Non ci sono bei posti dove morire: ma dire addio al mondo a vent’anni, proprio mentre la natura rifiorisce tutto intorno e dietro gli elmetti dei tuoi carnefici puoi intravedere i sobborghi della tua città, è particolarmente crudele. Il 2 aprile 1944 fu la collina torinese, in pieno slancio primaverile, ad assistere alla strage del Pian del Lot, ventisette partigiani caduti in mano ai nazifascisti, portati al riparo da sguardi indiscreti e fucilati.
Una rappresaglia per l’uccisione di un addetto alla contraerea tedesca che operava in zona, ventisette vita per una sola, un rapporto che ai nazisti sembrava ancora poco, visto che inizialmente avevano prospettato di fucilare ben cinquanta prigionieri, una criminale intenzione ridimensionata soltanto dalla fretta di vendicarsi. Una versione torinese, minore solo nei numeri e non nell’atrocità, delle Fosse Ardeatine.
Come ogni anno, la Città di Torino, la Regione Piemonte e la Città metropolitana di Torino, con ANPI, Istituto del Nastro Azzurro, Croce Rossa Italiana, ANA Torino, hanno ricordato quel tragico episodio della guerra di Liberazione, di fronte al semplice monumento, una stele cinta da un cancelletto. proprio lì, al termine della guerra, furono riesumati da una fossa comune i ventisette corpi, sette dei quali rimasti senza nome.
Un picchetto delle Forze Armate ha reso onore ai caduti, al coraggio dei quali – un monito per tutti a non dimenticare il costo della libertà e della democrazia – hanno reso omaggio, dopo preghiere cattoliche ed ebraiche gli interventi del sindaco Stefano Lo Russo, di Daniele Valle in rappresentanza della Regione Piemonte, di Nino Boeti , presidente dell’ANPI provinciale, e del presidente della Comunità Ebraica di Torino, Dario Disegni.
La cerimonia era stata preceduta da una funzione religiosa presso la parrocchia di San Vito, a valle del Pian del Lot, alla quale aveva preso parte, in rappresentanza della Città di Torino, la consigliera Anna Maria Borasi.
Claudio Raffaelli