Sono 4000 i detenuti in Piemonte, 650 ha meno di trent’anni, 33 meno di venti. Oltre 200 hanno tra i 21 e i 24 anni , 406 tra 25 e i 29 anni..
Nella casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino, fino ad un paio di settimane fa, su 1360 detenuti 264 avevano meno di trent’anni.
I dati sono stati forniti nel corso della presentazione, al Polo del ‘900, della ricerca “Giovani dentro e fuori”, affidata dall’Ufficio della Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale, Monica Gallo, all’Università di Torino, che ha coinvolto studentesse e studenti della Clinica Legale Carcere e Diritti I del Dipartimento di Giurisprudenza di UniTo, coordinata dalla Prof.ssa Cecilia Blengino.
Il lavoro di ricerca, dedicata alla memoria di Alessandro Gaffoglio, che perse la vita a 24 anni in carcere la scorsa estate, a Torino, ha evidenziato la Garante, Monica Gallo, analizza le condizioni sociali e detentive dei giovani reclusi, base essenziale per costruire condizioni migliori di vita durante la detenzione.
Nel dettaglio, a Torino i diciottenni costituiscono l’1,34%, i nati nel 2003, e quindi diciannovenni, il 3,36% e i nati nel 2002, e quindi ventenni, sono il 4,7%. I nati nel 2001 (21 anni di età) costituiscono il 9,4 %; i nati nel 2000 (22 anni di età) sono il 18,12%, i nati nel 1999 (23 anni di età) sono il 17,45%; i nati nel 1998 (24 anni) sono il 25,5% e i nati nel 1997 (25 anni) sono il 20,13%.
I detenuti stranieri provengono da 26 Paesi. Il numero maggiore proviene dal Marocco, 28,83%; a seguire, il 17,12% dal Senegal, il 7,21% dalla Nigeria, il 6,31% dalla Romania, il 5,41% dall’Egitto, il 4,5% dalla Gambia e il 3,6% dal Gabon. Il 2,7% proviene dall’Albania e la stessa percentuale è stata rilevata per Bosnia Erzegovina, Mali e Tunisia. L’1,8% proviene dal Brasile, dalla Croazia e dalla Guinea. Per altri dodici Stati, invece, la percentuale di provenienza registrata è dello 0,9% per ogni Stato. Si tratta di: Algeria, Bangladesh, Ecuador, El Salvador, Guinea Bissau, Mauritania, Moldavia, Niger, Pakistan, Repubblica Dominicana, Somalia e Ucraina.
Nell’introdurre i lavori, il prefetto di Torino, Raffaele Ruberto, ha sottolineato come la pena senza la rieducazione rappresenti una sorta di atteggiamento vendicativo, evidenziando come sia necessario favorire pene alternative alla detenzione con un dialogo che coinvolga istituzioni e amministrazioni carcerarie.
Non casuale una forte presenza del Consiglio Comunale all’incontro odierno. La Sala Rossa, infatti, da tempo ha acceso i riflettori sulla condizione della vita in carcere, in stretta collaborazione con la Garante dei diritti dei detenuti, con l’assessore Gianna Pentenero, delegata ai rapporti con l’Amministrazione carceraria, e con l’Amministrazione carceraria stessa.
La presidente del Consiglio Comunale, Maria Grazia Grippo, ringraziando le ricercatrici e i ricercatori dell’Università, ha rimarcato come quello presentato oggi sia uno strumento non solo di conoscenza ma anche di lavoro. “Questa ricerca, ha affermato, ci racconta la storia di difficoltà vissute da queste persone ad entrare in una società che non è automaticamente inclusiva come vorremmo. Credo che occorra un lavoro di formazione e di recupero di professionalità come gli educatori e neuropsichiatri perché si possa attuare il dettato costituzionale di rieducazione che non è solo dovere ma assoluta necessità”.
Secondo la vice presidente, Ludovica Cioria, questo lavoro consente alle istituzioni di aprire gli occhi, dimostra che c’è una strada lunghissima davanti, soprattutto in presenza di storie complesse. Tuttavia, ha evidenziato come nella visione politica dei dati e delle conclusioni si trovi l’ispirazione necessaria per poter trasformare una costatazione di fatto in un processo di miglioramento collettivo.
Non ha fatto mancare il suo saluto anche Luca Pidello, presidente della commissione Legalità che ha affrontato più volte il tema delle pene alternative alla detenzione e della vita in carcere.
E’ necessario lo sguardo del Consiglio Comunale, ha sottolineato, perché questo aiuta alla creazione di una consapevolezza maggiore da parte di chi non ha mai avuto occasione di confrontarsi sugli aspetti carcerari e può contribuire alla costruzione di risposte concrete e corali alle domande e alle necessità evidenziate dalla ricerca.
Federico D’Agostino