Il bilancio di previsione 2018, approvato in poche sedute e con fievole dibattito, riflette lo stato dell’umore politico (forse anche di quello civico) a Torino.
Siamo in piano di rientro da un debito contratto per mutui e per crisi di liquidità e sul debito assistiamo da due anni al rimpallo delle accuse, quando una analisi retrospettiva ci può dimostrare che l’indebitamento ha attraversato più mandati amministrativi e si è aggravato con la riduzione dei trasferimenti dallo Stato a tutti gli Enti locali. Le misure concordate con la Corte dei Conti replicano le tattiche dell’austerità, tra congelamento dell’organico e alienazione del patrimonio, quando dovremmo essere avvertiti delle conseguenze deprimenti di analoghe ricette applicate ad esempio sul sistema sanitario.
Ciò avviene in nome della responsabilità, secondo il mantra della Sindaca. La parola ha cambiato significato: non si è responsabili ad accettare che un quarto del bilancio sia destinato agli interessi esosi sul debito, si è succubi. Non si è responsabili nel deprimere le professionalità pubbliche e nel consentire ad altri (privati) di acquisire e valorizzare i beni comunali, si è rassegnati.
E’ stridente la retorica del cambiamento se confrontata con la soggezione alla compatibilità e mortificata dal conformismo. Cambiare punti di osservazione e strumenti di lettura sarebbe una svolta necessaria. Le categorie di compatibilità cambiano se ci si chiede: rispetto a cosa? E per chi? Per farlo occorre uscire dal dialogo tra i Palazzi e aprire un dibattito pubblico sulla finanza locale. E’ urgente, perché il debito è non solo intollerabile, ma anche ingiusto.
Eleonora Artesio