento, ai sensi degli artt. 43 e 44, è pertanto richiesto alla
Circoscrizione IV di esprimere il parere di competenza, in merito alla proposta
di deliberazione in argomento.
La VI^ Commissione, competente per materia,
ha esaminato la proposta di deliberazione avente ad oggetto
“Proprietà e gestione pubblica del servizio idrico” nella
seduta del 20 ottobre 2009.
Il Consiglio Circoscrizionale nella seduta
del 10 novembre 2009, ha adottato un ordine del giorno nel quale:
“n)assicurare il diritto universale
all’acqua potabile attraverso la garanzia dell'accesso individuale e
collettivo dei cittadini alla risorsa.”;
- all’articolo 2 - Finalità del Comune, comma
1, lettera b), dopo le parole “alla tutela della salute,”aggiungere
le parole “all’acqua,”;
- all’articolo 2 -
Finalità del Comune, comma 1, aggiungere alla fine il seguente
punto:
“n) assicurare il diritto universale all’acqua potabile
attraverso la garanzia dell'accesso individuale e collettivo dei cittadini alla
risorsa.”;
- dopo l'articolo 71, aggiungere il seguente articolo 71
bis:
a) Per tutti i fini previsti dalla legislazione vigente, il servizio idrico
integrato è dichiarato servizio pubblico locale senza scopo di
lucro.
b) In osservanza della legge, la proprietà della rete di
acquedotto e distribuzione è pubblica e inalienabile; la gestione della
rete e l’erogazione del servizio idrico, tra loro indivisibili, sono
attuate esclusivamente mediante enti o aziende interamente pubblici.
c) Il Comune assicura ai propri cittadini la disponibilità domestica
gratuita di un quantitativo minimo vitale giornaliero per persona.”.