Vent’anni fa, Torino perdeva una delle più significative figure del mondo culturale e accademico. Se ne andava il senatore a vita – ma soprattutto filosofo, storico e docente – Norberto Bobbio. Poche settimane prima, superata la sua ritrosia al ricevere onorificenze e riconoscimenti, il Consiglio comunale gli aveva consegnato il Sigillo della Città, un corale ringraziamento per il suo colossale contributo alla crescita civile di Torino e del Paese.
La Sala Rossa di Palazzo Civico ha oggi ospitato il solenne evento che, su iniziativa della Presidenza del Consiglio comunale e del Centro studi Piero Gobetti, ha aperto il ciclo delle celebrazioni del ventennale della scomparsa di Norberto Bobbio. Nel suo intervento introduttivo, la presidente Grippo ha ricordato il legame profondo di Norberto Bobbio, alessandrino di origine, con Torino, anticipando che, su richiesta del Centro studi Gobetti, la commissione Toponomastica da lei presieduta avvierà l’iter per consentire la posa di una targa commemorativa del filosofo e politologo (nonché cofondatore e a lungo presidente dello stesso Centro Gobetti) al civico 66 di via Sacchi dove visse sino ai suoi ultimi giorni.
La presidente ha poi evidenziato la statura europea di Bobbio, senza dubbio uno dei principali intellettuali del Novecento, di formazione poliedrica, in gioventù incarcerato per antifascismo. Grippo ha poi citato le parole pronunciate da Norberto Bobbio in occasione dell’inaugurazione del Centro studi per l’educazione della Città, nel 1990: la definizione dell’educazione alla cittadinanza democratica come “educazione alla virtù, intesa come partecipazione attiva e consapevole alla vita della propria città”, con un ruolo centrale della scuola nella formazione dei cittadini e cittadine, dell’educazione alla vita collettiva.
“Il messaggio finale di Bobbio è un invito esplicito a non considerare conclusa la battaglia per rendere compiuta la nostra democrazia”, ha poi aggiunto la presidente, ricordando le parole di Bobbio su come “il nemico non sia l’uomo d’eccezione che si erge su tutti gli altri, o almeno non solo questo, ma il conformista, l’uomo del gregge, come lo definiva Nietzsche; contro questo nemico la Storia ci chiede ancora di misurarci”.
Dora Marucco vicepresidente del Centro studi Piero Gobetti ha ricordato come il Sigillo civico fosse stato contestato dalle forze di opposizione alla maggioranza di centrosinistra – così come nel caso di Alessandro Galante Garrone – che rimproverava a Bobbio il suo dichiarato impegno politico e civile. Inoltre, ha rievocato il Bobbio filosofo militante, formatore di giovani e meno giovani e promotore dell’avvicinamento delle classi popolari alla letteratura con il Centro Nazionale del Libro, e la sua pluridecennale collaborazione con La stampa.
Anrea Bobbio, figlio di Norberto ha ricordato passi significativi di varie opere del filosofo nonché le sue frequentazioni intellettuali e il suo percorso formativo, sottolineandone a propria volta il legame, privo di ogni provincialismo, con la nostra città e con il Piemonte, (“Nonostante il mio cosmopolitismo illuministico, io sono un piemontese”).
La vdicesindaca Michela Favaro ne ha da parte sua evidenziato l’impegno contro il fascismo e ogni regime autoritario, sottolineando come i suoi scritti siano ancora oggi una fonte di ispirazione e una chiave per comprendere i problemi del Paese. “Bobbio si definiva un intellettuale pubblico, un uomo del dialogo” ha ricordato Favaro, ricordando quanto tornerebbe utile a tutti un’educazione al dialogo, alla chiarezza, al confronto schietto ma orientato alla composizione. Bobbio rimane un punto di riferimento nel suo considerare il rafforzamento della democrazia come strumento per frenare guerre e aggressioni.
Vera lectio magistralis è stato l’intervento conclusivo del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, che ha ripercorso le fondamenta del pensiero di Norberto Bobbio fra idee, azione e morale. Al centro, il concetto di dicotomia, dei principi reciprocamente escludentisi (amico/nemico, destra/sinistra…) tra i quali non vi può essere convergenza ma si può tentare – nei limiti del possibile – una convivenza, poiché i termini opposti si illuminano a vicenda, del resto, citando Eraclito, “di giustizia non si potrebbe neppure parlare, se non esistessero cose ingiuste”.
Tolleranza, dialogo e dubbio, quindi. Il dialogo era per Bobbio la pur difficile base della convivenza delle idee: per quanto possibile, però, poiché un dialogo fecondo necessità di confini oltre i quali non vi può che essere conflitto. In questo senso, ha ricordato Zagrebelsky, l’impegno politico deve essere rivolto alla convivenza, all’evitare la deflagrazione. Ma Bobbio era un realista, conscio del fatto che gli orrori sono reali e la morale è illusoria, tale da rendere spesso l’ethos dei diritti umani confinato in congressi e tavole rotonde.
In questo senso, il convinto liberalsocialismo di Bobbio non era una forma teorica ma un atteggiamento pratico, legato alle cose concrete. La speranza è una virtù teologica, le virtù del laico sono il rigore critico, il dubbio come metodo, la tolleranza, il rispetto delle idee altrui. Dai labirinti nei quali ci troviamo in questi tempi difficili si può uscire solo scegliendo un percorso ragionato e ritentando se questo si rivela sbagliato.
Perché la ragione non è una lampada che illumina a giorno, ma un prezioso lumicino nel buio della notte, ha chiosato il costituzionalista, che di Bobbio fu allievo.
Claudio Raffaelli