Come sappiamo la COP27 si è ormai conclusa, tragicamente aggiungo, dal
momento che per l’ennesima volta – anzi, la ventisettesima – si è deciso di non
adottare misure che riducano drasticamente le emissioni di gas climalteranti
nella nostra atmosfera. Per la ventisettesima volta si è deciso che la
sopravvivenza della nostra specie sulla Terra è un prezzo accettabile da
pagare per rincorrere la crescita economica. Per la ventisettesima volta si è
deciso che le priorità sono altre, che guarda caso coincidono con quelle della
piccolissima fascia di popolazione che in questo sistema non ci vede nulla di
sbagliato.
Nulla di sbagliato nella siccità che ci ha messo in ginocchio questa estate; o
nelle ondate di calore in Cina e India; o nell’uragano Ian negli Stati Uniti; o
nelle alluvioni che pochi mesi fa hanno colpito il Pakistan, provocando
dall’oggi al domani 33 milioni di sfollati.
Un denominatore comune tra questi devastanti effetti della crisi climatica
esiste ed è stato nascosto per decenni: sono i combustibili fossili. Il settore
energetico a livello globale è responsabile del 73% delle emissioni di CO2, la
cui quasi totalità deriva da fonti di energia fossile.
E come spesso accade, in risposta all’inazione dei vertici nazionali presso le
Conferenze delle Parti, è nata una campagna dal basso, che propone
l’adozione di un trattato internazionale di non proliferazione dei combustibili
fossili. A oggi hanno già aderito alla richiesta del trattato 71 città, da Calcutta a
Barcellona, da Buenos Aires a Londra, da Lima a Toronto e ancora Sidney,
Los Angeles, Parigi e tante altre, 3.000 scienziatə, 101 premi Nobel e 350.000
attivistə sparsi per il globo. Con questa mozione chiediamo che Torino sia la
prima città in Italia a promuovere questo trattato.
Il concetto è molto semplice. Il mondo ha già abbastanza potenziale di energia
rinnovabile per garantire l’accesso all’energia per tutte e tutti. Eppure la
dipendenza dai combustibili fossili continua mentre gli esperti lanciano
l’allarme su come il carbone, il petrolio e il gas siano un danno per la nostra
salute pubblica, la biodiversità, la pace nel mondo e il nostro clima.
Sebbene l’accordo di Parigi abbia fissato un obiettivo climatico globale
cruciale (ovvero di non superare i 2°C e restare preferibilmente entro l’1,5°C),
molti governi hanno continuato ad approvare nuovi progetti di carbone,
petrolio e gas, anche se bruciare le riserve mondiali di combustibili fossili
comporterà emissioni sette volte superiori a quelle compatibili con gli standard
climatici. Infatti le 100 principali società petrolifere da sole si mangiano l’80%
momento che per l’ennesima volta – anzi, la ventisettesima – si è deciso di non
adottare misure che riducano drasticamente le emissioni di gas climalteranti
nella nostra atmosfera. Per la ventisettesima volta si è deciso che la
sopravvivenza della nostra specie sulla Terra è un prezzo accettabile da
pagare per rincorrere la crescita economica. Per la ventisettesima volta si è
deciso che le priorità sono altre, che guarda caso coincidono con quelle della
piccolissima fascia di popolazione che in questo sistema non ci vede nulla di
sbagliato.
Nulla di sbagliato nella siccità che ci ha messo in ginocchio questa estate; o
nelle ondate di calore in Cina e India; o nell’uragano Ian negli Stati Uniti; o
nelle alluvioni che pochi mesi fa hanno colpito il Pakistan, provocando
dall’oggi al domani 33 milioni di sfollati.
Un denominatore comune tra questi devastanti effetti della crisi climatica
esiste ed è stato nascosto per decenni: sono i combustibili fossili. Il settore
energetico a livello globale è responsabile del 73% delle emissioni di CO2, la
cui quasi totalità deriva da fonti di energia fossile.
E come spesso accade, in risposta all’inazione dei vertici nazionali presso le
Conferenze delle Parti, è nata una campagna dal basso, che propone
l’adozione di un trattato internazionale di non proliferazione dei combustibili
fossili. A oggi hanno già aderito alla richiesta del trattato 71 città, da Calcutta a
Barcellona, da Buenos Aires a Londra, da Lima a Toronto e ancora Sidney,
Los Angeles, Parigi e tante altre, 3.000 scienziatə, 101 premi Nobel e 350.000
attivistə sparsi per il globo. Con questa mozione chiediamo che Torino sia la
prima città in Italia a promuovere questo trattato.
Il concetto è molto semplice. Il mondo ha già abbastanza potenziale di energia
rinnovabile per garantire l’accesso all’energia per tutte e tutti. Eppure la
dipendenza dai combustibili fossili continua mentre gli esperti lanciano
l’allarme su come il carbone, il petrolio e il gas siano un danno per la nostra
salute pubblica, la biodiversità, la pace nel mondo e il nostro clima.
Sebbene l’accordo di Parigi abbia fissato un obiettivo climatico globale
cruciale (ovvero di non superare i 2°C e restare preferibilmente entro l’1,5°C),
molti governi hanno continuato ad approvare nuovi progetti di carbone,
petrolio e gas, anche se bruciare le riserve mondiali di combustibili fossili
comporterà emissioni sette volte superiori a quelle compatibili con gli standard
climatici. Infatti le 100 principali società petrolifere da sole si mangiano l’80%
del carbon budget rimasto all’intera umanità prima di raggiungere i cosiddetti
punti di non ritorno.
Per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, abbiamo bisogno della
cooperazione internazionale per fermare esplicitamente l’espansione dei
combustibili fossili e gestire una transizione globale giusta lontano da
carbone, petrolio e gas.
E cooperazione internazionale non significa dire che è colpa della Cina e
dell’India per continuare disinteressati per la nostra strada. È troppo facile
nascondersi dietro a un dito. Prendere in considerazione i dati sulle emissioni
aggregate per nazione è una scelta miope e spesso fatta consapevolmente
per piegare la realtà; e lo è doppiamente se si prendono in considerazione le
emissioni derivanti dal prodotto piuttosto che dal consumo.
Alla luce di questi dati, adeguatamente tarati, si svela come paesi come Cina
e India hanno emissioni pro capite significativamente basse: un cinese emette
la metà di uno statunitense e servono 3 indiani per fare le emissioni di un
italiano, 17 indiani per fare le stesse emissioni di un abitante del Qatar.
Inoltre non si possono non menzionare le responsabilità storiche dei diversi
attori: infatti i principali emettitori(?) di CO2 nella storia sono gli USA per il
25%, l’Europa per il 22% e la Cina per il 12,5% (al 2017).
La pandemia, la guerra, le catastrofi ambientali ci fanno desiderare un ritorno
alla normalità, ma proprio quella normalità era il problema e questi eventi così
travolgenti non sono altro che i sintomi.
Crisi climatica, crisi economica, crisi sanitaria: la mia generazione è cresciuta
con questa parola ripetuta all’infinito, dai telegiornali, ai social, ai banchi di
scuola.
La parola crisi, come sapete, deriva dal greco crisis, significa scelta,
decisione.
Il tempo per lasciare che le cose seguano il proprio corso è finito: è il
momento di prendere atto della crisi che stiamo vivendo per fare delle scelte
decisive, anche a partire dalla nostra città.
Per riassumere chiediamo al governo:
1) fermare le nuove esplorazioni di riserve fossili
2) eliminare gradualmente le scorte e la produzione per restare entro 1,5
punti di non ritorno.
Per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, abbiamo bisogno della
cooperazione internazionale per fermare esplicitamente l’espansione dei
combustibili fossili e gestire una transizione globale giusta lontano da
carbone, petrolio e gas.
E cooperazione internazionale non significa dire che è colpa della Cina e
dell’India per continuare disinteressati per la nostra strada. È troppo facile
nascondersi dietro a un dito. Prendere in considerazione i dati sulle emissioni
aggregate per nazione è una scelta miope e spesso fatta consapevolmente
per piegare la realtà; e lo è doppiamente se si prendono in considerazione le
emissioni derivanti dal prodotto piuttosto che dal consumo.
Alla luce di questi dati, adeguatamente tarati, si svela come paesi come Cina
e India hanno emissioni pro capite significativamente basse: un cinese emette
la metà di uno statunitense e servono 3 indiani per fare le emissioni di un
italiano, 17 indiani per fare le stesse emissioni di un abitante del Qatar.
Inoltre non si possono non menzionare le responsabilità storiche dei diversi
attori: infatti i principali emettitori(?) di CO2 nella storia sono gli USA per il
25%, l’Europa per il 22% e la Cina per il 12,5% (al 2017).
La pandemia, la guerra, le catastrofi ambientali ci fanno desiderare un ritorno
alla normalità, ma proprio quella normalità era il problema e questi eventi così
travolgenti non sono altro che i sintomi.
Crisi climatica, crisi economica, crisi sanitaria: la mia generazione è cresciuta
con questa parola ripetuta all’infinito, dai telegiornali, ai social, ai banchi di
scuola.
La parola crisi, come sapete, deriva dal greco crisis, significa scelta,
decisione.
Il tempo per lasciare che le cose seguano il proprio corso è finito: è il
momento di prendere atto della crisi che stiamo vivendo per fare delle scelte
decisive, anche a partire dalla nostra città.
Per riassumere chiediamo al governo:
1) fermare le nuove esplorazioni di riserve fossili
2) eliminare gradualmente le scorte e la produzione per restare entro 1,5
3) promuovere le energie rinnovabili e sviluppare piani di transizione giusti
E questo ultimo punto risulta più che mai prioritario adesso. Le fonti di energia
rinnovabile e le comunità energetiche sono la risposta che noi vogliamo
contrapporre all’egemonia fossile sulla quale si fonda un sistema di ingiustizia
e sfruttamento.
Concludo citando il segretario generale delle Nazioni Unite in un intervento
durante la COP27: “Siamo sull’autostrada dell’inferno climatico col nostro
piede (ancora) sull’acceleratore”.
È arrivato il momento di premere quel maledetto freno.
E questo ultimo punto risulta più che mai prioritario adesso. Le fonti di energia
rinnovabile e le comunità energetiche sono la risposta che noi vogliamo
contrapporre all’egemonia fossile sulla quale si fonda un sistema di ingiustizia
e sfruttamento.
Concludo citando il segretario generale delle Nazioni Unite in un intervento
durante la COP27: “Siamo sull’autostrada dell’inferno climatico col nostro
piede (ancora) sull’acceleratore”.
È arrivato il momento di premere quel maledetto freno.
Sara Diena, vicecapogruppo