Palazzo Civico ha ospitato oggi pomeriggio, in occasione del Giorno del Ricordo, la cerimonia istituzionale per rendere omaggio alla memoria dell’esodo delle popolazioni italiane dai territori giuliani e dalmati annessi alla Jugoslavia all’indomani della Seconda guerra mondiale. Un esodo di massa protrattosi sino agli anni Cinquanta, preceduto da una serie di atti di violenza contro i nostri connazionali, tra i quali si contarono un gran numero di vittime.
A dare il benvenuto ai presenti è stata la presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo, la quale, rievocando quei fatti terribili, ha voluto trasmettere ai familiari, ai sopravvissuti e agli esuli e ai loro discendenti, la più sentita vicinanza propria e di chiunque si riconosca in piano nel dettato della nostra Costituzione.
Con l’istituzione del Giorno del Ricordo, ha aggiunto la presidente, si trattava anche di preparare e indicare la strada affinché gli odi di regime e i rancori ideologici che dilaniarono l’Europa del Novecento potessero essere lasciati alle spalle.
Le istituzioni, ha aggiunto Grippo, devono farsi parte attiva nel promuovere la conoscenza del patrimonio culturale degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, prendendosi la responsabilità di educare le giovani generazioni ai valori dell’Europa e della cittadinanza attiva. Né dimenticare né cancellare, ha ammonito la presidente della Sala Rossa, bensì plasmare un futuro che possa essere di consapevolezza, dialogo, fraternità, che ripudi la guerra, con l’impegno di vigliare sul rispetto dei principi democratici faticosamente conquistati: per non lasciare che il dolore diventi risentimento, perché non accada più.
L’assessore della Regione Piemonte Fabrizio Ricca ha stigmatizzato il negazionismo e riduzionismo di una parte della storiografia sul dramma delle foibe e dell’esodo, spesso sottaciuto per ragioni geopolitiche.
La ricerca storica non va imbrigliata, ma deve essere esente da strumentalizzazioni di parte, ha aggiunto Ricca, ricordando come non si possa negare il carattere di pulizia etnica contro gli italiani assunto dalle violenze jugoslave. L’assessore ha quindi esortato a vigilare contro tutti i negazionismi nei confronti dei regimi sanguinari di ogni parte politica, perché la verità non può essere infoibata.
Il presidente del Consiglio regionale del Piemonte Stefano Allasia, che ha ricordato come quelle terre di confine siano state dilaniate da conflitti e ritorsioni violente, con esecuzioni sommarie da parte delle truppe del maresciallo Tito.
Una vicenda a lungo rimossa, ha aggiunto Allasia, che deve rafforzarci nella difesa dei valori fondativi della nostra Repubblica. Serve una lettura condivisa e meno ideologica di quelle vicende, contro ogni pulizia etnica e odio razziale.
Antonio Vatta, presidente del comitato torinese dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ed esule a soli dieci anni di età. Nel suo discorso, una testimonianza appassionata, Vatta ha non solo rievocato episodi di quelle vicenda, ma ha condannato le strumentalizzazioni politiche che se ne fanno, ricordando come la radice della tragedia risieda nella guerra scatenata dall’Italia fascista causa prima delle sofferenze successive. Il presidente degli esuli ha poi sottolineato come gli italiani non fossero stati scacciati ma avessero scelto di andarsene a fronte della negazione in atto della loro cultura, oltre agli espropri (dei quali, ha sottolineato, ancora aspettano gli indennizzi). Vatta, auspicando la pace, ha anche rievocato la visita, mano nella mano, dei presidenti della Repubblica italiano e sloveno alla foiba di Basovizza.
A sua volta Nino Boeti, già presidente del Consiglio regionale, ha svolto l’orazione ufficiale, tra rievocazione storica e citazioni d’epoca. In particolare, Boeti ha sottolineato le difficili condizioni di vita degli esuli – soli testimoni incontestabili della loro Storia – una volta giunti a Torino (in ottomila) e in altre città del Paese, alloggiati in fabbriche dismesse, scuole e persino negli ex campi di concentramento come Fossoli o la stessa Risiera di San Sabba, anche se non mancarono i gesti di solidarietà. Ancora nel 1963, migliaia di profughi vivevano in quelle condizioni. Boeti ha concluso ricapitolando quelli che ha definito come fatti incontestabili, a cominciare dal fatto che il fascismo aveva perseguitato le popolazioni slovene e croate che abitavano in quelle stesse terre (strappate all’ex Impero Asburgico) fin dagli anni Venti, con l’italianizzazione forzata, fino all’aggressione contro la Jugoslavia del 1941.
Incontestabili, ha aggiunto il relatore, sono anche le violenze dei soldati di Tito contro la popolazione italiana, squadristi e gerarchi ma anche tanti innocenti, con delitti particolarmente efferati nei confronti delle donne. Infine, il terzo fatto incontestabile, il lungo silenzio tenuto dal nostro Paese su quelle tragedie, per ragioni di realpolitik nei confronti dello stato jugoslavo.
Al sindaco Stefano Lo Russo è spettato l’intervento finale, nel corso del quale ha esordito ricordando come l’approvazione della legge istitutiva del Giorno del Ricordo a larghissima maggioranza, nel 2004, fosse stato un fatto molto positivo. Il sindaco ha poi rievocato la persecuzione generalizzata e spietata contro una popolazione incolpevole, culminata nelle foibe e nell’esodo, affermando che quelle vicende sono parte della storia del Paese e dell’Europa, contro ogni oblio e colpevole cono d’ombra. L’indifferenza si nutre spesso della non conoscenza della storia di una sua lettura faziosa, ha proseguito Lo Russo, rendendo omaggio al dolore degli esuli e ai loro discendenti e ricordando come, anche a Torino, essi fossero arrivati da profughi. Profughi che hanno sempre certe caratteristiche, ha aggiunto, oggi come allora: la repressione subita, l’abbandono dei luoghi d’origine.
Oggi, ha evidenziato Lo Russo, a vivere quel dramma sono persone che arrivano da più lontano, magari con un altro colore della pelle e il ricordo del passato deve farci riflettere sul presente, sui profughi di oggi. La storia si ripresenta, nella sua brutale violenza, con motivazioni diverse ma con gli stessi effetti su persone che subiscono discriminazione e violenza, ha commentato il primo cittadino, invitando a far sì che questo Giorno del ricordo lanci anche un segnale verso il disinteresse, a volte l’ostilità, nei confronti dei profughi di oggi, che arrivano da altre aree del mondo ma che lo fanno per necessità e a volte a causa di conflitti. Non strattoniamo la storia, ha concluso Lo Russo, la quale a volte ci insegna come la violenza e la discriminazione generano solo altro odio e violenza. Infine, esortando a non essere semplici spettatori verso i drammi dell’umanità, il sindaco ha invitato a fare di questo giorno un elemento di unità nazionale, nei valori dell’antifascismo, della coalizione sociale, di una Repubblica democratica capace di accogliere.
Tra le autorità civili e militari presenti in sala, anche il vicepresidente vicario Domenico Garcea e i consiglieri Giovanni Crosetto, Elena Apollonio, Enzo Liardo, Paola Ambrogio, Tiziana Ciampolini, Andrea Russi.
Le celebrazioni del Giorno del Ricordo erano cominciate già in mattinata, con una funzione religiosa in duomo (in rappresentanza della Città di Torino, la vicesindaca Michela Favaro) e con un omaggio al monumento in memoria dell’esodo e delle vittime delle foibe presso il Cimitero Monumentale (con a rappresentare la Città l’assessore Francesco Tresso, presente anche il consigliere Russi)
(Claudio Raffaelli)