In Sala Rossa, si è svolto questo pomeriggio l’incontro in ricordo delle Vittime del terrorismo, promosso dalla Città di Torino in collaborazione con l’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo (AIVITER) e l’Associazione Europea Vittime del Terrorismo (ASEVIT). Un ricordo che ha accomunato uomini e donne assassinati durante gli “anni di piombo”, uccisi dalle bombe del terrorismo stragista o dagli attentatori ispirati dall’integralismo islamico, come negli attacchi di Tunisi o Nizza.
Il presidente del Consiglio comunale Fabio Versaci ha introdotto la cerimonia definendo il ricordo quale “imperativo morale” e leggendo i nomi e le circostanze della morte dei ventidue torinesi e piemontesi assassinati durante gli “anni di piombo”, tra il 1975 e il 1982, nonché dei sette morti in occasioni di attentati verificatisi all’estero ad opera del terrorismo integralista islamico fra il 1980 e il 2016. Intervenendo in rappresentanza del Consiglio Regionale del Piemonte, Nino Boeti ha rievocato la strage della scorta di Aldo Moro – a capo della quale vi era il torinese Oreste Leonardi – e la successiva uccisione dello stesso statista democristiano da parte delle Brigate Rosse, fatti sanguinosi dei quali ricorre quest’anno il quarantesimo anniversario. Hanno quindi preso la parola i rappresentanti delle due Associazioni. Giovanni Berardi, presidente dell’ASEVIT, ha ricordato il dramma della propria famiglia (il maresciallo Rosario Berardi, suo padre, venne assassinato nel marzo di quarant’anni fa) e di quelle delle altre vittime, rievocando la nascita della prima associazione da parte di familiari degli uccisi (come la vedova dell’avvocato Fulvio Croce) e di persone ferite in agguati terroristici, come Maurizio Puddu o Dante Notaristefano. Berardi ha poi sottolineato le attività per sostenere vedove e orfani, stigmatizzando poi la presenza di ex terroristi in trasmissioni ed incontri pubblici.
Il presidente dell’AIVITER, Roberto Della Rocca, ha riassunto le cifre di un massacro: 370 morti in seguito ad attività terroristiche, dei quali 156 per stragi e gli altri in attentanti individuali o plurimi, ai quali vanno aggiunti centinaia di feriti.
Della Rocca ha poi rievocato il processo di Torino contro le BR come un momento alto della lotta contro il terrorismo, quando si dimostrò, ha spiegato, che si poteva combattere l’eversione armata senza rinunciare allo stato di diritto. Anche il presidente dell’AIVITER ha infine polemizzato contro gli spazi offerti da media e convegni alle dissertazioni degli ex terroristi.
Il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte, Alberto Sinigaglia, ha rievocato il dramma dell’assassinio nel novembre del 1977 di Carlo Casalegno, allora suo collega, vicedirettore de La Stampa. Sinigaglia ha voluto ricordare l’importanza della giustizia, la quale, ha affermato, non risiede solo nei tribunali ma in ogni piccolo gesto quotidiano verso chi ci sta accanto. Il rappresentante dei giornalisti piemontesi ha poi voluto ricordare come quest’anno ricorra l’ottantesimo anniversario delle leggi razziali di Vittorio Emanuele III e Mussolini, che decretarono, ha sottolineato, l’avvio del terrorismo di stato contro cittadini e cittadine italiani divenuti colpevoli di essere ebrei.
L’incontro in Sala Rossa è stato concluso dal vicesindaco Guido Montanari, che si è definito un servo dello stato, ricordando come lo sia chiunque si impegni nel suo lavoro, rendendo un servizio alla comunità.
Proprio come servi dello stato, ha precisato Montanari, furono colpite persone perbene, strappate al loro futuro e alle loro famiglie. Un dolore che il tempo non ha lenito e che rende ancor più pressante spiegare alle giovani generazioni il valore del confronto democratico e del non cedere il passo alla violenza, creando una coscienza critica nei confronti di ogni possibile radicalizzazione violenta, promuovendo un’approfondita analisi di quel periodo storico. Le istituzioni, ha aggiunto il vicesindaco, hanno anche il compito di sostenere le associazioni che lavorano per conservare la memoria ed assistere le vittime sopravvissute e che portano i segni delle aggressioni, così come e i familiari di coloro che sono stati uccisi. Infine, le istituzioni devono contribuire anche a garantire, a tutte queste persone, il diritto alla giustizia, mentre troppo spesso non si è fatta piena luce su tanti episodi di quello che è stato uno dei periodi più bui della nostra storia.
Claudio Raffaelli