Questa mattina, la Città ha ricordato le vittime della repressione delle manifestazioni del 1864 per Torino capitale, una pagina scomoda della storia nazionale rimasta in sordina per più di un secolo. Una corona di alloro è stata deposta in piazza San Carlo, ai piedi della targa apposta dal Comune, per l’occasione rappresentato dal consigliere Fabrizio Ricca, in ricordo di quella che è stata definita “la prima strage di Stato in Italia”. Certamente, la retorica sul Risorgimento, affermatasi a colpi di sussidiari scolastici, film di Blasetti e serie televisive ispirate al deamicisiano Cuore, esce un po’ scossa dal ricordo del massacro verificatosi a Torino il 21 e 22 settembre del 1864. In quei giorni, lo Stato divenne il nemico, per i cittadini. Anzi, fu il contrario. Reparti militari del Regio Esercito, Carabinieri, schierati a ranghi serrati, presero di mira la folla con lo stesso, micidiale fuoco di fila utilizzato sui campi di battaglia. Cinquantadue morti, 187 feriti.
Una guerra dove si sparò da una parte sola, poiché si appurò che i pochi militari rimasti sul terreno si erano sparati gli uni addosso agli altri, nella foga di falciare i manifestanti in piazza San Carlo, che la Gazzetta del Popolo descrisse allora come “un macello di carne umana”.
In piazza, si erano radunate migliaia di persone di ogni età, con bambini al seguito, per protestare contro il trasferimento della capitale del Regno da Torino a Firenze. Un fatto intollerabile, quanto più perché frutto di un accordo coi francesi che avrebbe dovuto restare segreto: intollerabile per una città che era stata, bene o male, il motore dell’unificazione italiana.
Ma intollerabile anche dal punto di vista economico, con una Torino non ancora industriale, storicamente cresciuta come polo amministrativo e politico. L’esodo verso le rive dell’Arno dei ministeri, di migliaia di funzionari e delle loro famiglie, portava un colpo che si poteva temere mortale all’economia torinese, vanificando investimenti, facendo perdere clienti a sarti, tappezzieri e panettieri, svilendo il prezzo degli immobili. E questo non per la “Roma capitale” spesso retoricamente invocata, ma per compiacere Napoleone III che voleva indurre i Savoia a non toccare lo Stato della Chiesa, protetto dai francesi. La protesta partì spontanea, forse vi fu il ruolo di agenti provocatori in alcuni episodi di violenza da parte di gruppi di manifestanti.
Resta il fatto che la proporzione della repressione statale fu abnorme, provocando uno scandalo nazionale e internazionale: vi fu l’istituzione di una commissione d’indagine parlamentare, la quale alla fine che evidenziò le responsabilità politiche dell’immotivato massacro. Persino molti ministri del Regno si dissociarono e manifestarono la loro solidarietà al sindaco di Torino, il marchese Luserna di Rorà. E caddero, metaforicamente parlando, le teste del questore e del ministro dell’Interno, Minghetti. Nonostante tutto questo, nel giro di qualche mese la capitale divenne comunque Firenze, come previsto dal trattato con Parigi. Nel 1870, però, Napoleone III venne sconfitto dalla Prussia e il 20 settembre dello stesso anno i Bersaglieri entrarono a Roma. Esattamente sei anni dopo la strage di Torino.
Claudio Raffaelli