Il Sacrario del Martinetto, quest’anno, non vedrà la solitamente affollata cerimonia del 5 aprile. Il Covid-19 ha imposto limitazioni anche all’esercizio collettivo della memoria, ma certe pagine della nostra storia non si dimenticano. Il 5 aprile del 1944, in quello che era allora un poligono di tiro, vennero assassinati dai fascisti il generale Giuseppe Perotti, l’operaio Eusebio Giambone, lo studente Massimo Montano e poi Franco Balbis, Quinto Bevilacqua, Giulio Biglieri, Paolo Braccini ed Errico Giachino, tutti esponenti del Comitato militare di liberazione di Torino. La fucilazione ebbe luogo dopo un processo-farsa celebrato presso gli uffici giudiziari di via Corte d’Appello: i partigiani catturati dai nazifascisti venivano solitamente liquidati senza troppe cerimonia, ma in quel caso le autorità fasciste della Repubblica Sociale vollero date una parvenza di legalità a quel proprio ennesimo crimine. Altri combattenti della Resistenza erano già stati fucilati in quel luogo, allora piuttosto isolato, ed altri vi avrebbero trovato la morte nei mesi seguenti. Ma è il 5 aprile che li si ricorda tutti: il giorno nel quale un quarantanovenne generale sabaudo invitò un operaio, uno studente ed altri civili e militari – chiamandoli tutti “signori ufficiali” – ad urlare insieme a lui “Viva l’Italia libera!”, un istante prima della micidiale scarica di fucileria.
Claudio Raffaelli