Andrea vive a Torino, ha 16 anni, studia e fa sport: sta bene in famiglia, le piccole tensioni abituali tra genitori e figli adolescenti e nulla di più. Ma è quando esce di casa per andare a scuola che cominciano i problemi. E cominciano già sul bus. Un autista che non gli apre la porta fingendo di non averlo visto, una signora anziana che finge di non averlo sentito quando si offre di cederle il posto a sedere, più persone che mettono la mano sul portafogli o stringono a sé le borsette quando lui passa per avvicinarsi all’uscita. Qualcuno brontola cose poco carine ma a bassa voce, perché Andrea ha solo 16 anni ma è alto e robusto, pare quasi un adulto. Roba da niente, rispetto agli insulti che ha sentito lanciare a gran voce dagli spalti qualche giorno fa, mentre giocava a calcio con la sua società sportiva. Il mister gli ha detto di lasciar perdere, son degli imbecilli. Ma non basta. Questa sera, si fermerà con alcuni altri ragazzi all’angolo della strada per fare quattro chiacchiere e due agenti in borghese si avvicineranno al capannello, chiedendo di vedere il permesso di soggiorno di Andrea. Un documento che lui non ha: né potrebbe averlo, perché il “negro” (questo gli avevano urlato dagli spalti, con l’aggiunta di un riferimento scatologico) è sì nato nel Bourkina Faso, ma aveva tre anni quando una famiglia italiana l’ha tolto dall’orfanotrofio per adottarlo e farne il proprio figlio: Andrea è un italiano a tutti gli effetti. Ma non è bianco, cosa che per qualcuno lo rende meno italiano degli altri.
Ovviamente Andrea non esiste, Andrea è invece tantissimi bambini e bambine, ragazzi e ragazze come lui, e gli episodi citati fanno parte delle loro vite quotidiane. Giovani italiani che si trovano ad essere bersaglio degli stessi pregiudizi, delle stesse ingiustificabili discriminazioni che colpiscono ancora più duramente i loro coetanei africani o asiatici residenti in Italia ma privi di cittadinanza, perché con loro condividono il colore della pelle. E proprio Mamme per la pelle ha voluto chiamarsi l’associazione, fondata nell’autunno scorso, che è stata oggi ricevuta a Palazzo Civico dalla commissione Diritti e Pari opportunità.
Con 600 aderenti e una vasta rete di contatti in tutto il Paese, l’associazione raccoglie le famiglie – e in primo luogo le madri – di figli adottivi di differenti etnie, ma opera anche nei confronti delle famiglie di immigrati. La missione di Mamme per la pelle, hanno spiegato Gabriella Nobile e Paola Terrile (nella foto in alto), è infatti quella di difendere i ragazzi da quegli atti di discriminazione razziale, non necessariamente violenti ma sempre ferocemente dolorosi per chi li subisce. Episodi che negli ultimi anni, hanno sostenuto le rappresentanti dell’associazione, si sono decuplicati, complici un certo sdoganamento politico-culturale del razzismo e un clima di paure irrazionali, a tratti apparentemente alimentate ad arte, in cui il timore nei confronti dell’altro viene eletto a legge. L’associazione (www.mammeperlapelle.it) svolge anche attività di formazione informazione nelle scuole e nelle città, un esempio dei quali è la mostra itinerante “Una famiglia, tutti i colori”, già esposta a Milano, Palermo e altre città. Perché quella di un’Italia con una sola cittadinanza ma di colori diversi non è più solo una prospettiva, ma una realtà che è appena comciata. E forse proprio questa realtà riesce odiosa ad alcuni, troppi.
Nel corso della riunione della commissione, è emersa la proposta di valutare l’istituzione di una Consulta comunale sul tema del razzismo e dell’integrazione, luogo permanente di confronto tra istituzione e realtà associative. Un’ipotesi, questa, nei confronti della quale si sono mostrate favorevoli tutte le forze politiche presenti.
Claudio Raffaelli