Se la cultura del riciclo, seppure a fatica, comincia a farsi strada, sul riuso c’è ancora molto da fare. Talvolta confusi, i due termini indicano due pratiche diverse: Il riciclo è infatti la seconda vita della materia, con l’impiego di materiali di scarto per la creazione di oggetti nuovi, l’esempio classico è la felpa in pile ottenuta dalle bottiglie di plastica recuperate dalla raccolta differenziata. Il riuso, dal punto di vista della sostenibilità ambientale, è un passo avanti, poiché comporta una seconda vita dell’oggetto scartato: un vestito gettato in buone condizioni viene ripulito e nuovamente indossato, una lavatrice riparata e rimessa in funzione, una tastiera scartata ma funzionante viene ricollegata ad un pc. Come si fa abitualmente per le automobili, del resto. Il tutto non è solo ecologico, ma rappresenta un circuito economico nel quale trovano impiego, in vario modo, un gran numero di persone. In Italia, Rete Nazionale degli Operatori dell’Usato (Rete ONU, fondata a Torino quasi dieci anni fa) raccoglie 11.000 soci, tra i quali molte cooperative sociali, associazioni che organizzano mercatini dell’usato, ditte individuali che svuotano a richiesta cantine o soffitte e i “contoterzisti” ovvero coloro che rivendono, in negozi specializzati, merci usate per conto terzi. L’idea è quella di superare il concetto di “immondizia, hanno spiegato i responsabili di Rete ONU durante un incontro, presieduto da Federico Mensio, con le commissioni Ambiente, Commercio e Servizi sociali, perché un oggetto scartato da qualcuno può sempre servire a qualcun altro. Soprattutto in un sistema ancora basato sull’usa-e-getta, sul cambio frequente e sulla rapida obsolescenza degli oggetti, magari più percepita che reale.
I dati sono impressionanti: una stima approssimativa, secondo Rete ONU, indica in più di 10 milioni di euro il valore recuperabile, in un anno, dai soli tredicimila cassonetti stradali sul territorio torinese. Senza parlare del valore ricavabile, ad esempio, dallo svuotamento di case o locali privati, né del fatto che i soli cassonetti di raccolta abiti usati di una cooperativa raccolgono ogni anno 50 tonnellate di materiali tessili. Il problema è che dal punto di vista normativo mancano regole adeguate. Una proposta di legge in questo senso, presentata dal deputato Stefano Vignaroli è attualmente all’esame della commissione Ambiente della Camera dei Deputati. Già una legge del 2009, la numero 13, aveva introdotto il concetto della valorizzazione a fini economici dei mercati dell’usato. Uno dei temi sui quali si sono confrontati i consiglieri, con i tecnici dell’AMIAT e con Reta ONU, è stato quello di un possibile rapporto tra Ecocentri e raccoglitori. AMIAT, è stato spiegato, ha già realizzato da anni la coesistenza tra il punto di conferimento (per i cittadini) dei materiali di scarto e un mercato dell’usato, come nel caso dell’Ecocentro di via Arbe. Tuttavia la normativa prevede che i rifiuti conferiti ai centri di raccolta non possono essere riutilizzati se non nell’ambito del riciclo delle materie prime, ragion per cui il privato dovrebbe consegnare i beni destinati al riuso direttamente all’attiguo punto vendita. Un altro terreno sul quale lavorare, insieme a quello dell’eventuale apertura degli Ecocentri ai raccoglitori, per evitare l’eventualità che i loro materiali di scaro (ad esempio, oggetti ritirati da una cantina ma non rivendibili) possano alimentare qualche discarica abusiva ai margini della città.
Claudio Raffaelli